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Batman & Catwoman: Batman è tornato, di night, con le “scarpe tutte rotte”, a rompere i coglioni

Catwoman

Prefazione “allarmante”, su “psicopatico Bruce Wayne cazzeggiante, di buon cazzo per Kim Basinger, Michelle Pfeiffer, Nicole Kidman, via dicendo, “oscurerei” Hathaway che mi sta sul “culo”

Notizia da prima pagina, basta col “New York Times” da Spider-Man, quel nerd da me riceverà solo un Kick-Ass. Ah ah.

Dopo assenza (in)giustificata dal suo abitacolo alla Batmobile, il qui presente Batman, causa anche “incidente” involontario che mi “paralizzò” gli arti inferiori, dicasi peraltro (quasi Pearl Harbor, cazzo) farmaci antidepressivi sedanti, ha ripreso a sguinzagliare la macchina, scorrazzando per la Bologna notturna. Sono guai per i cattivi. Li asfalterò.

Se i cattivi vi fanno pena, io “lo” impenno e taglio loro il pene. La mia sex machine non va mai in panne, di panna lustra la carrozzeria “inferiore” nel “reclinabile”

Tu, invece, inchinati e levati di pal(l)e. Dammi il Chinotto, preferisco la “gassosa” del mio gasarmi. Tu, zoccola, finiscila di “succhiarlo” al Limoncello

Ne vedrete delle belle? No, non credo. Vedrete cazz(on)i amari, “volatile” per diabetici al vostro, per dirla alla Banfi Lino. Nessuna scusa, nessuno può “tenermelo” fermo.
Il “mio” depista, oh miei teppisti, dribbla “tortuoso”, tortura a logorarti, spacca, si fionda, inculante è “amatore” a doppio taglio. Ti estraggo l’arma dalle mutande e ti spiaccico di merda che sei.

Signori, e soprattutto “signore”, Batman è tornato a “volteggiarlo”. Striscia come una biscia, lascia l’orma di “mantello”, svergina nel bersele a collo, poi a tracolla ti scotta il didietro. “Tamponando” le tue mal(e)fatte. Batman è colui che, dal buio, spunta per sputarti, ribaltando la tua testa “calda” e avvoltolando, senza bavaglino, i tuoi testicoli. Quindi, sgomma veloce, di “Sorbetto” è sveltina per una sgualdrina da consolar con della spremutona secca, quindi si reca in chiesa, ove si scoperà la milf superiore, molto più bona e da “allungo”. Sull’altare “benedice”, di “ostia” ard(isc)e e di cosce lo scudiscia. Fa godere, ma anche un po’ male perché il “letto” è di marmo, lei ha dei cuscinetti sodi però manca il cuscino morbido. Cristo! Porco Dio! Comunque è della Madonna!

Il prete scopre la ma(ga)gna, ci scomunica e prova a (s)confessarmi. Mi prostro di “crostata” anche alla mela dell’altra suora, al che chiama il Papa e son costretto a dipingergli la “Cappella” come Michelangelo.

Questo è Batman. Uno stronzo. Se ti piaccio bene, se no ti rubo tua moglie.
Donna cat, donna che sa il vero, non ipocrita, donna da piccante cazz’.
Te lo appicca e lì deve pigliarselo.

 

Firmato Stefano Falotico

 

Batman vs Villain

Batman

Come Batman lacerò il silenzio di chi lo “segregò” per altri sei anni di “castigo” e punì violentemente il cattivo, distruggendolo solo nella penombra del terrore…

Serata bollente, d’una vulcanicità da squamare la mia pelle, grintosa s’è adirata di nuovo in vol(t)o d’una maschera “grottesca”, ché sorvolai la nebbia di tal spoglia città, amputando il mio serpente, scuoiandolo in famelico proprio iroso vento delle palpebre mortali, quindi vivifiche al tepore che sigillato cosparse la mia mente di sedazione durata scagionati, imperdonabili anni. Mi scaglierò!

