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Samuel L.Jackson vs il suo versetto Pulp/Goodfellas

di Stefano Falotico

Samuel L. Jackson/Jules Winnfield, “direttamente” da Pulp Fiction di bau-bau-Babau-le, ha paura eh?-bang, intervista ferocemente Frank Whaley/Brett in merito a Martin Scorsese

Se la panza è piena, il cazzo inflaccidito non più si scatena. Ché, se t’adatti al bacon di McDonald’s, non c’è più salsa nel far sangue alle donne

Versetto di Geronimo alla Walter Hill, 13, 79, data di nascita del Falotico nella “Holy Bible” della sua evangelizzazione

La celeberrima (s)cena, in cui il gangster Jackson va a casa del “fringuello” Brett, con tanto di passo “biblico”, reinventato e rielaborato da Tarantino, è storico, pezzo di Cinema da puro hamburger. Perché Quentin non è un pollo che mira solo alle “patatine” fritte, non è un cazzone qualsiasi. Egli, prima d’avventurarsi a Hollywood, studiò a memoria Scorsese. Solo dopo averlo “digerito”, incapsulato nelle sue ottiche personali, masticato con calma e averne assunto le proteine da colazione dei campioni, solo allora con “sfrontatezza” coraggiosa ebbe appunto l’ardire d’ardere il Cinema americano di nuova e rinnovante Luce.

Tanto d’affidare a Samuel ciò che proprio Scorsese accennò nel suo “negro” di Goodfellas. Quei bravi ragazzi finisce coi titoli di coda “sparati” in primo piano turbolentissimo, glaciale d’un Joe Pesci “buffo” da Oscar. Lo stesso criminale bassotto e arrogantello, presuntuoso come pochi, tanto da chiuder subito la bocca a chi lo manda a fanculo, Spider docet nell’essere ucciso nel ventre… Joe è colui che ammazza a sangue freddo Stacks Edwards/Jackson. Eh già.

Tommy, da non confondere con il quasi identico tarchiatello Danny DeVito.

Il cognome è uguale, la statura somigliante. Entrambi commedianti per “piccole” parti di proporzioni cinematografiche epocali.

Ebbene sì. Chi non ama Scorsese, da me può andare a farselo dare.

Da che mi ricordi… è il primo film di Martin che parte, già in quinta su macchina sfrecciante colori sanguigni di Saul Bass hitchcockiano, con il “fuori onda” d’una frequenza chiamata voce narrante. Chi parla è lo stesso protagonista, Ray Liotta. Quello che sta seduto nel sedile accanto a Jimmy Conway.

Il film inizia così, febbricitante, accelera d’onda d’urto in medias res, è fabula nera mutante marcia fra marcissimi, strepitosa d’un intreccio con tanti lupus. Nelle notti buie, gli scagnozzi han scannato uno stronzone, questo l’apprenderemo dopo, a metà appunto della narrazione.

Quando Joe e “combriccola” sosterranno a casa della su’ mamma, la genitrice proprio di Martin. Prima han fracassato il cranio di Vincent Frank, poi si van a pappare le polpette.

Insomma, prima giù di accoltellamento, pestaggio e sbatterlo nel “posteriore”, poi la “pausa” rilassante. Anche umoristica, con Pesci che continua a raccontar balle alla madre, a cui confida soltanto “implicitamente” di andar a puttane. Come la loro vita, andata sin dalla nascita.

Sì, Henry è incasinato fin dapprincipio. Cazzo, il suo mentore è Sam “Asso” Rothstein di Casinò. Cosa poteva aspettarsi se non un suo pentito e il giornale dell’assistenza “sociale” della protezione testimoni? Insomma, roba da Luc Besson nostalgico di Malavita…

Ed è per questo e mille altri motivi che Quei bravi ragazzi è un assoluto, untouchable capolavoro eterno. Guai a chi lo tocca con rivalutazioni da gran testa di cazzo dell’ultima ora.

Sapete… è sempre la prima visione quel che conta. Se qualcuno vorrà persuadervi che il film fu sopravvalutato (in realtà affatto, tanto da vincere solo il “secondo posto” al Festival di Venezia), be’, figli di puttana, questo lurido porcello si chiama Brett.

Ed è uno che voleva fottere Marsellus Wallace…

Cazzo, proprio il mitico Ving Rhames “scoperto” da Tarantino e reso ancor più spettrale-resuscitato da Scorsese Martin in Marcus di Bringing Out the Dead.

– Ora, stammi ben a sentire Frank Whaley. Tu pensi davvero che nella vita Tutto può accadere?

– Era solo finzione. Magari aver potuto passare tutto il “plenilunio” con Jennifer Connelly…

Bravo… questa è l’unica risposta che potevi dare, mio bugiardo.
Mi stai simpatico. Per questo, non ti sparo.

Qui, bello mio cocco, sono oggi davvero cazzi.

