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I magnifici sette personaggi della Storia del Cinema

Solo per vendetta

Cosa mi piace nella vita? La megalomania, tutto il resto m’annoia.
Credo che sia sempre stato così e tal divinizzarmi è stato (in)giustamente frainteso. Di come preferii farmi i cazzi miei, badando ai culi altrui, spiandoli di mia gastroscopia in radiografico menefreghismo plateale alle fighe, infatti venivo nei pantaloni “a vista”, su lampo di faccia di merda senza vergogna.
Ecco, penso seriamente che io possa rientrare in tale classifica, appunto. Anzi, primeggerei perché, a differenza di questi pur storici ma inventati personaggi, io sono reale.
E tranquillamente fischietto fra un caffè mattutino e una palpatina di gran carisma. Se poi non mi caga nessuno, si tenessero i loro cessi, basta che il mio sciacquone funzioni.

Il mio decalogo è questo: 1) Amati con del dopobarba dopo che è cresciuto su alopecia di doccia-schiuma balsamica e vedrai la vita in modo peloso, da doccia calda. 2) A Nicole Kidman preferisco Nicola Chilomeno, famoso contadino che coltiva olio nella piantagione del suo “metter” lo “zucchero” a ogni scema di porcellana, insaponandola con la quercia secolare del suo “albero”. 3) Tre per tre fa nove, da cui la “Prova del cuoco”, programma culinario prima condotto dalla Clerici di “besciamella” nelle tettone e ora al ragù su faccia gonfia come lo zampone delle sue zampe da gallina. 4) Quattro assi sbancano a meno che non tiri fuori la carta vincente, quattro asini di solito si accoppieranno col bastone della Scopa fra loro di orgia da “cartai”. Gioco fra pensionati, e non solo, detto Briscola. 5) Dammi il deca, ho bisogno di soldi, stendilo sulle dita anche del piede. 6) Sette nani erano otto perché sette mezzi uomini ne fanno uno più “basso” della media ma forse più grosso per Biancaneve, la suora bisognoso della fav(ol)a. 8) Ottovolante e andiamo al Luna Park tutti pimpanti. 9) Dove vai? A novanta? Sì, moltiplicato per dieci il tuo cazzo potrebbe sodomizzare, per ora resta di quei centimetri e basta. 10) Amo Messi e detesto Maradona. Entrambi puttanieri ma almeno Lionel non si droga.
Comunque, siete delle anime in pena. Fidatevi.
A queste, preferisco l’animale col pene. Forse, usandolo troppo, servirà della penicillina. E su questa “cazzata”, è il caso di “darlo”, vado liscio come il burro…

Ecco la hit:

Marlon Brando/Fronte del porto
Robert Mitchum/La morte corre sul fiume
Anthony Perkins/Psyc(h)o
Robert De Niro/Taxi Driver
Al Pacino/Il padrino (Marlon Brando l’abbiamo già citato, e comunque il film è “suo”, Marlon è solo iconico)
Leonardo DiCaprio/Shutter Island (sì, questa è la sua interpretazione epocale, lui è, a vita e morte, Daniels)
Clint Eastwood/Gran Torino

Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

  1. Christoph Waltz
    Bastardo!
  2. Johnny Depp
    Edward
  3. Nicolas Cage
    Sailor
 

“Bad Lieutenant: Port of Call New Orleans”, recensione

 

di Stefano Falotico

 

Bad Jaw d’un folle poliziotto borderline, la sofferenza ignoto delle sue perverse notti

Werner Herzog spiazza e questo lieutenant, di sue ossessioni rimescolate dal Ferrara più potente, quando fu presentato al Festival di Venezia, mi sconcertò non poco di perplessità. E gli “offrii” una metabolizzazione di mio (non) giudicarlo ma abbandonarlo “in sospeso”. Galleggiò nel fe(ga)to. Poi, me ne scordai. Apparentemente, la sua scomparsa durò un frame.

Dopo, infiammò virulentemente, rapendomi dentro un precipitoso incubo tornante. Gracchiando in mia anima illividita, screpolato forse me n’invaghii, avvolto dalla sua ipnotica aria malsana, dormiva sereno ed esplose violento.

Aiuto!

Grido perché invaso da un Herzog divoratore, “verme solitario” scuoiante delle mie emozioni cinematografiche lì profonde ora qui riscaturite scattanti.