Fermo, immobile, pressoché spossato da tanto dolore ingiusto, perpetratomi da un malsano “iettatore” a cui capitò però il sortilegio della mia maledizione non vinta. Giammai sconfitto in mia adorata e più adornata vita, torturato di massacro “giocoso” a opprimermi ché di “viltà” fui accusato, deriso e scartato come una rotta “scartoffia”, acciufferò presto il colpevole del misfatto “bianco”. Già è iniziato l’inseguimento, stia sul chi va là a scrutare la sua ombra, “civettuolo” sei maligno anche ora che i giochi son fatto o iniziati di rinnovata, implacabile battaglia? Avanti, schivami e altre calunnie racconta. L’avevi studiata d’acume davvero “ingegnoso”, mio bifolco della peggior feccia. Ma, mi “(s)piace” deluderti, il “morto” cammina, osso duro ti sta sgranocchiando. Promettimi di non inventarne altre, crudo sei mangiato e lo sai.

Sotto te la fai, e non ti servirà l’estrema unzione per infrangere altro mio ardore. Dal seppellito “cadavere”, un odore acre s’è “vanitosamente” impossessato del tuo corpo adesso spa(u)rito. Ancora offendi o arretrerai ché, già tremato in urla tue atterrite di ghiaccio, ti sei “impresso” lo stesso suicidio che hai, invano, (at)tentato? Sì, attento stai, t’avvisai e sono qui sempre ad avvistarti. Sei tormentato d’avvisaglie “buone” come le tue ferali carezze, non arrenderti sulla difensiva. Scalda l’ambiente della tua anima, demente.

Perché ora capirai la parola sofferenza. Qui, prega per te, Dio s’eleverà a giudice inappellabile e spellerà ogni lembo sudato del tuo maiale. Posso osare d’altrettanto, parimenti osé, mia oscenità incarnata?

T’avvertii di non scuotermi ma, di percosse perfino… e per “segno” fisiche, tu insistetti perché me la bevessi. Per poi recarti a brindare, tutto altezzoso e “brillante”, con le tue troiette anali. Oh, come a fette fai e disfi a “piacimento”. Che pastrocchio! Ti posso cavare gli occhi, animale?

Così, l’escogitasti “bellissima”, da dedicarti un monumento in piazza con tanto farti… impazzire. La tua testa appesa strapazzerò, si chiama trapezio isoscele, oh mio pezzente, oppure spezzarti l’ultima golosità in maniera (r)affinata e cotto tuo al dente? Non ardire a fermarmi. La storia la conosci, d’altre umiliazioni la riverberasti e, quando la mia rabbia si placò, più crudele la combinasti. Provando anche, di tua combriccola plagiata, a ledere di maggiore invidia come l’unione facciamolo… di “forza”. Che branco. Gnam gnam.

Prima (s)colpisti sulla mia “verginità” con allusioni ché, d’illuso, potessi bloccare lo spirito risorto in amor proprio. Poi, non “soddisfatto” da tanta tua vigliacca pusillanimità, aspettasti che (re)agissi per “gradire” la tua malferma, brutt’azione. Per sporcare le altrui reputazioni, la mia soprattutto e “sottomessa”, continuare nello spuntino con le tue pute, affilando il punteruolo nella piaga in modo che non potessi più spuntarla e puntarti. Preso di mira d’invertito… reato.

Stasera ho ripreso a “tambureggiare” con la mia macchina. Il tuo amicone ha intravisto qualcosa da dietro il velo della sua finestra “vetrata”. Appena m’ha scorto, scommettiamo che s’è sentito dentro scorticare? Non ho mosso un dito. Sono uscito dall’autovettura, parcheggiando perfettamente di allineamento, ho “sganciato” la mia sigaretta in bocca gustosa. “Fumandomi” il gusto “rancido” della vendetta.

Non puoi più nulla. E io non ti toccherò. Non graffio, non mangio. Sai che non dormo mai, vero?

Ecco, quando la Luna è piena, le tue lenzuola sei sicuro che riempirai col sangue d’una tua donna o s’intrideranno, “gravide” e stridentissime, di dissanguamento solo ai tuoi “personali”.

Sì, sono sporchi affari. Non interessano a nessuno. Tranne a me. Di solito, dopo il me ci sta il te… o volevi una tazza di amaro caffè?

Ciao. La paura non fa sempre novanta, ricordatelo. A volte, appena svolti, puoi incrociare un frontale d’uno che va ai 200 all’ora. Udirai appena un urto. Non morirai subito. Centrerò le tue gambe.

Poi, verrò trovarti in ospedale, oliando la sedia a rotelle della tua carrozz(in)a. Sai, tua madre sarà già morta quando succederà. Le infermiere non possono neanche farti un massaggino, il fegato è col(leg)ato agli arti recisi, quindi neanche un pompino.

