Black Mirror, quarta stagione: Black Museum

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Ebbene, eccoci arrivati all’ultimo episodio di questa nostra cavalcata nella pirotecnica quarta stagione di Black Mirror. Spiazzante come sempre, imprevedibile, tortuosamente avvolgente, alle volte irrisolta, complessa, sfaccettata, diversificata, che ci ha offerto un altro panorama ampio sulle nostre ossessioni di uomini “moderni” immersi in una contemporaneità oscuramente sinistra, enigmaticamente spettrale. Perché la tecnologia, forse, ha migliorato le condizioni di vita di ognuno di noi ma ci ha aperto a strade tanto nuove, così sperimentalmente fascinose quanto mellifluamente glaciali. Ci siamo spinti troppo oltre? L’affamatissimo desiderio di onniscienza, le nostre manie di controllo hanno imboccato derive angoscianti, sconfinando in surreali, macabri incubi mostruosi?

Ecco allora che l’antologia stavolta si conclude con questo piacevolissimo, geniale, metaforico, spaventosamente grottesco Black Museum.

Una ragazza di colore solca le strade desertiche di un’America arida, poi si ferma a una stazione di benzina. Poco più distante, ecco una costruzione rustica, quasi western che sembra una tavola calda per camionisti. Invece, è un museo degli orrori. Al suo interno, infatti, ci sono manufatti e oggetti che appartengono a vissuti inquietanti, se non terrificanti, sono i reperti che testimoniano storie del passato inconfessabilmente ripugnanti. Storie però realmente accadute, adesso narrate alla nostra turista-“avventrice”, all’apparenza un po’ ingenua e avventata, da un tracagnotto “oste”, custode di questa sorta di “pinacoteca” ai confini della realtà.

Al che la trama si ramifica e l’episodio diventa una specie di matriosca narrativa, in cui in questo caso ci vengono raccontate più storie, per l’esattezza tre, tre storie interconnesse che fanno da sfondo a quella principale, a quella appunto della ragazza nel museo.

Si parte con la storia di un dottorino a cui viene installata una “protesi”, il quale, in diretta comunicazione sensoriale con persone che indossano un casco di elettrodi che captano le loro percezioni fisiche, entrerà in vivo contatto col dolore. Uno strumento che, dapprincipio, gli tornerà utilissimo per riuscire a diagnosticare i mali di cui sono afflitti i suoi pazienti, permettendogli di arrivare con anticipo a prognosi impensabili rispetto a una normale visita superficiale. Lui coglie le dolenze più imperscrutabili, che sfuggirebbero a chiunque, ne sente gli spasimi, visceralmente cattura le strazianti fitte.

Col tempo però questo strumento di dolore diverrà uno strumento addirittura di piacere. Più il dottore riuscirà a sentire il dolore delle persone accanto a lui, più ne godrà immensamente. E questa perversa fruizione del godimento lo aberrerà moralmente. Prima infierirà su sé stesso, maciullando il suo corpo pur di godere delle sue abominevoli ferite, quindi, in una devianza oltre il punto di non ritorno, si trasformerà in un brutale assassino…

Una storia raggelante, truculenta, orripilante, cinicamente allarmante riguardo i leciti confini verso cui può spingersi la sperimentazione.

La seconda storia… una giovane coppia interraziale vive felicissimamente la propria serena vita di coppia, poi lei viene investita e cade in coma irreversibile. Nessun problema… è stato messo a punto un “programma” in grado di trasferire la sua coscienza nella testa del compagno. Così, potranno sentirsi sempre vicini e comunicare di anime congiunte. Ma arriva l’inghippo, come tutte le invenzioni rivoluzionarie, anche questa ha le sue preoccupanti e tristissime complicazioni… effetti collaterali di una sconvolgente, apparente “armonia”. Eternamente “scimmiottata”, potremmo sarcasticamente, amaramente dire.

Infine, la terza storia, quella di un uomo morto sulla sedia elettrica che, prima di morire, per il “bene” della famiglia, ha donato la sua “anima” dell’aldilà a fini “scientifici”.

E quindi il consueto colpo di scena, che rimette tutto in discussione.

Un episodio esagerato, di un cinismo talmente parossistico da risultare estremamente godibile, talmente “paranormale” nei suoi risvolti che non si può che rimanerne sconcertati e scossi. Tutto è condotto alle estreme conseguenze e non si pretende serietà e verosimiglianza da Black Mirror.

Un degno finale, impudente, freddamente allucinatorio. Al solito cupissimamente profetico.

Quello che possiamo rimproverargli è un eccesso di didascalismo con pedanti spiegazioni esternate allo spettatore per fargli meglio comprendere ciò che era già comprensibile da sé.

di Stefano Falotico

 

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