Il pre-finale di Goodfellas, con Ray/Henry che prova a districarsi fra Lorraine Bracco, i ricatti dei “rigatoni” e delle amanti che ha trombato di corna, Paul Sorvino e gli elicotteri, i giudici forse corrotti, il sugo, gli amici bastardi e tutto il resto dei Rolling Stones, al confronto di questa storia è uno da pastasciutta.

(S)fortunatamente, non lo sono. Siamo nella merda, fratello.

Posso “spizzicarti” un bocconcino… di quel buon panin(ar)o?

Dai, mica sarai a dieta, no? Allora, dammi almeno l’insalata.

 

Ezechiele 25:17. “Il cammino dell’uomo timorato è minacciato da ogni parte dalle iniquità degli esseri egoisti e dalla tirannia degli uomini malvagi. Benedetto sia colui che nel nome della carità e della buona volontà conduce i deboli attraverso la valle delle tenebre, perché egli è in verità il pastore di suo fratello e il ricercatore dei figli smarriti. E la mia giustizia calerà sopra di loro con grandissima vendetta e furiosissimo sdegno su coloro che si proveranno ad ammorbare e infine a distruggere i miei fratelli. E tu saprai che il mio nome è quello del Signore quando farò calare la mia vendetta sopra di te”.

Ezechiele 25:17. “Il cammino dell’uomo timorato è minacciato da ogni parte dalle iniquità degli esseri egoisti e dalla tirannia degli uomini malvagi. Benedetto sia colui che, nel nome della carità e della buona volontà conduce i deboli attraverso la valle delle tenebre, perché egli è in verità il pastore di suo fratello e il ricercatore dei figli smarriti. E la mia giustizia calerà sopra di loro con grandissima vendetta e furiosissimo sdegno su coloro che si proveranno ad ammorbare e infine a distruggere i miei fratelli. E tu saprai che il mio nome è quello del Signore quando farò calare la mia vendetta sopra di te”.

 

 

La vita di Scorsese, al di là

Al di là della vita

 di Stefano Falotico

Arrostiscono i pensieri, sbandanti su lacrime tanto maleodoranti quanto piacevoli nello “stizzirmi”, strozzato vago in notti alcoliche, raffrenate dal fosco imbrunire delle emozioni. Ma, proprio quando la fiammella del mio amore, lì lì per svanire, sta finendo di brillare, con parsimonioso slancio miracolante osservo New York, forse immaginandomi star fra le stelle a Los Angeles, la città degli angeli.
Come Frank Pierce, il paramedico “opaco” che, dal nero della sua anima, sempre morente e languida, s’increspa di gioie da “idiota” dostoesvkijano, fra un bicchiere colmo e traboccante ansia e spugne non assorbenti delle sue allucinazioni permanenti. Soffia sull’asfalto l’ambulanza, s’insinua a “claustrofobia” del dolore, sputacchia lampeggiante di “crociato” arrossire per un’ineludibile pietas.
Chi è Frank Pierce, nato dalla penna di Joe Connelly, filtrato a luci proprio traslucide da Paul Schrader, e “adombrato” nelle vertebre, strizzanti odor funerario, di Nic Cage? Occhi che s’illanguidiscono, brancolano come zanzare d’una pulsione sempre prossima alla morte. In dirittura d’arrivo nella stagione dell’eternità, del suo sonnambulo. Nicolas Cage è alto, qui Scorsese lo ingobbisce, ne scolpisce i muscoli dentro un camice da paramedico color “appassito” a loculo della cristologica Passione. Tanto sparisce Nic da diventare invisibile, macchina Thanatos d’un desiderio di requiem for a dream, d’un riposo beatificante fra le braccia di Patricia Arquette, all’epoca erano ancora innamorati l’uno dell’altra.
Vira nella nerezza più haunted, ghiaccio di palpebre stanche, arranca, sta morendo a ogni frame, negli svaniti istanti sta per (non) essere Amleto nella brillantezza sua che non possiamo sapere se fu. Sfuma, beve, alcolizzato d’un dolore interno e cronico.
Lui stesso da “Chrono”(metrista) nella scandita palpitazione d’una spettrale maschera incisa a scoppiar da un momento all’altro. In tal caso, la recitazione, prima trattenuta e fin troppo composta, “dimessa” e senza retorica acting di Nic, poi a divampare eccessiva, caricata in dinamitardo esplodersi d’incomprensione, frammentata in mille accelerazioni sul pedale dell’ambulanza e del suo sovrabbondare di tic espressivi da (non) vedente, cambia improvvisamente, detona in sfumate inflessioni d’un attore che abbiam sempre sospettato, nell’aspettarlo (im)pazienti, che potesse spingersi appunto oltre le soglie d’una efficacia “anonima”.
Qui, Nic trova la grandezza che solo Lynch vide e catturò in pelle di serpente da Cuore selvaggio. Diventa la mutazione perenne, il nevrotico palp(it)o di mano miracolosa, taumaturgica a iridescenza del trauma in lui stesso mai curato. Sta male, soffoca, delira e l’intero capolavoro nostro cinematografico, donatoci da Martin, vibra e dunque vive d’assoluta funzionalità alla mimesi sofferta, lancinante d’un Cage straordinario.
Nic è stempiato più del solito, è sfibrato, la sua voce è ancora più spezzata, la tempra del corpo atletico non regge il peso dell’esistenzialismo, dei complessi (in)giusti di colpa, spacca il muro del suono su musica stordente, esagerata, “fuori sincrono” dei già, di loro lo sono, fenomenali e spaccatutto Clash.
Una colonna sonora da brividi, pezzi sparati a raffica, sbriciolanti, evocano magma e furia, forza contorta, abrasione, lacerazioni e nervosa “centrale elettrica” del patire, del patibolo, della crocefissione per un Dio, il Pater bastardo di tutti, (in)esistente si trasfigura in Frank, un Cristo che raccatta i “morti” dai tombini, li solleva, s’alza in volo sul coro (in)ascoltato, cardiaco.
La morte regna sovrana, nello sguardo franto della minorenne Rose, l’Iris moderna e drogata più della “tossica” prostituta Jodie Foster, immacolata Concezione divina del Cinema. Che non occhieggia al furbesco, per questo Al di là della vita rimane una perla nascosta, da “scoperchiare”, un tabù, un “neo” alla De Niro nel Cage evoluto(si).
Perché Scorsese non fa Cinema di voluttà. Non ammicca per farsi i critici amici. Gira quel cazzo che vuole anche se targato Paramount. L’Universal produsse, sotto l’egida di Spielberg, l’apoteosi del Cape Fear, il promontorio.
Scorsese cancella la paura del vivere nell’incubo più incompreso della sua trilogia notturna, Taxi DriverAfter Hours e questo lapidario, roventissimo, “sanguinario”, kurosawiano Bringing…