Oh mio bravo “bambino”. Dopo l’olio, vuoi il ciuccio? Ah, scusa. Sei un “topo” da pub(e). Ti ficco la cannuccia.

E ora succhia.

 
Firmato Stefano Falotico

 

David Cronenberg contro Kubrick

Ciao, come va?

Ciao, come va?

Ah ah!

Ah ah!

 

David Cronenberg è impazzito? Attacca frontalmente Kubrick e Shining, non mento, siamo nella mente del regista canadese…


Credo di essere un regista molto più intimo e personale di Kubrick. Lui non ha mai capito veramente il genere horror ed ecco perché trovo che Shining non sia un grande film. Non credo che Kubrick avesse capito fino in fondo ciò che stava facendo. Il libro era pieno di immagini suggestive ma lui non credo che le abbia sentite veramente.

Le faide fra registi m’affascinano. Qui, David lo “screanzato” assomiglia a me. Sarà che sono cronenberghiano? Sì, un naked lunch vivente come il nostro che angoscia, “stupra” i nitrati d’argento, enuclea, “denuncia”, sbotta, s’incazza, spara su Nolan e su Batman come il miglior cattivo, fottendosene del “pipistrello”.

David ti adoro. Sei come me. Non ti risparmi, giochi al provocatore “joker” e, quando gli altri pen(s)ano d’averti (inc)castrato, incasellato, studiato e “lobotomizzato”, tu te ne salti con un’altra inchiappettata. Ficcante, che non molla gli osso… buch(erellant)i, misogino ti acclari con spudoratezza, piglierai Julianne Moore fra le gambe da “ginecologo” salvo conati di vomito dello spettatore medio, abituato ai “varietà” del cazzo!
Mappi le tue “star”. Superi tutte le tappe, le tope, depisti, rassodi i culetti, le sbatacchi, li meni, clinico tu “congeli”, saluti senza un cortese congedo, non offri a nessuno la cena e pisci “fuori dal vaso” con tanto di patta aperta, pochi patti, ma “cerniera” lunga.
Tu sei un volpone.

La scorsa settimana, secondo un (pres)unto studio scientifico, la scena in cui Jack “Torrance” Nicholson sfascia la porta del bagno dell’Overlook Hotel, s’affaccia con far da lupone e grida “Here’s Johnny!”, è la più spaventosa, scariest di tutti i tempi.

Ora, a ben vedere, ha ragione David. Se “focalizziamo” di fermissino-immagine sulla “dentiera” di Jack, notiamo infatti una micro carie sul canino. Ciò a dimostrare, nonostante il monster tratto da King, che Kubrick era un perfezionista ma non un dentista.
Ed è per questo che si “accanì” appunto sul “dottore” Cruise di Eyes Wide Shut.
“Slabbrandolo” di capriccio da chi (non) perde il vizio ma, nonostante i regalini da ricco “orefice”, l’orifizio della Kidman. Una da “ciambelle” al marinaio. Ah ah.

Diciamocela. David conosce il suo uccello. Kubrick era un misantropo e un impotente.
Fra l’altro, è morto e, da postumo, non può proprio niente.

Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

  1. Maps to the Stars (2013)
  2. Shining (1980)
  3. Il pasto nudo (1992)

 

 

