Mud, recensione

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Bel film di Jeff Nichols, forse sopravvalutato però all’epoca dalla Critica americana. Film che va astratto dal Festival di Cannes, ove fu presentato con poche lodi perché fu accusato di essere abbastanza convenzionale e stereotipato, è in realtà un ottimo racconto di formazione in cui la “sotto-trama” thriller è un pretesto per innescare reazioni a catena nell’animo del protagonista (Tye Sheridan).

Due adolescenti rinvengono una barca abbandonata “appesa” a un albero, in disuso e fatiscente, su un’isola deserta. Ben presto però si accorgono che l’isola è “abitata” da uno strano “inquilino”, Mud, un McConaughey di calibrata bravura anche se spesso manieristico e troppo compiaciuto di sé nella sua studiata recitazione alla Marlon Brando, con “ticchettii” del capo e alzate sopraccigliari alle volte fastidiosi, ben fiero verso la fine di esibirsi a torso nudo per mostrare il “body” muscolare d’intagliata perfezione atletica, suo gran vanto. Mud è un fuggitivo, un uomo che per proteggere la sua storica ragazza, ha commesso un omicidio ed è ricercato dalla polizia e dalla famiglia “scagnozza” dell’uomo che ha assassinato, capeggiata da un padre, Joe Don Baker, di reminiscenze alla Cape Fear. Eschi del film di Scorsese, infatti, a tratti emergono e si fanno prepotenti nell’ambiguità di Mud, un vagabondo disperato in cerca del suo amore eterno.

Dicevamo, però, un racconto di formazione. Incentrato soprattutto sulla figura “angelicata” e paradossalmente turbolenta di un ragazzo in fuga da una famiglia troppo stretta, con due genitori prossimi a divorziare, che trascorre le sue giornate “stand by me” (non viene specificato in che stagione è ambientato, presumiamo estate…) in compagnia di un amico che è una sorta di fido scudiero e alleato nei suoi tormenti esistenziali.

I ragazzi aiutano Mud, che cerca di ricongiungersi con la sua ragazza, prima di essere preso, e in questa missione, probabilmente, non vi è tanto la ricerca di semplice, disinteressata solidarietà ma si sviluppa, in crescendo, il caso di dirlo e sottolinearlo, la voglia di cimentarsi in un’avventura straordinaria che rappresenti/a per loro un percorso iniziatico verso la vita adulta, “escamotage” fra l’altro narrativo che serve a bilanciare la durata eccessiva del film e a fornire una prospettiva appunto giovane, dinamica, tambureggiante alla vicenda descritta.

Il ragazzo s’innamora, fa a botte, vive i suoi patemi quotidiani e in cuor suo sogna una vita migliore, o forse vuole sbarcare, attraccare a lidi più sereni da una vita abbastanza emarginata e travagliata dai suoi conflitti di puro senz’arte né parte. Così Mud diventa una chimera, un’ideazione dei suoi desideri, aiutando Mud, che lui cerca anche in notti solitarie da “lupi del fiume”, rovesci vicendevoli della medaglia di due solitudini a “specchio”, evolverà da baco a farfalla, e maturerà prima di quelli della sua età, conoscendo il lato oscuro dell’uomo, entrando in contatto con la temeraria precarietà di quelli più grandi, così problematici, così indaffarati a espiar le proprie “misere” colpe.

Il film mantiene il suo ritmo e, via via, cresce anche la nostra curiosità. Nichols evita le facilonerie e gli scivoloni melodrammatici che una storia così poteva presentare e in cui, fallacemente, si poteva incappare, regalandoci squarci di sobria e mai patetica poesia, forse rovinando un po’ il tutto nel finale, con una sparatoria abbastanza inverosimile e, come hanno detto in tanti, “sovradimensionata”.

Servendoci un lieto fine a metà aperto alla speranza, al divenire dei protagonisti, all’incognita, continua, della vita nel suo misterioso disegno arabesco, entropia condensata dell’essere e del non essere.

Non un capolavoro, una storia già vista, ma raccontata con giusti equilibri, una soppesata delicatezza, qualche inevitabile caduta di tono e alcuni raccordi prevedibili.

di Stefano Faloticomud_foto_24_Matthew_McCounaghey_Tye_Sheridan

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