 

Al di là della vita Nic Cage

 

Bringing Out the Dead

 

Poltrona sexy, per ogni Tony Montana horror che si rispetti!

Rosso di cuscinetto, orrendamente si spera, spero di non spender molto per averla in culo

Rossa di cuscinetto, orrendamente si spera, spero di non spender molto per averla in culo, come te, donnetta da uncinetti. Cuciti la bocca. Accatterò io, accattoni!

Tale poltrona, cari poltroni, io debbo avere. Io son avaro e tu stai zitto. Non meriti né uno zio né le avarizie di chi, avara appunto, non te la dà. Punto, virgola e trapunta.
A capo dei capi, che sei tu, mafioso per eccellenza. Eccellenza di che? Riverisca in quanto reverendo sono. Ma la vendono a quanto?
Come? A 100000 Euro? E dove cazzo vado a prenderli?

Invento così una strategia di morbido acquisto.
Sì, è mia, la ruberò. Anzi, ricatterò gli acquirenti ad asta, a canestro, a canaste e tu via dalle palle, canaglia. Ma che vuoi ragliare? Tornatene da tuo marito, un asino.Con questa intimidazione al venditore, sì, è un ermafrodito ambiguo di non identificabile sex appeal, concluderò il mio affar di cazzi tuoi. Montana! Io compro tutto a 3 Euro. Affare concluso!

Non me la vogliono dare. Afferro la poltrona per il braccio sinistro. Mi sganciano un mancino in pancia. Poi due, tre e mi sbattono a terra. Urlano di chiamare la polizia perché provo a divincolarmi. Anzi, ci riesco.
Sferro un cazzotto al venditore/trice imbonitore, senza bontà gliele strappo e lo obbligo a firmare il contratto.
Arriva, nel frattempo, la polizia.
Prendo la poltrona e la lancio addosso ai poliziotti.
Fa più sangue se sporca il pavimento.
Fa più arredamento vero.
Fa più rossa di fuoco ché il tramonto non è un mio domani.

(Stefano Falotico)

 

“Scent of a Woman – Profumo di donna”, recensione e promozione con lode

Dorme eppur è più sveglio di voi!

Dormiveglia, eppur è più sveglio di voi!

di Stefano Falotico

Tra i franti, cimiteriali pudori d’una società lercia, d’effimero corroborata di vividezza ma invero già tristemente, nel dentro, (s)morta, la purezza d’un ragazzo già “vinto” dalla bolsa “istituzione” cinica, vien da un cieco spronata alla rivincita, in quanto la sua “cecità” non è affatto (scon)fitta.

C’è chi prende la vita come un gioco a tappe(to), quasi tutti purtroppo. E tanto s’affannano a “rattoppar” la cera già bucata  dal falso, dunque si rapiscono nell’anima venduta a “caro” p(r)ezzo da pezzenti, tanto poi farneticanti sbraitano pagliacceschi sol da ipocriti in realtà ador(n)anti la fottuta topa. Ah ah!

Non li biasimo, della vita non han capito appunto un cazzo.
Perché vivere non è “vincere” dietro la camuffata viltà da vittoriosi coperti di “giusta” apparenza” ma “vedere”. Anche laddove trasgredir si deve per imporre proprio la giustezza delle cose e apporre firme non più espellenti nel sigillar precocemente quelli che credono nei sani valori da amanti. Oggi, questi son pochi, ci chiaman tonti e cretini.