“Il commissario Lo Gatto”, recensione

Sentimi bene, paraculetto

Sentimi bene, paraculetto

L’affare si complica, la pist(ol)a si allunga… ma Lo Gatto è una “belva Si ha uno strano senso della morale e una strana morale dei sensi… dunque dei seni, delle insinuazioni, degli intrighi, dei depistaggi, degli scenari inventati, del Vaticano e del Papa con l’alibi dei lanzichenecchi, di Andreotti più gobbo della solita Italietta di mafiette, Favignana, isola di bagnini a(ni)matori con il “sangue alla testa”, un Craxi nel finale caricaturale su Thatcher di ferro ad “aspirapolvere” come canna… format televisivo d’attentato. Un’avventura tragicomica come la valigia piena di rabbia per dirla alla Natale/Lino, all’anagrafe Pasquale, sempre infelice, ruspante e verace di meridionalità “al dente”, raffinato come un Micheli sciancato fra equivoci e un piede equino, Vito Ragusa trapiantato da Trapani d’accento torinese su eco… terrone in “rose”. Il film si basa sul carisma pugnace e pugliese del duttile Lino, commediante che massaggia la sua capa con ire da noce di capocollo celeberrima. Qui, la vittima (non) morta ammazzata è Wilma Cerulli, la Russinova Isabella proprio tinta di rosso versione Milva. Sgamba di cosce su figa intravista nel bazooka dell’armatore, mentre Banfi è “incasinamento” fra scimuniti rimbambiti con violini Stradivari, un alberghetto “bruciante” fiamme peccaminose di tre donne da Mario Puzo, forse puzzolenti ma “tanto” affettuose, di “zucchero” calienti e un Ferrini nella parte di Gridelli, “Watson” d’un elementare Dino Risi efficace. Le musichette leggere e “rinfrescanti” da hit anni 80… ecco che “allietano” l’operetta, scaldano la prevedibilità ambient del Sud brullo, con carotide della Madonna per ingrediente one man show in Banfi “manesco” eppure deduttivo quanto un idiota. Dino Risi dirige e sceneggia le scenette con Enrico Vanzina di “penna”. Poteva essere un grande film, le cessioni alla grana grossa si salvano grazie alla “classe” comunque unica d’un Banfi appunto strepitoso, che sorregge la baracca rocambolesca, la puttanata fra vacconi con la sua verve mimica, si catapulta in una storiella più piccola e grande di lui, regge la pancia degli spettatori da istrione abbronzante con stronzate memorabili. Un film che, nonostante il suo “nulla”, “indriga” per dirla alla Micheli. Vado ora a sciacquarmi le (s)palle. Anzi, la pelle. Eh eh, sono banfianesco! (Stefano Falotico)    

 

“King of New York”, recensione

No Redemption

No Redemption

Vampiro e licantropo regale che implora pietas in spettrali danze funerarie

Frank White, un cognome “impressionato” a cerea maschera walkeniana, vulcanica d’ire inespresse e “incenerite”, espressivo solo se “acciglia” la fronte a inaridito temprarla nei rimpianti. A detonare, incantato e taciturno su eloquenza enigmatica, immensa dello Sguardo. Attore che “stordisce” il suo stesso immortalarsi in congenito essere.
Christopher Walken appunto, emblema vivente d’ogni “verginità” ambigua dell’anima, “angosciata” in un viso angelico ma dalle iridi diaboliche se, scalfito nell’anima, ringhia in profondità d’un Cuore tormentato, “morde” le sue bianche, “efebiche” labbra imprigionandole da maledetto dentro iridi cangevoli, sintonia tensiva dei chiaroscuri “cimiteriali” da serpente Nosferatu.
Chris è la carne pulsante, traspirante palpebre raffinate, affinata nelle “penombre” sanguinarie del profetico Diavolo in lui “represso” e poi, con repentini “singhiozzi”, esplosivo in velocità “ballerina” su gestualità irrequieta, movenza felina del corpus attoriale che ogni prestigioso cineasta può “modellare” dalla già radice sacrale d’un ardently succhiarlo a pelle. Con quegli occhi, un regista può sbizzarrirsi di zoom dentro fantastici frame che possono durare un intero film, (dis)integrarlo alle mille fratture del suo e loro improvviso mutare e viverlo d’un plasmarlo “intoccabilmente”, senza violarlo, per fiammeggiare incognite incisive dalle impalpabili intensità. Un corvo, un falco, un cacciatore, un non morto, un cherubino col lungo strascico da Principe Vlad, una dead zone spudoratamente magnetica. Chris Walken, il fascino della Notte più nera, dunque lucente come i migliori incubi.
Un volto elettrizzante, stupendo, né Uomo né Donna, forse Dio.
Forse il Cristo che avrebbe voluto Pasolini, forse quello de L’ultima tentazione… di Scorsese.  Martin Scorsese, infatti, aveva designato lui per incarnare proprio Cristo ma trascorsero dieci anni circa prima che la Temptation fosse “concretizzata”, e optò per Willem Dafoe. Harvey Keitel fu Giuda, poi cattivo tenente e ossessione-pupillo di Abel Ferrara, e non è un caso che i tre attori preferiti del nostro “Abele” siano proprio Keitel, Dafoe e appunto Walken.
Oggi, veniamo ad apprendere che Ferrara vuole girare un biopic sui generis incentrato sulla figura controversa, “peccante” di Pasolini, con Dafoe nella parte del “Messia” Pier Paolo.
Se Walken fosse stato più giovane, avrebbe scelto lui. Ne sono certo.
Chi meglio di Frank White? In questo capolavoro stupefacente, scritto da un illuminato Nicholas St. John, v’è in nuce sviscerante tutta la “filosofia cristologica”, tragica di entrambe le carriere. La summa, la vetta, l’apice spaventoso che (non) rinasce!
Un fantasma ritorna a “vivere”, è di nuovo in “libertà”. Un ex boss della droga nella ferrariana Carlito’s Way. Se De Palma fu romantico nel Pacino da point of no return, Abel non ama le retorica, quindi possibilmente lo è ancora di più.
Frank è cambiato (?), appare di schiena, si volta e si mostra ancora bellissimo. Quasi più invisibile e ringiovanito. Come il Dracula, appunto, di Francis Ford Coppola.
Non gli è bastata la dura lezione di vita ed essere finito in prigione. Vuole rimettersi a far soldi, però onestamente. Se Carlito aprì un locale per gente “dabbene”, bevendosi un sogno impossibile, Frank vuole strafare, proprio “santificarsi”. Perdonarsi, allontanarsi deagli errori d’un Passato, che non cancellerà mai e lo sa soffrendo come un cane, ma desidera “fermare” a innalzarsi, utopia cosciente, in monumento esistenziale da lui incorporato sulla beatitudine stronza. Con i proventi degli sporchi affari, ha intenzione di aprire un ospedale per i “lebbrosi”. Proprio Lucifero a cristologico divinizzare un destino bastardo, le sue origini sfortunate da figlio “cattivo” del Bronx, che vuole compiere un “miracolo” per fors’ascendere nel Paradiso di un’anima condannata dalla nascita.
Il film non ha “trama”, tutto è un pretesto di sottintesi, inganni, sottotesti dialogici memorabili, tutto è angosciante.
Tutto è silenzi. Morte in ogni vicolo cieco, in ogni sparo.
Non c’è scampo.
La vita di un “martire” è illusione. Come quella del padrone dell’Inferno.
Può inventarle tutte per smacchiarsi la reputazione e chiedere scusa al Creatore.
Ma nessuno gli crede…

