Her, recensione del film di Spike Jonze con Joaquin Phoenix

her phoenix

Ebbene, a distanza di due giorni dall’uscita nelle sale italiane di Joker, vincitore del Leone d’oro alla 76.a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, qual occasione migliore se non parlarvi di uno dei film più amati ma al contempo controversi con Joaquin Phoenix?

Ovvero Her, scritto e diretto dal genialoide Spike Jonze, premiato all’Oscar per la migliore sceneggiatura originale, il quale ricevette l’ambita statuetta dell’Academy Award nientepopodimeno che dalle mani del sacro monstre e monsieur Robert De Niro, alias Murray Franklin della pellicola di Todd Phillips.

Film innovativo, dai notevoli pregi, avanguardistico e illuminato dai celeberrimi, oramai, bagliori sensazionali del cinematographer preferito da Christopher Nolan, Hoyte Van Hoytema, Her è un film piuttosto lungo della durata di 2h e 6 minuti per essere un dramedy con tinte da science fiction memore del futuro tecnologico qui già profetizzato, in qualche maniera riciclato da Black Mirror e oggi pressoché divenuto quasi assurda realtà. Vale a dire proprio la realtà virtuale sempre più indistinguibile rispetto alla realtà, potremmo dire, reale.

Oramai la differenza fra la virtualità e la schizofrenica nostra telematica, quotidiana realtà, in tempi di social e Instagram, di stories e chat, di dirette interattive YouTube e quant’altro, è veramente impercettibile. La gente fa sesso in cam come se stesse bevendo acqua fresca.

Her è un film tipicamente in riconoscibilissimo stile Spike Jonze miscelato alle suggestioni evocateci già un ventennio addietro dal sottovalutato S1m0ne di Andrew Niccol.

È la storia di Theodore (Phoenix), scrittore ante litteram di lettere per terzi. Che, dopo il sofferente divorzio dalla moglie Catherine (Rooney Mara, attuale compagna nella vita reale di Phoenix, conosciuta non solo professionalmente ma sentimentalmente, neanche a farlo apposta, sul set di questo film), non riesce più a intrecciare sociali relazioni stabili e pare incapace perfino, malgrado i suoi saltuari, non so se salutari, flirt e le sue burrascose notti calde, di avere una donna vera.

L’appuntamento al buio con una misteriosa donna sexy (Olivia Wilde), inizialmente, sembra funzionare infatti a gonfie vele. Fra i due, al tavolo, scatta la cosiddetta chimica e s’accende istantaneamente la miccia della passione sessuale sanguigna. Ma, arrivato al dunque, Theodore tentenna, tituba esageratamente, viene colto da lancinanti dubbi, improvvisamente. E lei, distrutta e delusa oltre ogni dire, lo abbandona alla sua sempre più incalzante, tenera solitudine malinconica, onestamente tetra.

Theodore ha solamente un’amica, Amy (Amy Adams). Della quale forse è pure segretamente infatuato ma che preferisce vedere come una semplice ex compagna di classe a cui porgere sentite condoglianze, no, confidenze nei suoi momenti di maggiore stress emotivo.

Al che, durante una delle sue solite, notturne passeggiate in lungo e in largo per la città, Theodore viene attirato dall’insegna luminosa della pubblicità d’un rivoluzionario sistema operativo attraverso il quale entra in viva comunicazione con una donna racchiusa nelle traiettorie “sinaptiche” di un mini-personal computer, instaurando con lei un’affinità poderosa e molto calorosa, provandone irresistibilmente un’attrazione morbosa via via sempre più simile a un rapporto reale amoroso, perfino metafisicamente carnale, sentito e profondissimo. In una parola portentoso.

Theodore s’è innamorato del suo OS 1.

Theodore, a causa della troppa solitudine, ha bisogno soltanto dell’SOS e dunque di un TSO?

Può essere. O è addirittura così sensibile che, non essendo compreso da una realtà di uomini e donne più alienati di lui, sebbene apparentemente integrati e affettivamente soddisfatti, paradossalmente ci risulta come l’unico uomo vero, per l’appunto, in un mondo oramai perduto, iper-tecnologizzato, asettico e umanamente robotico che par aver perduto la sua senziente capacità di provare sinceri sentimenti?

Ed Harris di The Truman Show, no, ed Her è la voce di Scarlett Johansson nella versione originale, è Micaela Ramazzotti in quella nostrana, oppure è Theodore stesso? Poiché, come gli dice un suo collega, Theodore è un uomo nell’aspetto fisico e indiscutibilmente a livello ormonale ma possiede intimamente e intimisticamente un cuore da donna.

Her è il classico esempio di film talmente bello da poter annoiare a morte. Spike Jonze è stato il compagno storico di Sofia Coppola, non scordiamolo mai.

Jonze, difatti, dalla sua relazione con Sofia, dal loro vissuto d’amanti inseparabili eppur adesso assai separati, certamente ha appreso da Sofia stessa quel senso melodicamente lento di bellezza contemplativa a tratti disturbante o troppo mieloso, tedioso. Che dir si voglia.

Her è un film sdolcinato?

Dall’inevitabile prevedibile finale dolceamaro che lascia, per l’appunto, lo spettatore medio rammaricato?

Chissà.

È come un morbido gelato al limone, servitoci in una vaschetta di due ore, no, 2 kg? Ché, dopo la scorpacciata e dopo essercelo gustato sino in fondo, fino all’ultima, sospirata leccata, ci lascia con lo stomaco in realtà vuoto e risulta, col senno di poi, indigesto?

Non lo so. Anche perché stanotte, anziché mangiare il gelato al biscotto Cucciolone, preferirò orgasmizzarmi con un donnone. Non so se reale. L’importante è arrivare, appunto, al tocco magico del cucchiaio.

di Stefano Falotico

 

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