Disprezzato da molti, il film più controverso di Martin Brest.
Un “Prima di mezzanotte” nel “buio” di chi vedrà, già ah ah, oltre… le coltri e i riti da damerini. Forse un mago, un poco di buono, un disgraziato senz’arte né parte ma quel che conterà è il Cuore.

Pacino qui è un “raccontaballe” di gran mestiere e recitazione dal color Actor’s Studio, limpido come due iridi perfette ad “adombrarle” di rabbia, di ribellione che scalcia e poi non si contiene. A comando del suo tenente, un po’ “bad”, colonnello Frank Slade, missione salvatore. Soprattutto di sé.
Uno che non puoi tenere facilmente a bada. Gli occhi sembra che non vedano ma osservano con più profondità, nel sesto senso d’intuito velocissimo ad annusar quel che gli appare, ed è infatti, un pregiudiziale, erroneo “rifiuto”.

Vive in compagnia di un gatto, assistito “domiciliarmente” dagli “affettuosi”, unici suoi amici, i parenti serpenti amati eppur odiosi. Ché molto fingono di volergli bene con “tenerezza” quanto proprio coi “caritatevoli” gesti non fan altro che non arrestarlo.

Sempr’innervosito, come richiede la “tradizione” del Pacino. Uno che di sparate e sassate dalla “vecchia” scarpa ne “vomiterà” tante. Un assatanato! Un provocatore (non) nato.
Bisbetico non domato, arrogante ché si arroga le finte Giurisprudenze da latinorum e puttanate gerarchiche. Un geriatria delle emozioni sincere. A pelle.

Il film, chi più e chi meno, tutti credo che l’abbiate visto…

Accusato di retorica e insopportabile “semplicismo” da lieto fine “scaldacuori”, invero nasconde nel suo intimismo, “superato”, la dose cinematografica del Paul Auster.

Una storia semplice, per nulla. Tanto rumore per… una bolla di sapone… e gli applausoni meritati com’esige l’entusiasmante monologo del Pacino scalmanato di pregiata p(r)osa.

Perché Pacino non vive bene, è stato segnato irreversibilmente da una tragedia. Ma, nel punto letale del suo esperirla, mal digerirla certo, ha accresciuto le prospettive uniformanti, perciò deformi del “sano”, omologato “crescere”. Si son soltanto che rimbambiti e ingobbiti.

Il problema non è  divenir un leader ma essere o non essere. Perché Shakespeare è alla base d’ogni (s)figa.

E d’ogni grande uomo che urla da “disarcionato” Re Riccardo.
Solo della meravigliosa vita, Frank… caprianamente nel sorriso da coda caprina di Pacino il diabolico, viverla nel maggior sentirla, che fa rima con cardiaco ritmo e crescente innamorarsene.

Il resto è una stronzata. Non vi lasciate fregate! Il viaggio è appena iniziato. Non sempre tutto funziona, si esagera di “miele”, questo è vero “alveare” dei trucchetti acchiappaspettatori del “furbetto” Brest, ma comunque è meglio dell’imborghesirsi e star in pantofole a discutere di lavoretti, troiette e “tacchi(ni).

Necessito del mio “Ringraziamento”.

Se non vi piaccio perché appaio superbo, lo sono in quanto superfluo. Ah ah!
Io non mi celo nelle apparenze. Io vedo. Questo è il mio Verbo.

Dunque, a tutte le spie, non figlie di Maria, una verginella che però non se le mandava a dire, vaffanculo!

Chi mi credo appunto di essere?
Ma chi crede di essere lei, piuttosto!

Si segga e mi lasci parlare, anche urlare se necessario!

Entrerei col lanciafiamme in quest’aula…

 

“Taxi Driver”, la visione ascetica e scettica di Travis Bickle, un matto lucido e ambiguo, ambizioso a modo suo

Il lupo notturno e il suo unicum di tribù

Il lupo notturno e il suo unicum di tribù

 

di Stefano Falotico

Delirio, De Niro in molteplici sguardi onirici, ne(r)i cangianti…

Affievolito su una riva bagnata dal sudore solitario, distillati aromatici di palpebre assonnate infil(z)ate a suo vagabondo, gaudenti ad “arrider” un Mondo che, tronfio, persevera in batter selvaggio nei suoi “colmi stronzi”, rompendo gli “scheletri” proprio di un armadio bellico, bello per niente, d’armamentario che abusa della parola amore con sconcezza immonda, uno strano cerbiatto (non) gode come un bastardo ammattito. Distinguendosi nel suo “pagliaccio”.