(Stefano Falotico)

 

Corridoi bui

Corridoi bui

 

 

Il tassista di night

Bang bang, succhiate!

Bang bang, succhiate!

Eclissi con occhiali da Sole, fosforescenti al blu in macchina senza Ray-Ban

Vivo la vita all’insegna, anche al neon, d’un turbinante jeans sfrenato, lacero in sgommate sfrenate e pimpanti, sgommo di Luna tiepida e incastro la mente nell’arco a 360 del volante, svoltando d’imprevedibilità disarmante. A molti sto antipatico, fa parte della mia carrozzeria la gelosia che sortisce maggior carburare forza. Più tormentano e più li scaravento, arroventandomi in clandestinità voraci della mia machine sensuale, su iridi sfamate di nuovi e più turgidi asfalti. Sfido le nebbie dei vostri peccati, amputo i dolori di questa generazione balorda, schizzo d’angosce lieve nell’incrociar malandrino cosce svenevoli, entro cui vengo con stile “violento” e faccia smargiassa d’avvenenza come il culo. “Tagliato con l’accetta”, strappo il vestito della (con)senziente e gravitiamo planetari nell’amabile onta ondulatoria delle accelerate intermezzate fra un orgasmo imbarazzante e altro spingere di più foga.

Lei piange di piacere, io spengo la sigaretta focosa nel suo “braciere”, poi smaltisco la cenere dello sperma in rilassato posacenere scacciapensieri. Lei, non ancor’appagata, nonostante il mio indubbio “lucidarla”, chiede allora un amplesso al diesel, grida al settimo cielo, aspira la mia pompa e l’innaffio di benzina. Si sa, se getti acqua la spegni, se “cali” la miccia, esplode.

Quindi, accendo la luce e la lascio masturbarsi, credo fosse una ninfomane. Di mio, ora m’aspetta un caffè laconico al motel dal nome “Fuck You”, famosa locanda ove troverò la mia vera amata. Cioè la multa per eccesso di velocità. Già, sterzai “tortuoso” nelle sue curve pericolose, mi segnalò alla stradale ma mi scopai la colonnella di buona gonna e “distintivo”.

Scusate, ho esagerato. Se v’è parsa una stronzata, no, non lo è. Sono state conclamate scopate. Di quelle che un giorno vi ricorderete. Vi conosco, brutti stronzi.

