Oscar 2016, considerazioni “a poster(iori)” di quest’enorme presa in giro allo spettatore, spettatore (in)teso in senso lato… B, anzi, voto Z alla “manifestazione”

 

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Innanzitutto, ho visto la “puntata” solo dopo avermela lautamente dormicchiata, avvolto da calde e morbide lenzuola “intessute” nel mio cuscino vellutato che odora, care donne, dei miei “guanciali” da baciare. Guance non rifatte “alla cazzo duro” da chirurgie estetiche alla Stallone. Nella serie di Rocky inseguiva una gallina, adesso, oltre al labbro storto invecchiato e alle “pezze” vistose sull’imputridito visone (anche di sua moglie), ha sviluppato il “muscolo” a culo di pollo, imbarazzante quanto la “presentazione” di un “comico” da “strapazzare”, Chris Rock, uno che appunto ha fatto ridere solo i polli. Chi ha avuto davvero le palle è stato/a The Danish Girl!

Siam stati lontani dalle spettacolari introduzioni coltamente ironiche del fine Steve Martin che, col suo aplomb fatto e non “sfatto” di freddure miste, lasciava a bocca aperta, appunto, senza punti di sutura, gli spettatori e la platea stupefatta. Siam lontanamente remoti, altro che Il risveglio della forza, rimasto a bocca praticamente asciutta, dalle galattiche battute intelligentissime e pungenti del sapido Billy Crystal, e siam anche incredibilmente stanchi, noi, astanti, di non poter più vedere il fascino non da scemo, qual è Rock, ma da palcoscenico di gran presenza non oscena, come Chris, ma scenico alla Hugh Jackman.

Io mi atterrò a brevi considerazioni “ficcanti”, ispirandomi, in quanto simile per coltezza ed eleganza da commediante di classe, ai miei maestri Crystal, adamantino come quelli di cristallo, cari ele-Fantozzi, e Martin, uno che non ha bisogno di essere Clooney al “Martini” per dar sfoggio di savoirfaire. Sì, cari martiniani, partiamo da The Martian. Che l’ha preso totalmente in quel posto “spaziale”. Damon Matt è oramai abbonato e abbandonato allo spazio, dopo esser perfino morto in Interstellar. Qui è sopravvissuto, coltivando patate. Da noi, terra ove “tira” più un “pelo” della Chastain che un a canestro tiro, la “patata” va sempre di “monta”. Di “mio”, son talmente alien(at)o e “perso” che penso sempre, scrivendo di malinco-noia, mettendo a posto le virgole del mio star a “punteggiatura” con lo spazio, sì, ma della tastiera.

DiCaprio vince come da “programma”. Lo meritava per The Aviator e Shutter Island. Miracolo volle che non abbia vinto, due an(n)i fa, col più brutto, inguardabile, impresentabile Scorsese mai visto. Vince “a puntino” oggi con un’interpretazione in cui vorrebbe farci credere che un “mollaccione” può vendicarsi a morte di Mad Max. Una blanda standing ovation, con Kate Winslet, finalmente non incinta e in ovulazione, commossa perché ha capito, finalmente, che Sam Mendes non le concederà mai il divorzio per il “seguito” vincente di Revolutionary Road. Entrambi, Leo e Kate, son di bellezza titanica. E dovevano sposarsi. Invece, Leo rimane come una statuetta imbalsamata dal cuore di marmo. Sì, dopo averla ricevuta “in mano”, esprime solo un sorrisetto compiaciutissimo e “sadico” e, da discorso preparatogli, fa l’avvocato, non dell’orso di Revenant, ma del giaguaro degli indiani, parlando anche dei pericolosi cambiamenti climatici, tra parole “guazzabuglianti” peggio(ri) del meltingpot più fintamente correct. Donald Trump lo sa e, da un’altra parte, cita Mussolini.

Meglio comunque un giorno da Leo che cento da pecore, quali son stati gli spettatori pigliati un’altra volta per il popò da questa buffonata di nome Oscar. Forse meglio l’orsacchiotto di Massimo Troisi.

Tutto qua, altro…

Orrenda la faccia di Michael Keaton che festeggia senza contegno la vittoria del “suo” Spotlight, non rispettando il regista del “suo” Birdman, vincitore, come sappiamo, l’anno scorso.

Il resto è “Storia”.

 

di Stefano Falotico

 

 

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