Al che, da una tenebra “birichina”, soffiante arsura di un’anima giammai corrosa nel casino frivolo generale, dei (tele)comand(ant)i col “diritto d’ordinanza” a spingere il pulsante “rosso” della flebilità falsa, dunque questa sì farsesca, il “fatuo” menestrello gironzola per strada, (non) a testa alta. Sempre rapito dal suo spettro, horror congenito d’un DNA che non vuol cambiare, né vi(t)a né traiettoria, “accelerando” anzi su un pugnace “infrangersi”, tendersi dentro, avviluppare il fantasma che lo percuote d’ansimi e, “asmatico” in tal esistenza vacua e soffocante, manda all’aria sé stesso d’apparenza vana come un aut(istic)o erotismo da umiliarsi “giullare” non cu(o)cendosi e non scusandosi, morde il suo scottato Don Chisciotte de la Mancha, guida da tassista “ignoto” che nessun vede e al quale non danno neppur tre spiccioli di mance, ignorandolo fra altro lor prostituirsi a un sistema “meccanico” e di manica “buona”, mica tanto, che appaia la reputazione profumata, si fa per (ar)dire bruciandosi nel Cuore sincero, alla bieca putrescenza di chi s’è adattato all’andazzo che gioca di furbetti rubamazzi.

Travis se ne sta solo, da cigno, lirica arp(i)a rapace nei suoi can(t)i arcigni, osserva il bicchierino schizzante la “rabbrividente” aspirina che s’incastona a sue iridi febbricitanti, guida celandosi, esce dal suo abitacolo, e invita una bionda, forse sopravvalutata e quindi da (non) strapazzare, a pranzo in tal social ritualità da fredde, nude cene del pasto animalesco e di gran porca oscenità.

Spera di chimere ché mai rinnegherà il suo spirito avventuriero ma è, di mosse troppo sincere, avventato a mai raccontare alla (sua) maschera di cera le consolatorie bugie da vecchiette megere. Dunque, in tal vetusta società di delinquenti bugiardi, proprio lui per paradosso vien scambiato per Pinocchio. Quello che sembra infantile e meno tosto, forse invece un duro osso.

Perché non si deve, sia mai, andar da un angelo biondo, regalarle un disco malinconico di Kris Kristofferson e poi invitarla, con poca discrezione, a guardar assieme un porno. A lei potrebbero venire false idee e potrebbe, di contro e senza sconti, “donarti” in faccia tante “assassinanti” sberle, spaccanti la tua purezza come il suo lungo abito bianco con lo strascico da spacco(na).

Ti tocca vivere così, Travis. Non sei nato per compromessi da chi sa nascondere le verità dietro le vanitose parvenze.

Non sei un tipo “scaltro” da Domenica in chiesa e lunedì all’inferno. Anche se questi altri vedon le mean streets solo al cinema per un po’, dalla lor monotonia, distrarsi. A te spetta appunto “toccarti”.

Ancor reiteratamente nelle tue “luci rosse” (ar)recarti di onanistico (d)an(n)o. Passan i mesi e gli anni, la musica del tuo “spaventapassere” non muta eppur stai ritto e composto nel tuo soliloquio davanti allo specchio… di teschio e sempre ad abboccar nelle loro esche.

Recitando un classico… quanto, da masochista, riferirti sempre a te stesso come un finto tonto testardo.

Non so se avete notato… Eravamo negli anni ’70, ed era comunque meglio. S’accennava al Peccato con classe e non “mostrando”. Travis, di scherno suo piatto, soprattutto di onesto Sguardo, guarda lo schermo, ove noi possiam solo immaginare corpi sudati avvoltolarsi e scopare come pazzi, ma la macchina da presa non inquadra un bel nulla, neppure un cazzo. Solo “macchie”, frammenti, “lucciole” forse da salvare, oh mio Travis il “cucciolino”.

In quella nerezza, ad attimi “invisibili” di lisergico (non) vedere oltre i veli, consiste la grandezza di Scorsese Martin e del suo braccio destro Paul Schrader più mancino e dunque luciferino.

Un bringing out the dead già avvi(t)atosi nel triste ma giustissimo cammino.

Buonanotte… con Travis Bickle, una visione ascetica e scettica della vita. Travis, un matto lucido e ambiguo, ambizioso a modo suo… Buonanotte…

Bang bang, mir(in)o, cari adulti-bambini

Bang bang, mir(in)o, cari adulti-bambini

 

“Rocky Balboa”, re-view again

Rocky/Stallone e Dixon/Tarver

Rocky/Stallone e Dixon/Tarver

di Stefano Falotico

Preso assai sotto gamba alla sua uscita, per di più snobbato e solo d’alcuni, in seguito allo “sfrenato” successo de I mercenari, un po’ rivalutato col senno di poi da chi si diverte tanto ad analizzare, appunto a posteriori, le carriere “cineastiche” degli attori. In questo caso, Sylvester Stallone che, invece, proprio dall’aver rimembrato di sua regia quest’ultimo capitolo della saga balboiana, pare che oggi viva una seconda giovinezza.