Nell’ambiente mi chiamano Prince, vesto giubbotto da meccanico con aquila a forma di tatuaggio ficcata nei tuoi occhi.

 
Firmato il Genius, Stefano Falotico

 

 

“Voglia di ricominciare”, recensione

Voglia di spaccarti la faccia

Voglia di spaccarti la faccia

Voglia saltami addosso, proverbiale f(r)ase esistenziale di transizioni, risse “funamboliche “con tuo padre, tagli cicatriziali, catartiche (re)visioni della tua boy’s life

Da quando scrivo coll’elegante carattere Garamond, son meno collerico, la tastiera ha assunto un’espressione radiosa e la mia opalescenza, con tendenze all’avvilimento, schizza parole serafiche eppure rasoianti, come pervaso da un senso di pace onirica, che “scolora” imbrunito in saccenti superbie e poi si rinnova placida a cheti fresche nei ritmi di un film che “tramontò”, scordato dal mio Tempo dissipato, qui rivisto a occhi meno gelidi, d’atipia mentale in giocoso umore che ballonzol’ancora intristito spesso, deluso ma, anche cogitabondo in tanti pensieri tetri, si cristallizza euforico a danza dell’anima.

Perché lo sottovalutai alla sua uscita? Forse per prese di posizioni annesse a dizionari che lo liquidarono. Ho imparato che la vita, come i film, sono un’esperienza soggettiva.
Oggi sei un DiCaprio capriccioso a ciuffo “brillantina”, ieri fosti un foschissimo De Niro manesco, quasi LaMotta autodistruttivo nel mai arrestato ardore di farti male e farlo, schivando, picchiando i sentimenti più cari per oscurarti i sibili veri del sangue vivifico.

Un film nostalgico, immerso in atmosfere sonnolente, lento e poi “arrabbiato” nelle lotte discriminanti fra un patrigno violento e l’adolescenza turbolenta, acerba, “dispettosa” d’un adottivo figlio, quasi stronzetto, forse incompreso.

L’amore materno, carne d’una Ellen Barkin trasgressiva, volgare, poi levità di gesti affettuosi da regalarle un sogno lungo una vita, sassofoni “stonati”, strimpellate fra la natura montagnosa, i ricordi che montano nervosi, l’appetito vien mangiando e Leo, il lupo, che De Niro conosce… (nonperde il vizio ma guadagna la borsa di studio.

Film sottostimato, un De Niro attaccato per troppi ghigni “storti” di bocca malferma, invece ottimo, “travolgente” di cattivo-buono oscillante fra un sorriso sincero e la solita buffoneria da (stra)pazzo. Una Barkin, dicevo, commovente ma un’opera autentica, “rustica”, quasi fuori da ogni cronologia, dominata dal carisma giovanissimo, sempre già verde del grande DiCaprio.

Da odiare per la bravura quanto De Niro, entrambi da venire “alle mani”.

Il finale contagia, strozza di libertà, vive in cascate del Cuore.

 
(Stefano Falotico)

 

La famiglia!

La famiglia!

 

“Zodiac”, recensione

 

Luci e ombre

Luci e ombre

Cos’è l’angoscia? L’angoscia è la paura inconscia che l’uomo nero possa intralciare la tua serenità, ferendo mortalmente crudo e strategico, poi sparendo, eclissando(ci)