Scatta in piedi l’imponenza “gobba” di Nic, ti aggroviglia, ti sbudella, fantasma ancor più sporco del Kinski che fu. Evoluzione dell’irrequietezza nel Klaus in gemellarlo di pazzia formato shaker fra Sailor Ripleywild at heart del Santoro di Snake Eyes (non ferrariani stavolta ma depalmiani) e l’amarezza cristologica dell’Al di là della vita di Scorsese.

Sì, mi ha riposseduto, spossato, disossato e l’anima mia ve n’è stata, con furia, penetrata in fasi alterne, altalenanti gli occhi ghiacciati e blu di tal Nic Cage pavone, pagliaccio, esagitato al massimo, esageratissimo, invertebrato, anfibio, losco, bugiardo, cafone, bastardo, dolce e quindi sbraitante, spastico, macilento, disperato, loffio, affranto e quindi arrabbiato, burrascoso, smagrito e triviale, eccesso fatto carne cannibalizzata dal sé più mio amato-odiato, ecco che spunta d’inquietarmi d’angoscia sottile. Reprimo il volto contorcente di Nic, contatto l’SOS per salvarmi d’esorcismo infermieristico, ma il mio sangue “nitrisce” e gli stringo la mano in segno di patto fedele a nostro unito, argentato nitrato.

Siamo dei feudali alle(n)ati di una congiunta origine alienata. Nic il matto, io il sano, entrambi perciò scopandoci di elettive affinità agli antipodi combacianti su convergenza degli estremi che s’attraggono. Io irresistibile, lui volgarissimo. Che coppia di scopatori di merda. Fantastici!

Non lo vedi di buon occhio all’inizio Il cattivo, traballa quest’Herzog anomalo, rifacimento sui generis, degenerante e (non) ideale del proseguimento di Abel.

E solo adesso comprendo che il nostro digerirlo, mi rivolgo anche ai critici frettolosi nel “detrarlo” dalla filmografia importante di Herzog, sminuendolo di minorità, sia stato un osceno abbaglio. Sì, l’anima di questo grande film, a sé stante rispetto alla versione originaria, comunque superiore col più carnale e spaventoso Keitel, anche nel senso, forse sì, di bravura e aderenza scarnente, risiede nella folle scena in cui Nic, allucinante e drogato di recitazione lisergica, morso dentro, stupido, deficiente quanto devastato, ride sguaiato nella soul still dancing del fantoccio appena trivellato, morto ammazzato dal pusher “duca” ma ballante nel riapparir rapper funambolo di danza magnetica di rapide, immortali gambe.

Una scena che vale il film. Come quando Nic sostituisce Keitel ad abuso di potere, lo potenzia di maggior cattiveria. Se Keitel ricattava le ragazzine con quello storico “Fammi vedere come succhi il cazzo” ma si fermava, Nic (si ) spinge oltre il lecito della schifezza.

Addirittura, punta l’arma da fuoco a una coppietta appena uscita da una discoteca, minaccia il maschietto senza palle, gli ride in faccia, lo paralizza mentre a lei lo ficca non solo di lingua, infatti se la scopa “bello” menefreghista del distintivo.

Val Kilmer sta come uno stoccafisso-soprammobile di però fine arredamento. Presenza “inutile” ma che fa il suo effetto carismatico, anche e soprattutto perché distrutto e imbolsito come non mai. Fra le luci nero-cromatiche d’una fotografia spettrale. Eva Mendes è una puttana nella vita privata. Herzog azzecca la scema giusta, Eva appunto, al Nic ingiusto. Uno che le racconta un sacco di stronzate, solo per leccarla molto…

Questo tenente non è un porco, è peggio, un morto che cammina, un dannato, uno spento che s’accende a botte impressionanti d’un Cage fuori di testa, uno squalo che non fa paura, fa ribrezzo. Perché è già annegato, soffocato, eppur respira e pur urla. Eppure (non) si muove. Non sta morendo, lo è da sempre.

Un patetico lupo innatamente, maledettamente condannato.

 

“Man on Fire – Il fuoco della vendetta”, recensione focosa

Man on Fire

di Stefano Falotico

 

My name is Crease, orso grizzly, and my art is a history of violence…

… acuminata, balistica di strategia profumo revenge calibrata in ogni minimo (det)taglio, oculato ti spio, ti stano e, quando ti trovo, gemi in una pozza fragorosa di sangue, oh mio brillante in fontane laviche zampillanti, modellate dal plasma virulente d’un focoso silenziatore ficcato a tua anima deflagrata, mio impotente, in mille pezzi da comporre un puzzle per farti ancor più impazzire, nel dedalo del tuo crudele labirinto, orco hai visto comparire dinanzi a te lo spietato demonio. Chi è stronzo?