Rocky Balboa, il sesto e definitivo, appone il sigillo intoccabile su una serie fortunata, almeno a livello commerciale che però, dal “capitolo” due in poi, s’è adattata soltanto appunto al mercificare l’icona Sly. Col trascorrere degli “episodi”, il pugile proletario underground di Philadelphia, che incarnava l’impossibilità dell’american dream nel concretizzare miracolosamente il sogno invece avveratosi, viene progressivamente inglobato, anzi proprio “globalizzato” nei brutti canoni estetici dell’USA e getta (anche in senso di edonismo reaganiano degli States e della retorica demagogica “color” stelle e strisce) per, sì, esaltare la muscolosità sempre più plastica e “perfetta” di Stallone quanto a demolire proprio il suo originario capostipite. Rocky, infatti, subisce tanto un’evoluzione di popolarità quanto, nella ricerca d’un facile populismo da cassetta e soldi facili, getta proprio qualitativamente la “spugna”. Il “vertice” dell’obbrobrio, della totale tumefazione del suo mito, la tocca col quarto. Impostato e costruito in “stile” videoclip, come andava di moda allora, a “monumentalizzare” Stallone come paladino di tutti gli “eroi” palestrati ed edonisti partoriti dall’America più cretina. Lo sfidante è il colosso Dolph Lundgren, il titanico Ivan Drago, misterIo ti spiezzo in due”. A sigillare l’oscenità di questa “pellicola”, assolutamente da cancellare, come se non bastasse, assistiamo nel finale addirittura a uno Stallone che si auto-divinizza con un discorso “in diretta”, trasmesso a reti mondiali, in cui riceve addirittura l’applauso del sosia di Gorbaciov “in persona”.

Col quinto già riprendiamo le fila d’un discorso sensato, più vicino all’etica del primo.
Anche perché, a dirigerlo, è appunto John G. Avildsen, autore dell’originale.

Tutti credono che la storia di Balboa finisca qui. Invece Stallone pesca dal cilindro la sua creatura migliore (non dimentichiamoci mai che a plasmarla e ri-crearla è stato sempre lui, scrivendosi addosso la sceneggiatura), e per magia genera quel che è un capolavoro.

Sì, lo posso dichiarare stavolta io con l’innalzata e più orgogliosa bandiera battente profumo Cinema.

Chi è Rocky nel 2006? Sono passati molti anni, anche la sua amata “Adrianaaa!” è morta.

Rocky è un uomo solo, è ritornato a vivere fra la gente umile, fra i “vigliacchi”. E, alla sua bella età “suonata”, vivacchia sconsolato, rallegrandosi estemporaneamente nel rammemorare la sua gloria che fu. Ogni giorno, si reca al cimitero per porgere fiori sulla tomba del suo amore bigger than life.

L’unico vero amico che gli è rimasto davvero è il cognato Paulie. Il figlio (nel quinto era proprio il suo figlio reale, Sage, qui sostituito da Milo Ventimiglia) lo ripudia. Perché, nonostante suo padre sia il grande Rocky, a “virtù” proprio di tale ragione, vede in lui la persona che l’ha rovinato. Il figlio vuol fare carriera “normalmente”. Studia Economia, per lui suo padre è soltanto un bell’affetto da cui stare lontano. Perché lui vuole farcela coi “pugni” di chi si crea stima senza “macellarsi” sul ring.

Oggi, si vive nell’epoca del digitale. Il campione invincibile dei Pesi Massimi è Mason Dixon.

A qualche fottuto nostalgico del passato, grazie proprio alla CGI, vien la balzana idea allora di allestire un incontro “virtuale” su quelli che gli addetti ai lavori considerano i migliori boxer di tutti i tempi, Rocky Balboa e il “nostro” Mason Dixon.

Secondo il suo “creatore”, il più forte è, e rimarrà sempre, Rocky Balboa.

Mason, da quel “semplice” filmato simil “Celebrity Deathmatch”, viene molto innervosito. Tanto d’andar su tutte le furie, urlando al suo agente in faccia che si sente umiliato. E vuole dimostrare al Mondo intero che the greatest of all time è lui.

Il suo agente sorride, dicendogli di fregarsene di quello scherzetto “televisivo”. Mason se ne sta tranquillo ma c’è già un pezzo grosso dei media che ha pensato di sfruttare proprio questa “finta” provocazione per un vero reality show in cui Mason affronterà il “vecchio” Balboa. Vuole creare un evento a scopo di lucro.

Così, propone a Rocky la sfida (im)possibile. “Scende” sin nella “sporca” Philadelphia e lo incontra nel ristorante di cui Rocky è ora l’impresario, il “presidente onorario”.

Rocky si siede al tavolo, omaggia l’approfittatore e inizialmente gli sussurra un “No, mille grazie, non sono più un ragazzino. Arrivederci”.

Però, invece, la proposta lo alletta, è forse la scintilla per farlo sentire ancora vivo.
Perché Rocky non è solo un uomo che ha perso tutto un’altra volta, che aiuta la gente debole del quartiere a farsi valere con gli insegnamenti della sua “filosofia”, da esperto delle sconfitte, delle rinascite e delle “scalinate”, ma è un warrior che non si arrenderà mai. Uno che, nonostante mille e più batoste da cane sempre bastonato, soprattutto le ferite nell’anima, i dolori delle perdite, giù non va. No.