David Fincher ama le “ambientazioni” claustrofobiche, assurge a paladino dei soffocamenti al “nylon” dell’inquadratura, plana panic room dentro le anime dei suoi personaggi, deflora l’Eros in Thanatos marcescente, forgia di lucentezza i suoi eroi solitari nel diaframma polmonare di un’apnea respirativa da raggelar il sangue.
Dai corridoi neri di Alien³ ai combattimenti clandestini di Fight Club, dagli hide and seek d’un fin troppo studiato The Game, gioco psicologico appunto dalla mirabile, impeccabile, “pruriginosa” confezione però finalizzata solo a un’insopportabile “finezza” concentrica, fintamente ludica e piena zeppa, quindi zoppa, nei troppi buchi esangui d’un Cinema acerbo, dal “torturante” Seven, apice di sobrietà puramente thriller nella suspense diabolica in progress acuirsi, acutizzarti…, come un Purgatorio infernale senza catarsi idilliaca ma discesa sol che più profonda e lapidaria, quasi alla Friedkin “saturo” di contemporaneità alla fin fine poco “malvagia”, meno perturbante nel suo programmatico (non) essere prevedibile, dalla meticolosità entomologica dei social network pretestuosi ma calibrati per l’Oscar della “consacrazione”, è in questo capolavoro che aggiusta il tiro in “maniera”, e non manierismo, secchissimo, (s)tremante, da inalarci sospiri di “sollievo” stuprati dall’amputazione della requie. Un mozzafiato, perenne, insistito, “esagerato” inseguimento strozzato, sterilizzato in mis(t)ura perfetta.
Il film è già la locandina originale che mette i brividi, nebbiosa, languidamente tatuata nel marchio d’un serial killer “trasparente” ma impercettibile “a occhio nudo”. Amara, a martoriarci.
Lo capti, aguzzi le iridi ma t’acceca in silente abbacinarti di sangue “teso”, raschiato nella tua anima per sempre. Non si cancella il Male, è l’apoteosi estremizzata delle teorie di Nietzsche, la forza segregata, nelle cripte dell’omertà, che si ridesta come un lupo cattivo e strangola, da mostro “antropomorfo”, dai labili contorni “identikit”, le “fragole” dei boschi “mansueti”. Ove le coppie appartate si sbaciucchiano, forse illuse o dimentiche che il Mondo non è regnato, in to(s)to d’angeli amorevoli.

No, purtroppo, ci sono i mostri. Solo la gente in gamba n’è consapevole. E per questo ha paura… ha paura che il vicino di casa, che ti offre lo “zucchero”, possa stuprare tuo figlio minorenne quando gli chiederai d’accudirlo perché sei impegnato col tuo lavoro. Il mostro lo terrà a “bada”, uccidendolo nel mystic river d’una ferita traumatica inguaribile da “incubatrice”, allucinante proprio incubo “fragile” che s’affievolirà dietro taumaturgiche “pozioni” di felicità a sortire solo l’effetto de­leterio dell’urlo da mutato tuo licantropo, morso che detonerà dinanzi a una Luna troppo “lucida” per luccicare nel Cuore divorato dal cannibale. Forse, è morto, il dolore hai sigillato, l’hai celato nelle fratture ricucite d’una paciosa maschera ma “addenta” d’altra lagrima opaca a vitr(e)o tuo umano che fu inghiottito prima di “nascerlo”.
Ti “partorì” nel suo graffio, trasmise il seme del Diavolo, baciandoti “carezzevolmente” sulle rubine guance.

Così è Zodiac. In questo vertice paradigmatico che trasgredisce la “logica” della “soluzione… di continuità”, poggia la sua grandezza.
Il “solito” maniaco, mica tanto. Uno dei più famosi della criminologia.
A tutt’oggi, la sua identità è stata sì dedotta dagli “esperti”, ma non è cert(ezz)a.
Fincher passa quasi tre ore a raccontarci la cattura (im)possibile, svia fin dall’inizio.
C’aspettiamo il già visto. Il mostro infatti, come da copione, colpisce senza volto, coperto nella penombra d’una fotografia da cardiopalma nightmare.
Trascorre un po’ di Tempo, anche la clessidra del minutaggio della pellicola, e… tic tac, bussa alla luce del (tras)colorito Sole, in un picnic dolce e scacciapensieri, di nuovo l’uomo nero, in senso figurato e proprio d’abito per come (non) ci appare.
Partono le indagini. Interminabili, da sfiancarci, Fincher si “disinteressa” del cattivo improvvisamente, centra la mira sulle dinamiche fra i personaggi. Chi molla, chi va a vivere lontano perché stanco, non solo dell’orrore del caso, distrutto dai suoi casini, chi ambizioso e giovane persevera “ingenuo” con scaltrezza da regalargli il premio come coglione dell’anno.
Perché, anche dovesse beccarlo, è già diventato William Petersen di Manhunter. Troppo bravo. Che stupido. Che cosa si aspetta?
Il mostro l’ha contaminato, è quasi appunto un Cruising.
Il resto angoscia, non visualizziamo nessun altro omicidio o arresto. O forse sì, chi lo sa? Potrebbe essere quel tizio tozzo nel magazzino, potrebbe anche non essere lui. Ed è qui che il Mondo fa paura.
Potrebbe essere chiunque…

 

(Stefano Falotico)

 

 

“Batman Begins”, recensione

Io vi fotto e vi tolgo la maschera!

Io vi fotto e vi tolgo la maschera!