Simpathy for the devil, il Diavolo è simpatico, sì, quanto può esserlo un nero sputo divino e punitivo in tuo occhio volgare di vetro, qui dirimpetto a me affievolito, teneramente supplicante un madornale perdono di tuo orrore, un pugno che ti sloga il cuore di pietra e l’arrostisce in fiamme gridanti la tua viltà da bestia, flagellante vendetta esemplare tatuata in tuo viscerale marchio di lento terrore… ausculta come, acuito, in tue vene evaporanti, ti stai smaltando, già macellandoti, cannibale, nella cenere del tuo calvario, ticchetta il cronometro, la paura fa novanta, fuggi a gambe levate e altri specchi rompi, linciando da lontano d’altro bastardo turpe carnale che incarni, ma l’orso è in guerra, sta brandendo la tua pelle laida e ci concimerà il suo esplosivo pasto nudo. Esecrabile, ferente d’arder sadico, non ascoltando, insistetti pervicace, illuso di poter scappar da scaltro. Ma la tua furbizia s’è scontrata con un adamantino duellante e la sua ferocità udirai entrarti pian piano come lama a mugolarti in singhiozzi patetici di tuoi slabbrati spasmi. Sono il tuo d(i)ur(etic)o, la morale al di sopra d’ogni etica.

Ora, prova a sparare. Ti treman le gambe, un vago squittio delirante ti costringe a depositar le tue vanagloriose armi. Oh mio carino cane, che tanto azzannasti di canini, dove hai smarrito, adesso, la trappola tentacolare delle tue tenaglie? Non mi dire che, piangendo, dentro stai crepitando. Da te non sarebbe, forte e coriaceo qual sei, resistente a ogni attacco e qui, rapitore, or a rattrappirti, mia cornacchia, da spaventapasseri?

Nuda è la tua boria, invece la mia calma è pacifica, implacabile, diabolica e non ambigua, ubiqua ti penetra, di tuo presto feretro dopo altri tuoi amici già sotterrati in funebre corteo.

Cimiteri a me, riunisco i fantasmi di chi volesti seppellire, giovane e innocente, nel tuo giogo mostruoso in mio invece assassinarti furioso. Sei pallido, ossa e senza pelo, qui c’è il lupo morso nell’orgoglio che, rapido come un affilato rasoio, sta fendendo con imprendibili fendenti. Accanisciti, urla e sgolati, presto decollato in giugulare recisa con nostalgia dell’aver tu immondamente peccato, sarai piacevolmente sbudellato, bucherellato e sbranato.

Inchinati alla maestria, è d’uopo al mio adesso lupone, e poi verrò il dolore di totale tuo svolazzar per aria prima del vuoto. Non sono un poverino né un paperino, semplicemente ti polverizzo, mio ricco idiota damerino.

Ciao. Chi sono io? Colui che appare, durante la festa in maschera nella discoteca dei matti, e da dietro t’afferra con stessa forza tua rivoltante. Prima ti getta a terra e poi sotto, anche se implori.

Ciao. Chi sono io? Un missionario per conto di Dio.

Ciao. Chi sono io? Ora, te lo dico.

Dopo, non sentirai più nulla.

Alla prossima.

 

 

 

Mickey Rourke: Stefano Falotico intervista Federico Frusciante e Davide Viganò in merito

Sgualcito, sexy

Sgualcito, sexy

Nooo! Ahia! Monstre!

Nooo! Ahia! Monstre!

Appeal

Appeal

Introduzione

Mickey Rourke, un freak vivente ma, a mio avviso uno dei più grandi interpreti degli ultimi trent’anni circa. Sgargiante agli esordi, bellissimo come solo San Francesco della Cavani poteva essere ambiguo di sensualità “pura”, nove settimane e mezzo, forse un po’ di più, d’una carriera bruciatasi come un falò tanto ardente quanto “cotto”.

Perché Mickey Rourke è “pazzo”. Un talento enorme, fuori dal comune, un carisma a pelle da far impallidire i migliori, che compete col grande De Niro di Angel Heart e gli tiene testa, non perché è il protagonista ma perché nel confronto col “mostro” sacro non sbaglia una “virgola” di fronte aggrottata, di mimica in sordina facciale, di classe gestuale, di parole scandite lentamente come un Marlon Brando più “laido”, sdrucito, già autodistrutto in serpentesche scelte davvero mefistofeliche.

