Addio al grande Harold Ramis

Ebbene, a 69 anni, muore anche il nostro ghostbuster.

Lo avresti meritato

Lo avresti meritato

Harold Ramis secondo Sentieri Selvaggi:

“Lui era la persona che avrei voluto essere quando ero ragazzo”
Judd Apatow, a proposito di Harold Ramis.

Aveva appena 15 anni, Judd Apatow, quando da giovane inviato della radio del suo liceo, va ad intervistare Harold Ramis. 23 anni di differenza: Ramis era nato a Chicago il 21 novembre del 1944, Apatow vicino New York, nel 1967. In comune una famiglia ebraica, e la passione per la scrittura e la comicità. E Apatow lo vorrà come regista di Anno Uno (2007) facendogli interpretare, non a caso, il ruolo di Adamo.

 

Perché Harold Ramis, scomparso a 69 anni proprio ieri, è una sorta di “padre putativo” della nuova generazione di comici e commedianti americani del 21° secolo. Non solo Apatow, ma i Fratelli Farrelly, Adam Sandler e tanti altri, lo riconoscono come un padre spirituale della loro comicità, vero e proprio punto di riferimento culturale. Ramis fa parte di una generazione folle, quella di (per citarci) Douglas Kenney, Tony Hendra, Chris Miller, Sean Kelly, Michael O’Donogue, ovvero quei pazzi scatenati che fondarono la rivista satirica “National Lampoon” e, “dal 1970 partirono come rivista, ma con occhio molto “industriale” allargarono a macchia d’olio la loro sfera d’influenza, prima con Show, poi con una vera e propria radio. A questo gruppo si aggregarono successivamente John Belushi, Harold Ramis e altri” (da “Stupendamente volgare, piccola storia del demenziale”, Sentieri selvaggi n. 1, aprile 1988).

Harold era uno strampalato ragazzone degli anni sessanta (era altro quasi un metro e novanta) ma aveva sempre quell’aria da bravo ragazzo con gli occhiali tondi, che deve essergli stata utile quando, per evitare il militare (e il Vietnam) fece una super indigestione di metanfetamina, spacciandolo per un esperimento scientifico… Ma lui era un gran creativo, pieno di idee, un vulcano di comicità, attore e scrittore, una combinazione, come si autodefiniva, tra Groucho e Harpo Marx, dove del primo riprendeva il suo umorismo come vera e propria arma contro le classi superiori e di Harpo quello strano fascino antico e stranamente sexy…



Agli inizi degli anni 70 approda insieme al suo amico Bill Murray, e grazie a John Belushi, alla sperimentale piattaforma televisiva (e teatrale) di Second City, punto di lancio di tanta comicità americana di quegli anni. Proprio l’incontro con Belushi, in qualche modo, spinge Ramis sempre più verso la creazione di comicità piuttosto che l’interpretazione diretta, che pure proseguirà parallelamente negli anni. “Quando vidi John Belushi sul palco per la prima volta – ha raccontato – ho capito che non ci sarebbe stata altra star all’altezza nella commedia. Ho visto quanto fosse disposto ad andare oltre per ottenere una risata, che linguaggio avrebbe usato, che fisicità, al punto di gettarsi letteralmente giù dal palco, ho pensato: come avrei mai potuto ottenere abbastanza attenzione su di me sul palco a confronto di gente come questa? 

 

Ed eccolo Ramis lasciare Second City Tv per lanciarsi, con Douglas Kenney, nella sceneggiatura di quel National Lampoon che poi sarebbe diventato, nelle mani di John Landis, National Lampoon’s Animal House nel 1978. Chris Miller, Doug Kenney e Harold Ramis, avevano scritto il testo pensando proprio a John Belushi come protagonista assoluto, poi genialmente “ridimensionato”, nello spazio ma non nella forza scenica, da un lungimirante Landis, consapevole della straripante comicità di Belushi. Il risultato fu una commedia che incassò 141 milioni di dollari, e la nascita “ufficiale” del cinema demenziale. L’anno dopo Ramis scriverà Polpette, altra commedia demenziale diretta da Ivan Reitman e interpretata da Bill Murray, cui seguirà nel 1981 Stripes – Un plotone di svitati, sempre diretto da Reitman, è l’era aurea del cinema demenziale, e quando nel 1984 Ramis scrive, con Dan Aykroyd, Ghostbusters, una commedia fantahorror assolutamente innovativa all’epoca e interpretata dai due più il solito Murray, il successo è planetario: Ghostbusters diventa uno dei più grandi successi commerciali degli anni ottanta.

 

Da lì la carriera di Ramis sarà ricca di interpretazioni (Ghostbusters II, Qualcosa è cambiato, Molto incinta) e di sceneggiature e regie, con almeno un paio di capolavori, come Ricomincio da capo (Groundhog Day), deliziosa commedia sull’immobilità del tempo quando i sensi si appannano, e Mi sdoppio in 4 (Multiplicity), scatenata critica della ragion impura del capitalismo rampante, che ci vuole esseri umani perfetti a 360° tra famiglia, figli, mogli, con la magnifica invenzione del doppio (e triplo, quadruplo) di sé per essere in grado di stare al passo coi tempi (della produzione e del consumo…).

Poi fino a oggi altri film belli e unici, Terapia e pallottole (Analyze This), Un boss sotto stress (Analyze That), Anno uno (Year One), senza però risucire mai a realizzare il suo sogno di un film sull’anarchica Emma Goldman, la popolare Red Emma, eroina rivoluzionaria del movimento anarchico tra la fine dell’800 e l’inizio del 900. Forse in questa curiosa figura di anticapitalista, antimilitarista e persino, poi, anticomunista, Ramis rispecchiava, in qualche modo, il suo animo anarchico libertario.

E ci piace ricordarlo ancora, quando Bill Murray, in Ghostbusters, gli dice:

“Spengler, dici sul serio, catturare fantasmi?”

E lui … “Io non scherzo mai.”

 

 

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