I migliori inseguimenti “mozzafiato” nel Cinema e nelle “curve pericolose” delle mie “sbandate” da Ronin…

Ronin De Niro

 

di Stefano Falotico

Ah, sì, terrò sempre in auge il capolavoro di John Frankenheimer col duo strepitoso delle meraviglie malinconiche, De Niro-Reno, epiche spie senza identità fra una Parigi plumbea e una Nizza solare, marina, dolcemente femminile come una Natasha McElhone da bri(vid)i caldi. Quando la Luna polar(e), da lassù, ti (am)mira “infallibile” perché sei uno “sparatore” che sa mescere il proprio (as)petto da “duro” nel bacio alla francese zuccherante un aromatico amor c(l)an(d)e(stino) fra bistrot, cappuccini, lei che “scappella” e il tuo cappello da Jean Gabin, un succhiotto al buio, ché fa quasi la bua per come “misteriosamente” lecca il collo mentre fate… finta (sì, lei “finge” finissima mica tanto…) che siete due turisti (innamorati) persi al bordo della strada d’una periferia d’antan, leccando il culo alla gazzella della polizia. Poi, quando la macchina s’allontana, ecco Bob che “mitraglierà” a “fuoco lento” la nostra incantevole Natasha, carezzandole i capelli ondulati su fascino al ne(r)o della dissolvenza incrociata su “balistica” della regia impeccabile di John, che “schizzerà” d’inseguimenti da Vivere e morire a Los Angeles, da Driver l’imprendibile mischiato ai suoi ammiccamenti (auto)citazionistici di tutto il suo Cinema qui racchiuso, poi (e)nucleato, esplosivo, dinamitardo, dinamico, che ammicca da (a)mici-(a)nemici d’occhiolini e prese per il culo, di battute ficcanti d’un David Mamet sotto pseudonimo dalla freddura al ralenti calibrato-emozionale del glaciale raderti al s(u)olo, imbevendo l’atmosfera di esistenziale solitudine vampirizzante e deflagrante in due interminabili, sterminatamente belle quasi quanto Natasha, corse a perdifiato di BMW frenetiche in mezzo a “vicoli ciechi”, mercati ortofrutticoli, ammaccamenti e appunto ancor ammiccamenti, Renault scassate di terza mano che ingranan subito la quinta, cilindrate di “cavalli” ma(s)chi(li), bazooka caldi (in)d(i)rizzati a chi entra nel tunnel e ci rimane secco, asciutto come questo film enorme tagliato con l’accetta, sfumatissimo però nella caratterizzazione dei personaggi tutti di spessore, che (se la) s-fumano (dis)illusi, forgiati di gran caratura, fortissimi caratteri fra comparse, sparatorie, characters più veri di quella figa della Madonna che fu la pattinatrice sul “ghiaccio” nostro bollente, Katarina Witt, div(in)a delle “pist(ol)e” tanto da far riacquisire la vista ad Andrea Bocelli che le dedica con te partirò, una suspense di tal eleganza da far paura quando questi uomini, “corazzati” e coraggiosi di artigli(eria), fra metrò, complici amicizie vi(ri)li, (s)fottersi l’un l’altro, si sbudellano in un ingegnoso jeu de massacre tra fall(it)i che (non) sbagliano una mossa, sì, fallaci e poi nella notte falchi.

Vince chi è più acu(i)to di cervello, l’uccello più cazz(ut)o, l’aquila di maggiore acume. O forse perdono tutti, vince la stretta di mano commovente fra Bob e Jean, dunque Jean nel saliscendi rifless(iv)o della sua amarezza un attimo prima dei titoli finali, di (testa)coda su monologo “off” travolgente e da urlo di rabbia di tutti i “miserabili” alla Victor Hugo. Quelli che non son “cagati mai da nessuno” ma (r)esistono in un posto tutto loro, fra la notte e il giorno, fra le albe rosse d’una guerra persa in partenza quasi alla John Milius e il mandarti malandrino a quel paese subito senza (pre)avviso di (s)cadenza, stronzo basta(rdo), con una sparata di quelle toste come questo capodopera per pochi (e)eletti, robustissimo, inattaccabile, solido quanto l’ultima interpretazione magica d’un De Niro mai più così magnifico. Noi siamo i ma(nd)ri(lli)!

Oggi pomeriggio, ho fatto un giro in macchina. Passava una in pants ed è estate, capite, ca(s)pita. Lei “monta”, io non mi smonto su (ca)risma da uomo (sm)unto, la “carico” di “grilletto” e lei (m)unge i miei irti capezzoli su presto eretto un(g)ente, sblocco il suo “freno a mano” e fuorvio per non farle capire ove (s)punta il mio “mirino”. Tergiverso fra un tergicristallo di retrovisore furbo a mar(t)e(llo) nel suo didietro e lei che, impazzita, me lo lucida tutto, “affogandoselo” di g(l)as(sa) come un Grand Marnier “al bacio” di liquore su miei acceleranti marron glacé ora al cioccolato “tiramisù”.

Le ho chiesto se voleva che (le) prendessi la curva “perbenino” o “larga”. Lei si “alla(r)ga” e mi ricordo appunto che Ronin è il samurai senza padrone.

Sono io che devo comandare il gioco.

Ma rimango (in)deciso.

Al che, lei prende il toro per le corna ed estrae la mia scimmia, infilandoselo su mia scimitarra sfoderata, infilzante, ludica, lucida, da impudico, la tengo in “pugno”, forse è un fisting, ma rimango un (im)punito.

Sono un figlio de puta.

Beviamoci un caffè…

 

 

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