Nell’impresa “disperata”, alla fine, riesce a convincere il figlio. All’inizio recalcitrante a fargli da “braccio destro” negli allenamenti, a sostenerlo nella “stupida” e folle voglia di essere per l’eternità Rocky Balboa.

Rocky infila i guanti, smaltisce i chili di troppo, si tonifica con tutti gli acciacchi del caso, ed è preparato, in forma per il combattimento epocale.

Mason è giovane, è scattante, è indubbiamente favorito. Rocky ne prende tantissime e tante però ne dà. Crolla, si rialza, casca di nuovo e resiste sin all’ultimo gong, come accadeva nel primo.

Anche stavolta perderà ai punti. Solo ai punti.

Rocky ce l’ha fatta, anche se è un “perdente nato”. Ha vinto i suoi limiti. Li ha, per meglio dire, appunto “contenuti” e fatti esplodere nella sua forza vitale.

Il pubblico sa che non è lui il vincitore dell’incontro ma gli applausi sono tutti per lui. Prima di tornare nello spogliatoio, per la doccia calda, Sly/Rocky si volta quasi al ralenti.

In quei 15 secondi immortali di flash, abbracci calorosi della gente, urla di giubilo ed entusiasmo “Rocky forever”, c’è tutta la sua sbagliata, giusta, vita da gancio sinistro.

Cala il sipario.

Rocky torna sulla tomba della moglie Adriana, le parla come se tutta la nostra esistenza fosse quella di fantasmi che devono soffrire, resuscitare e lottare per trovare la pace.

Poi, si allontana. Titoli di coda.

La commozione è enorme.

 

“Legacy of Secrecy”

 

Today marks the 50th anniversary of the assassination of President John F. Kennedy in 1963. It is a topic our guest Jack Van Laningham, who was featured in the Thom Hartmann book, “Legacy of Secrecy: The Long Shadow of the JFK Assassination”, co-authored with Lamar Waldron. Warner Brothers is now making the book into a movie, starring Leonardo DiCaprio as Laningham and Robert De Niro as Carlos Marcello. FBI Informant Jack Van Laningham sits down with Rob Nelson to tell his story about the mafioso Carlos Marcello was behind the murder of JFK

 

 

Paul Walker death, meglio il culo di Polly Walker

Paul Walker death

Muore di sfiga “crash” Paul Walker ma gli preferisco ancora il culo schiantante di Polly Walker: San Francesco parlava agli “uccelli”, li intimava a non intimidirsi di fronte alle monache “timide”

Paul Walker, un puttanone di meno, gli altri io menerò…, tu finiscila con il “cambio” dell’ingranar la sega di mano…

Mi son rotto la testa a spiegare al Mondo come dovrebbe pensare a “godersela” prima di celebrare le morti altrui, per esorcizzare la propria ipocrisia da “show must gon on, a quanto vendono quella carne fresca di manzo al banco dei salami?”…
… ma non mi diedero ascolto, continuando nelle “commozioni cerebrali” da cerebrolesi appena un attore di Hollywood, che fino a ieri veniva preso di “gas” nel suo sfintere anche da un bambino diarreico con una madre obesa che gioca solo col “manubrio” del vibratore per la “frust(r)ata” in cerca di “scorribande” chissà quanto “godenti” di posteriore grasso e “testacoda” su curve auto-erotiche-“olianti” da un pezzo oramai non tanto “pericolose”… più che altro cadenti.

Crepa(cuore) il “grande” Paul Walker, un mezzo mariuolo “bono” solo a “spingere” Michelle Rodriguez per il tamarro da “glande” schermo (t)rombante.

Al che, partono i pianti di tutti. Su Facebook, donne con tre chili di rimmel, si fotografano col suo “santino”, appena estrapolato da Google-immagini per “stamparselo” sul viso in maschera funeraria “sbiancante” di “pompa” funebre nell’estrogeno perverso della “morte in diretta” ché, con macabro “sex appeal”, fa più “pigliamela” da “lassù,oh oh aahhh… che tornito didietro avevi Paul…”. Una scrive “Nooo, cazzo se era figo!”, nel post-al-market di Paul in mutande e appunto “biancheria” intima rest in peace gran pezzo di gnocco…
Un “maschio” invece da “sbattimenti” del Sabato sera pre-festivo, uno da “festini” nel pub-ettino troglodita su “misure” pneumatiche d’una prova etilica, allestisce un memoriale “sincero” quanto “quella” drogata nel bagnetto incrostato che da “lui” viene, eccome se viene mica tanto, ficcata in codesto ba(lo)r(do)-locale “caldo” sovrastante che ho poc’anzi (ec)citato…
Ce la vogliamo dire? Siete una società di tonti! Tutti a parlar di Cinema “alto” e poi a rimpiangere il performer “basso”, soprattutto di ventre piatto… delle “tartarughine” come gli addominali di Paul.

Ed è per questo che siete dei polli. Dinanzi a tale deficienza collettiva da “colletti” bianchi, io “inserisco” il capolavoro di Peter Greenaway e godo quando Polly Walker mi mostra il suo fenomenale culo. Sì, ardo per quell’arse.