Sì, il nostro angelo Mickey è la classica faccia stupenda, o almeno lo era, intagliata nel Peccato Originale, uno che può tutto e sbaglia puntualmente ogni film, lo fa apposta perché è uno stronzo, non ha cervello, non sa valutare i copioni, accetta quel che gli “passa il convento”, diventa pupillo di Michael Cimino l’immenso e poi tradisce i suoi ammiratori dandosi al pugilato d’incontri spesso truccati come poi si rifarà il trucco di lifting “plastici”, d’una chirurgia eterna, terribile per conservare un fascino già bello… che andato da parecchio. Pezzi di culo su occhi da “ritagliare”, però fanno ancora paura in senso positivo del bucar lo schermo e ogni sua apparizione a noi attrae.

Pare che risorga con The Wrestler, ottiene una nomination all’Oscar sacrosanta, forse lo meritava più del suo amico Sean Penn di Milk.

E da allora piovono copioni di qualità. E lui che fa? Ne accetta un paio e manda di nuovo in malora tutto. “Biascicando” il suo esser nato marcio, difficile, pericoloso per i registi, troppo sciupafemmine e puttaniere per sigillare la sua star da “tutti mi conoscono, quindi lo sono, ma nessun davvero mi prende sul serio, quindi sto sempre sul chi va là?”.

Eppure è stato grandioso e quando dico questo è perché lo credo. Non scherzo. Prendete il sottovalutatissimo Barfly… è lui l’incarnazione estrema, divorandosi di Charles Bukowski, altro che Ben Gazzara, Matt Dillon e cazzi vari.

Mickey è Henri Chinaski, perfetta adesione al ruolo da factotum. Ingrassa, scoreggia, beve come un porco, scopa come una merda, recita divinamente. Così è. Guai ai detrattori.

Bellezza da marpione irresistibile

Bellezza da marpione irresistibile

 

E ora le mie domande al nostro Fede Frusciante…

 

1) A me è sempre piaciuto. A te? Quali sono, a tuo avviso, le sue interpretazioni indimenticabili?

Johnny il belloL’uomo della pioggia, Animal Factory, The Wrestler, Immortals, Homeboy.

 

2) Reputo L’anno del dragone un capolavoro. E Mickey è di nuovo la scelta più giusta che si poteva compiere. Concordi?

Grandissimo film del mitico Cimino e Rourke è perfetto per il ruolo.

 

3) Andando a scorrere la sua filmografia, “assistiamo” a una lista impressionante di pellicole. Cioè numericamente parlando. Ma, a ben vedere, tanto è “prolifico” quanto su dieci film ne azzecca al massimo uno. Soprattutto ultimamente. Secondo te, Mickey ci fa o ci è?

Mickey ci fa e ci è. Ha girato tanta di quella merda che ci concimerebbe tutta la Toscana, ma quando azzecca la parte è grandissimo.

 

4) Se potessi essere tu, Fede, il regista di un film, e avessi a disposizione Mickey Rourke, che parte gli affideresti? Sbizzarrisciti pur di fantasia.

Di un ex-guerriero ormai divenuto mercenario in un bel post-atomico stile 1997.

 

5) Io credo che Rusty il selvaggio sia un’opera magnifica. Ma non sarebbe stata così bella senza il nostro Mickey Motorcycle Boy. Tu che dici a riguardo?

Secondo me, Rusty è magnifico a priori. Con o senza Rourke.

 

Ora, invece, tre domande secche e veloci al nostro Davide Viganò:

 

1) Secondo te, la sua migliore prova in assoluto?

Rourke è un corpo-macchina cinematografico, un personaggio simbolo che si trascina da set su set. Pare più che interpretare parti, che sono capitoli di un romanzo.  Amo molto motocycle boy o the wrestler, ma è tutto un flusso di coscienza di una certa umanità senza veri stacchi se non in certe pellicole alimentari.

2) Perché credi che si butti sempre via?

 Si butta via come tanti per fragilità, incapacità di sostener la vita e cazzi suoi. Ma non sono lui e non so.

3) Avrebbe meritato almeno un Oscar?

 Sì, avrebbe meritato.

 

Bye, alla prossima.

 

 

 

 

Alla salute!

Alla salute!

To remember

To remember

Faye, Charles and Mickey, che trio

Faye, Charles and Mickey, che trio

I am Legend

I am Legend

 

 

Flettendo

Stavo riflettendo sul senso trascendentale del seno.
Questa generazione è ludica di giochi ma poco lurida e dunque sì in senno.

 

“Ronin” by John Frankenheimer

Hai paura di lasciarci la pelle? Beh, sì, mi copre il corpo.

Hai paura di lasciarci la pelle?
Beh, sì, mi copre il corpo.

