Cosa penso di Al Pacino?

Pacino Cruising

 

di Stefano Falotico

Così, in mezzo allo squittio di tante parole vane, apparirà il fantasma reincarnato di Al Pacino, al solito urlante. Lui, coperto da una lunga casacca, evanescente apparendoci proprio ectoplasmatico e vanitoso, diabolico eppur suadentemente sulfureo di suo tagliente, carnoso viso magrissimo e “fetente”, intagliato nella pietra delle sue ansie, delle nevrosi da eterno, incurabile uomo inquieto.

Molto strafottente… e se lo può permettere.

Statuario di forza penetrante dagli occhi b(r)u(li)canti non solo lo schermo, bensì tutti gli schem(atic)i… collaudati in tal mondo bieco e (mal)sano di poca mentale sanità, un mondo falso che racconta panz(an)e, lui invece no, non mente mai anche quando dice le bugie, uno scarface adirato, inviso e dunque sempre col volto tiratissimo, uno che se la (s)tira a sbraitar monologhi inascoltati perché reputati p(r)es(s)anti, uomo asfissiante quanto conquistatore di gran fascino a rapir tutte le tope fottute, compresa Diane Keaton, caduta come una pera cotta, stesa dopo che Al, (es)teso…, le “rilassò” un sorriso magnetico e “lì” andando a parare da taciturno nella vita privata che (re)cita solo a (di)letto di urletti, chiaro, donnetta? Uomo frenetico e (in)sopportabile, un antipatico simpaticissimo dal portamento fiero che parla di grandi temi invano, in passato forse ricevette solo offese da “gigolò” preso per il popò, scheggiato da chi non tollerò che un italoamericano potesse aver s(ucc)esso, rifiutato nel ruolo di Amleto a Broadway perché non dinastico nel sangue “reale” da baronetto, lui, invece il Bardo incarnato a zigomi tesi, feroce nella (te)nerezza romantica e cupo nitor ch’emana di carisma assoluto, brandiano, da Padrino intoccabile, mai datato, immortale, lui che qui si materializza in tanti suoi capolavori interpretativi d’una sua memorabile galleria attoriale indimenticabile. Fra personaggi da galera, galeotti appunto o simpatiche canaglie, “galletti” dal sex appeal bastardo a mo’ inculante i “grilletti” di “mostarda” su faccia “sal(s)ata” da stronzetto saccente, ch’è solo un “cafone” di razz(i)a a mangiarsi tutti gli inetti, anche forse più bravo del De Niro di Heat, uno da 30 secondi netti. Ché sempre visse una mastodontica, imbattibile rivalità col collega Bob, entrambi corleonesi e figli di Coppola. Al Pacino, arrogante come dev’esserenon essere, uno Shylock che mette paura da “gobbo” re Riccardo. Lui, che impara perfettamente le battute a memoria e non ha bisogno di gobbi né di sognare. Lui agguantò l’americano sogno e lo fotté in culo, alla faccia degli ipocriti che all’inizio l’odiaron a muso duro.

Chiuse lor la bocca, smaltandosi le sue labbra con ambiguità da cruising, un po’ a pigliarti pel cul’ e un po’ ammiccando di brut(t)to. Se mi sei amico, ammicca, se no, amami.

Evviva i Village People!

Provarono in ogni modo a demoralizzarlo, a “provarlo”, a fargli perder quel passionale, esuberante, roboantissimo fuoco sempiterno suo dentro (s)battente di ventricoli pulsanti, affinché smarrisse la voglia stupendamente capricciosa di essere grandissimo.
Non ci riuscirono. Non ce la fecero, che feci.

Lui sempre ve lo fa.

Sembra un uomo falotico.

Se non vi piace, sparatevi.

Non mi dispiacerà.

Ah ah!

Bello

 

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