True Detective, il sogno di Rust

Rust Cohle

E finalmente arriviamo a Reginald Ledoux.

Ragazzi… quel posto io… io non ho mai… mi ha ricordato mio padre quando mi parlava del Vietnam. Sì, le storie sulla giungla… sentite, raccontarvi quello che è successo allora non vi servirà a un bel niente, adesso.

Questo, è di questo che sto parlando. È questo che intendo quando parlo del tempo e della morte e della futilità. Ci sono considerazioni più ampie all’opera, principalmente l’idea di quello che ci è dovuto in quanto società per le nostre reciproche illusioni. Durante le nostre quattordici ore filate a guardare corpi morti, questo è quello che pensi. Lo avete mai fatto? Li guardi negli occhi, anche in una foto. Non ha importanza se siano vivi o morti, puoi comunque leggerli, e sai cosa capisci? Che loro l’hanno accolto. Uhm, non subito ma proprio lì, all’ultimo istante. È un sollievo inequivocabile. Certo, erano spaventati e poi hanno visto, hanno visto per la prima volta quanto fosse facile lasciare… lasciarsi andare. Hanno visto in quell’ultimo nanosecondo… hanno visto quello che erano… che noi, ognuno di noi e tutto questo grande dramma non è mai stato altro che un cumulo di presunzione e ottusa volontà. E allora puoi lasciarti andare. Alla fine, non devi aggrapparti così forte. Per capire che tutta la tua vita, tutto il tuo amore, il tuo odio, la tua memoria, il tuo dolore erano la stessa cosa. Erano semplicemente un sogno, un sogno che si è svolto in una stanza sprangata. E grazie al quale hai pensato di essere una persona.

E come in molti sogni c’è un mostro che ti attende alla fine.

 

 

 

 

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