 

di Stefano Falotico

 

La magnifica Parigi fredda dell’ultima perla polar

di John Frankenheimer

 

Cinque mercenari, appartenenti ognuno a un’agenzia segreta di spie, che non ci viene rivelata così come rimarranno nascoste le identità dei loro membri, chiamati semplicemente per nome “anonimo”, oggi oseremmo dire nick, vengono convocati in un luogo misterioso ubicato alla periferia di Parigi.

Sono stati assoldati per tale missione: riunire le loro forze e la loro esperienza in tecniche di guerriglia urbana per venire in possesso di una misteriosa valigetta, il cui contenuto però rimarrà a noi ignoto sin alla fine.

Insomma, il perno dinamico attorno a cui, è proprio il caso di dirlo, convergerà l’action nevralgico della struttura e della trama del film è il classico “colpo” da MacGuffin, quello stratagemma narrativo, diciamo espediente scaltro, “depistante”, coniato da Alfred Hitchcock nel cui “obiettivo” si concentra l’enfasi sulla quale ruota l’intera vicenda ma che, per gli occhi di guarda, il pubblico appunto, ha un aspetto totalmente irrilevante, proprio perché la sua importanza ci viene tenuta nascosta.

A capo dell’organizzazione, l’algida Deirdre (Natasha McElhone), che spiega alle spie, tutte specializzate in un campo (chi, ad esempio, nell’elettronica, chi nella guida delle auto), come portare assieme la missione, congiungendo le loro uniche abilità. Diciamo, una prova d’addestramento, con tanto d’ingegnoso piano, studiato nei minimi dettagli, per riuscire a estorcere dalle mani di un boss della mafia la valigetta tanto ambita.

Come si suol dire, in questi casi, è naturale che qualcuno tradirà perché forse è un infiltrato, la tipica talpa, che sotto copertura invece è schierato a favore dei “cattivi”.

E l’intreccio si complica. Chi fa il gioco sporco di chi? Chi è il “consigliere fraudolento?”. Chi sta fingendo di “arma a doppio taglio?”.

Il film è come un caffè amaro bevuto in un bistrot raffinato. Diluito nella pregiata miscela d’un Frankenheimer nel suo nostalgico, svettante canto del cigno.

Un Frankenheimer che torna alla grande dopo anni di appannamento, ambientando il suo ultimo capolavoro in Francia, fra le viuzze crepuscolari di Nizza, i tramonti languidi di pregna malinconia, inseguimenti automobilistici mozzafiato e “d’antan”, cioè ricreati in modo “artigianale” e “in diretta”, senz’uso della computer graphic o effetti speciali posticci.

Un film antico, quindi, memore di un’altissima scuola cinematografica oramai sbiadita dalla convulsa frenesia del finto luccichio dell’odierna, indigesta Hollywood tutta botti e spari ma, a differenza del grande nostro John, priva di anima.

Secondo gli stilemi proprio d’un classicismo da far rabbrividire per maestosa maestria registica, puntiglio tecnico, calibrata dosatura delle inquadrature, “ciniche”, secche e veloci come un’appuntita, ficcante, glaciale lama di rasoio, dopo tante peripezie, inganni e robusta adrenalina sontuosa, la missione viene portata a termine.

La valigetta finisce nelle mani dei buoni. Ma sono davvero buoni?

Su questa domanda, senza risposta, Frankenheimer ci stordisce d’altro impagabile retrogusto ambiguo da applausi.

Un film perfetto, che cresce col tempo. Sottovalutato quando fu presentato Fuori Concorso al Festival di Venezia, è invece, ribadiamolo, un raro esempio d’impeccabile stile, rinvigorito da un parterre di volti d’attori straordinari, sui quali spiccano un grandioso De Niro “melvilliano” e il bessoniano Jean Reno, fenomenale accoppiata di recitazione sobria, giocata sugli sguardi, i furbi ammiccamenti complici, le “freddure” delle battute scritte dai due sceneggiatori, J.D. Zeik e soprattutto il solito beffardo, inarrivabile David Mamet, qui accreditato sotto il nome di Richard Weisz.

La fotografia nitida e acquosa, “allineata” alle rigide atmosfere decadentiste del film, a firma di Robert Fraisse, e le “sottili” location indimenticabili, contribuiscono a quel tocco di magia nostalgica ed emozionale, da lacrime agli occhi, tanto quanto la romanticissima colonna sonora di Ella Cmiral, ispirata, mesta, “dolorosa” e innervata dentro le coordinate d’una superba vetta melanconica dal profumo grande Cinema.

 

 
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