The Witch, recensione

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Ebbene sì, recensiamo il film fenomeno del 2015, ovvero The WitchHorror sui generis, opera prima di Robert Eggers, premiato come miglior regista al Sundance Film Festival, una pellicola acclamata un po’ ovunque in maniera unanime.

Ecco, è davvero il grande film di cui tutti parlano o, rivisto con maggiore e più profonda oculatezza, è decisamente sopravvalutato?

A mio avviso, e non me ne vogliate, sebbene mi attirerò le ire e le antipatie di coloro che, se leggeranno questa mia recensione, rimarranno certamente, fermamente convinti che The Witch sia oramai un’opera assolutamente indelebile del patrimonio cinematografico contemporaneo, permettetemi di avanzare qualche lecito dubbio riguardo la sua vera nomea di cult inderogabile.

Secondo il mio parere, The Witch non è un capolavoro. No. È tutt’al più un buon horror non del tutto originale, certamente anticonvenzionale che, però, nella sua poetica sfacciatamente demodé, nel suo stile ricercatamente, forzatamente naturalistico, nel suo esibito, insistito, oserei dire addirittura disturbante aver attinto compiaciutamente dalle atmosfere rarefatte e austere alla Dreyer e nell’averle dunque pressoché modernamente, puristicamente riprodotte in modo alquanto fedele, nel suo conclamato, spudoratissimo desiderio pretenzioso di voler riecheggiare i rigorosi fasti bergmaniani e, anche in tal caso, nell’averne introiettato e ricreato gli stilemi con sfrontata filologia emulativa, è perciò un film privo di una sua intrinseca, schietta originalità.

Come se Eggers, superbamente ispirandosi a modelli così inviolabilmente alti, copiandoli alla lettera seppur reinventandoli, peccando dunque di madornale immodestia, avesse già puntato a sacramentare il valore intoccabile della sua opera con la prosopopea tipica di chi, nell’ostentare tanto sfoggio visivo, è invero già caduto nella trappola di un insopportabile narcisismo da primo della classe.

Anno 1630, New England. William (Ralph Ineson) è un maniaco religioso che, a causa proprio del suo fondamentalismo cristiano da invasato, autarchico, dogmatico interprete sin troppo orgogliosamente ortodosso della parola di Dio, viene emarginato e bandito dalla comunità puritana con la quale prima viveva e ora si è eremiticamente rifugiato a vivere ai margini di una foresta spettrale, in compagnia soltanto di sua moglie e dei suoi cinque figli minorenni.

Un bel giorno, Samuel, il bambino più piccolo di questa famiglia, appena neonato, misteriosamente scompare.

A portarselo via è stata forse la strega che abita nel bosco.

Da questo sciagurato evento, un senso di mortale paura funerea comincia ad aleggiare e serpeggiare nei cuori via via più terrorizzati, angosciati, mostruosamente incupiti, affranti e persi di William e della sua famiglia.

Come se l’ombra minacciosa del diavolo, lentamente, in maniera subdolamente strisciante, si fosse infiltrata nelle loro anime, avvelenandole nella fin ad allora incontaminata, angelica purezza, estinguendole, infrangendole con la ferina crudeltà del suo peccaminoso, infimo, eternamente averle ammorbate, segretamente imprigionate nell’orrore macabramente più cupido e le avesse inghiottite nella tetra, ingorda, cannibalistica perversità del suo sinistro maleficio.

Poco meno di un mese di riprese per questa storia di discesa negli inferi della follia.

Sicuramente pretenzioso, ripeto. Affastella molti temi interessanti come i primi turbamenti dell’adolescenza, l’incesto e perfino l’esorcismo, senza mai svilupparne nessuno in maniera coerente e continuativa.

Si perde per strada, si sfalda, si regge quasi esclusivamente sulla fotografia plumbea e rugginosa di Jarin Blaschke, sulla forza espressiva del ruvido Ralph Ineson e sul viso di porcellana della bella

.

Approdando a un finale fiacco e assai ridicolo che pare un semi-rifacimento di Suspiria in un notturno falò di streghe nude che lievitano in cielo e paiono più che altro delle ragazze “imputtanite” e impazzite.

Spoiler…

E infine la strega tanto temuta, apparsaci di sbieco nell’unica scena veramente terrificante della prima mezz’ora e poi per un altro breve attimo reincarnatasi nelle fattezze sexy della giovane modella Sarah Stephens, dov’è andata a finire? L’aspettavamo con ansia, era lei l’attrattiva principale di un film sulla carta molto intrigante che però, come detto, non sa che direzione pigliare e si sbriciola nel corso della sua sola ora e mezza di durata. La strega doveva essere il clou di questa sorta di giallo psicologico anacronistico, storico e bucolico, e invece Eggers non ce l’ha mostrata. Dannazione!

Mah, un forte mah.

Abbastanza incomprensibile tutto il clamore che ha suscitato.

 

 

di Stefano Falotico

 

 

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