Le incorruttibilità, la malvagità liceale fatta di facili licenze, i licenziamenti, i linciamenti, i casti e i castori

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Mattina mia invasa, forse da invasato, ah ah, da avidi pensieri di verità, mentre la nebbia, non solo atmosferica, spesso offusca e ottunde molti cervelli imprigionati in schemi retorici e castigati in vite che sempre giudicano le vite altrui e hanno invece della loro (r)esistenza un comune senso del pudore negletto rispetto alle più sincere emozionalità e ostracizzanti il pensiero fluido, morbidamente libero.

Stupito da me stesso, sbadiglio in mezzo ai vostri sbagli, ben fiero di aver raggiunto la bellezza dell’incertezza, l’irrequietezza esistenziale del perenne smarrimento che, a differenza di ciò che i luoghi comuni potrebbero tacciare di “fallimento”, è la fonte salvifica, l’attracco beato di una fervida mente agganciata a un’anima in continuo evolversi, in mutamento imperterrito, perpetuo, atterrita dinanzi a tanta finta baldanza meschina e “indagatoria”.

Che c’entrano i liceali? L’altro giorno, scrissi qualcosa a riguardo del liceo classico. Puntando il dito, con estrema forza, verso quelli che ancora sono ancorati alla classista, classica appunto, e classicistica visione secondo cui è la scuola “migliore”, quella che darebbe l’impronta più preparatoria non solo alla cultura ma alla vita, insomma quella che forgerebbe la tanto ignobilmente celebrata forma mentis.

Semplicemente, un retaggio fascista figlio di una mentalità che così tanto issa in gloria la cosiddetta cultura, definizione di cui assurdamente si abusa, termine alquanto astratto col quale invece, spesso, si fa riferimento solo al nozionismo più vuotamente didattico, mnemonico e legato unicamente a un sapere ampolloso, trombonesco ed enfatico. Insomma, in una sola parola retorico.

Sono stato attaccato per queste mie affermazioni, e qualcuna ha sostenuto che, da qualsiasi prospettiva provi a guardare altri tipi d’istruzione, perlomeno quelli che garantirebbero la “cultura” nell’età appunto della formazione, non può fare a meno di credere che il classico sia la scuola senza dubbio più formativa perché, secondo il suo presuntuoso punto di vista, sarebbe l’unica scuola in grado di fornire quegli strumenti ampi, “basici” e diversificati della conoscenza. Quando le chiedo cosa intenda esattamente, con precisione, per conoscenza, rimane sul vago, “apportando” in sua difesa delle spiegazioni banali e ancor più campate per aria.

Quando si parla di certe cose, si rimane sempre fermi a concetti ancor più retorici e onestamente vecchiotti, tanto che quelle parole risultano prive di contenuti, tenute in piedi soltanto dalla cultura, questa sì, bassa e oscenamente mendace, delle frasi fatte, delle sconcertanti banalità più retrograde, superate e pur ancor vigenti e asetticamente “sussistenti” in un certo mo(n)do di pensare che va, vi dico con potenza, sorpassato.

Ciò per dire che il fascismo nasce laddove proprio ci dovrebbe essere cultura, che non è, ripeto e sottolineo con vigore e veemenza, rabbia e disinibito furore, un elenco, spesso morigeratamente vetusto e fuori dalla realtà, estraneo alle contingenze, per meglio dire, realistiche, di nozioncine, di bei discorsi validi soltanto per un orrendo, “meritocratico” sfoggio di un voto in pagella, di un’inguardabile misurazione del “valore”. Insomma, la più dannosa cultura “scolastica”. Quell’apprendimento appunto astratto tanto importante sulla carta quanto lontano dalla consapevolezza pura, che non si acquisisce su libri spesso partoriti da inutili teorie, atti a “educare” soltanto la compostezza formale, la falsa “giustezza”, proprio la presunzione più bloccante la creatività, presunzione che limita e soffoca con la coercizione del pensiero, è bigotto “insegnamento” della cultura tronfia, boriosa, castrante e appunto fascista.

Io sono certo un caso raro, e non ascrivibile a nessuna categoria. Va detto anche questo… ed è un bel quesito. Ma supponiamo che invece di possedere una grande forza interiore mi fossi lasciato imprigionare da certe mentalità, e non mi riferisco soltanto a quelle “(d)istruttive”, che non avessi dato voce e ascolto alla mia anima, cosa sarebbe successo? Mi sarei attenuto alle più rigide, bacate prescrizioni e tutto questo mio creare, liberamente pensare sarebbe stato sommerso dalle più infime regoline di chi guarda, non solo alla cultura, ma alla vita, scremando il bianco dal nero, facendo inopportuni distingui che già etichettano, si prendono licenze gratuite, in una parola giudicano e decidono al posto tuo chi tu non solo puoi essere ma potresti, potrai essere.

Con me certe persone non attaccano.

Così come non attacca la psicologia. Per quanto abbiano tentato, e ancor tentino (attentano, bisogna star attenti), di volermi catalogare in qualche diagnosi, che farebbe comodo solo ai burocrati dell’ordine, svio sempre con le mie genialità dai più generalisti, freddi, gela(n)ti reparti della mente e dell’anima.

Che poi questi psicologi, lo dico con tutta sincerità, parlano sempre di benessere, quando benessere pare equivalga a ottemperare solo al perbenismo più ipocrita, allo zittire i dubbi della coscienza, ad allinearsi a un cheto vivere “armonioso” che di bello non ha niente, anzi, ha tutto di brutto e retorico. Una vita “tranquilla”, fatta di un lavoretto e del prendere i giorni con “filosofia”. Sì, la psicologia ha fatto danni incontrovertibili, forse irreversibili alla grande bellezza del pensiero, della vita tutta, che è bello appunto sia anche inquieta, dubbiosa, fatta di carne, di conflitti, di contraddizioni, di paure, di ritrosie, di slanci coraggiosi, di lotte interiori e intestine, oggi di malinconie e domani di euforie e allegrie. Intestine, care testine… Sì, sbudellarsi d’incognite, che splendore! Amate, dubitate, titubate, interrogatevi sempre, cambiate i vostri mo(n)di. La vita non è acquiescenza, non è questo falso, immondo “benessere” di cui tutti si riempiono la bocca, questa menzogna agghiacciante, questo volgare, sì lo è, “salutismo” dell’anima, del cor(po), delle strane, lunatiche, ambigue traiettorie percettive, visive, psicofisiche. È movimento disincagliato dai (pre)concetti retorici, e il movimento, le vere dinamiche, anche relazionali, emotive, nascono dagli scontri, dalla irruenze, anche dalle nostre, vivaddio sanissime, benedette “aggressività”.

Poi qualcuno viene licenziato ingiustamente e dà di matto. Allora viene preso per pazzo e finisce a lavorare in qualche “cura riabilitativa”, mentre gli altri lo disabilitano. Che orrore!

Ma tu che lavoro fai? Sicuramente il mio principale lavoro è non dar retta ai giudizi facili, che spesso sono maligni e pettegoli, e non certo mi “adopero” per le false compiacenze. Molti invece lavorano tutta la vita per far sì che gli altri apprezzino il loro lavoro.

Sì, poi vanno a messa con la moglie dopo che la sera prima sono andati a messaline.

Siate casti, siate poi impuri, siate come i castori, prendete la vita a morsi, non demordete però, sgranocchiatela.

di Stefano Falotico

 

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