Sono un “asino”-horse. E, come tutti gli asini amanti della “cavallina”, dondolo di Stallone Sly che vive alla “cazzone”. Il Cobra non è un serpente…, il suo nome “anagrafico” è Marion Cobretti, giubbotto di pelle che sa come le “patatine affogano nella salsa”.

Chiaro? Se non ti sta “pollice su”, ti sbarro con un posto di “blocco”. Prova a sterzare e ti multo perché guidavi col cellulare mentre “discutevi” con la “direttrice” già gridante per aver il tuo (im)piegato “sottomesso”.
Sono fatto così.
Mi chiamano Vin Diesel.

Alcuni muoiono d’iperbole… e io insegno la parabola…

A 34 anni suonati, ho scoperto una brutta ma vera eppure (mettiamoci pur il purè) atroce verità. Gli uomini sono degli animali, anche se si camuffano dietro abiti borghesi ma, cos(ci)a peggiore e più grave, le donne non son da meno. Una volta, non se la menavano, forse (in)giustamente. Poi, arrivò il femminismo e l’emancipazione si “propagò” con le minigonne. Le idee del loro piccolo Mondo antico “lievitarono”… così come il pene, ops scusate il pane, nel forno “abbrustolisce”. E alzarono la cresta della loro “crostata”. Tutte le repressioni ataviche si sfamarono a diffamare il maschilismo che, nel sedere, le sedò con la marmellata per an(n)i troppo dur(at)i ad “allattarli”. Ah, le mamme(lle)! E, dal “burro”, i monologhi delle vagine, sole e depresse, s’alzarono come gli uccelli! Già. Attillate in “tiro”, continuano a mentire in modo più ipocrita del sesso (ex) forte.
Nei loro annunci, ove cercano insomma l’“Annunciazione” di qualcuno che svergini le tali ti(mo)rate di Dio, scrivono epistole di questo “tipo”:

non voglio uno che sia un topo da biblioteca ma che sappia coniugare i congiuntivi anche se non sarà un coniuge. Se non ha il mio maschio una decisa autostima, si tolga dalle “palle”, perché ne ho piene di corteggiatori laidi a caccia di “quella”. Altrimenti, solo calci! Insomma, non sono una quaglia, sotto la gonna c’è di più… (aggiungo io: squagliata o “sorpresa di bazooka?”).
Ora, mi spiego meglio. Sono una tosta, gradisco un Principe Azzurro e basta coi 
trans(fert). Da decenni sono in cura, gli psichiatri me l’han messo solo in culo. Li pagavo per la “porcella”, ops scusate parcella.
In un “uomo”, guardo innanzitutto il cervello… (aggiungo io… ma come? non ama gli strizzacervelli?!, è una strega veggente?), ma bado anche all’aspetto.

Morale della “fragola” per avvertire i petti(ng) di pollo: le donne sono più menzognere, alcune anche megere, dei mer(l)i uomini.
Parlano di mente, alcune taciturne non parlano per niente però d’occhiolini dicono “tutto”, ma ambiscono solo a quello… cioè il dotato.
Appunto di uccello.

Al che, nella mia “cappella”, “viene” un amico di vecchia “data”. Uno a cui la sua gallina, che faceva buon brodo, ha rifilato la patata bollente a un tizio più “al dente”.

– Stefano, tu credi al mon(a)co di Assisi?
– Credo che Chiara, “Santa subito…”, Francesco beatificava ad Assisi. E Chiara, gran figa, questo sia chiaro, quando le “parlava”, abboccava…, urlando “Ah sì, sì, sì, adesso ingubbiamoci e poi fammela a Gubbio!”.
– Sei un porco!
– Il tuo amante era Cavani, non gioca da un an(n)o nel Napoli ma lo vedrei bene in un film della Liliana… Cavani ha una faccia da patito del Biafra. Non me l’ha mai raccontato “giusto” neanche quando era un bomber ficcante!
Secondo me, non lo pagavi abbastanza. E, da allora, ti sei dato al Ninetto Davoli di Pasolini!
Io sono colui che ti sveglia dal sonnellino. E alle gonnelle preferisco la bretella con romanticismo bretone.
Se mi prendi per (un) coglione, ti faccio… “volare”.
Infilandotelo nel sacco! Pigliatelo in scrotale saccoccia.
E a cuccia, cucciolotto!

Parola di San Francesco

Se non v’è chiara la Santa e l’antifona, tua madre sarà infornata, perché volesti “forarmi” e invece son stato io a (in)formare la “crocerossina”… in modo “perforante”…

Molti scemi credevano che fossi un tipo da margheritine e da m’ama o non m’ama. Volevano seminarmi, invece metto pepe e insemino!
Adesso la lor mamma prega “in ginocchio da me”…

Fine dei “giochi d’adulti”.

Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

  1. Crash (1996)
  2. 8 donne e 1/2 (1999)
    Il mezzo lo vuole intero? O le do tutto il filone?
  3. Rambo (1982)
  4. Uccellacci e uccellini (1966)

 

 
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