Occhi neri, imbrunenti… nello squagliarsi verecondi in meraviglia infiammata

Chi è Batman? Ognuno ne “apportò” la sua versione cinematografica. Burton, col suo carico d’ambiguità plasmata nella cenere mascherante d’un Michael Keaton fuori ruolo eppur aderente in simbiosi carismatica d’uno spiritello gaglioffo, ironico con picchi feroci melodrammatici al viso “scagliato”, irridente su beffard’agonia cangiante di labbra sfumate, contro la vetusta Gotham City, città di pur’invenzione peccaminosa impressa nel magma creativo da cineasta notturno affiliato alle ombre laconiche dentro i pianti dei “diversi”, Joel Schumacher, che trovò in tale creatura fantastica la valvola di sfogo dell’ennesima variazione collegata al reazionario inguaribile del suo fascismo cronico, pittando innanzitutto Val Kilmer nel peggior “pipistrello” (mai) visto e poi Clooney nell’odioso belloccio che disprezzai prima che s’evolvesse e volasse appunto più alto in regie “imp(r)egnate”, prima che la sua carriera impennasse sull’acuito, insospettato raffinare le sue guanciotte da bello “amabile”. Dannato non è, si dona da dietro la macchina da presa nei “colpetti” d’annata.
Poi, fu la volta dell’ipercelebrato Nolan, che trasformò il camaleonte Bale in psycho irresistibile, travolgendo stroboscopicamente di nerezza le strade ferine su Gordon/Oldman “caliente” in “triste” disillusione marlowiana, e partorì dal cilindro il Ledger “postumo” nella defunta gloria dell’interpretazione storica. Parossistica di “linguetta” serpentesca, diabolico matterello borderline a metà fra dargli un bacio in fronte o spaccargli il grugno assieme al trucco (s)col(l)ante d’uno sbavato odio misto all’adorarlo ché, in trono, cazzeggi di “terrorismo” a man bassa e armata. Dio, da scopare tutta la vita una “merda” di questo faccino, fascinoso al sangue e cicatrici coperte di “bianco”.
Villain cattivissimo, stronzo per eccellenza, vale da sé il prezzo del biglietto e di questo 2 Novembre da carro dei morti. Ove le vecchiette si recano al cimitero dei loro persi amati, fra un ospizio della “felice” libera uscita in “licenza” di “festeggiare” con accompagnatore infermieristico, madri “decedute” dopo la scomparsa del figlio o di quel porco del marito, a cui chiesero il divorzio, previo tradimenti (non) perdonati ma reiterati del suo malandrino “tirarselo” boccaccesco tra un lavoro per campare e una campagnola sui viali ad an(nu)ale, poco “anulare” ma vicino alle complanari, al di fuori del lecito, “rango” sociale… ah ah. C’è poco da (com)piangere. Oggi muori tu, domani è vita mea.
Anche se, per resistere, hai bisogno d’una scorta infinita di Tachipirina e aspirine in cas(c)o d’emicrania. Una vita “analgesica”, dove devi calcolare l’algebra “radicale” delle re(l)azioni interpersonali, delle ragazze che vogliono di “tutta punta” leccarti l’uccellone ma a cui devi offrire dei ceffoni e molte pedate nel popò, un direttore masturbatore sulle chiappe della segretaria “tuttofare” nei pressi del “termosifone” e stampante “tastante-ergonomica”, forse “reclinabile” di ultime cartucce pastrocchianti nello “scarabocchiarla” dietro lauta, lardosa tredicesima e pochi “centimetri” dell’inculata pur a doppio taglio “benefico” in figa (cor)rotta, delle regole da tutti trasgredite nell’intimità domestica ma poi su(p)ine, come dico io, dinanzi alla falsa morale dell’ipocrisia buonista. Non addomesticatevi! Si sa, deovete sostenervi e mantenere la temperatura “ambiente” per non crollare nella demenza. Andate a cagare!

Ma di Batman mai nessuno ha dato una versione falotica, aggettivo femminile in mio maschio invincibile di stravaganza, fantasticheria, stramba e fottuta spudoratezza.
Il vero Batman abita nella cittadina con le due Torri, una pendente e “tremante” quasi “macerante” quando cadrà sullo sfigato di turno, quindi di urna (e qui torniamo alla Certosa), l’altra svettante come le cosce di “finezza” inguainate della professoressa ai “cazzi suoi”. Quella sa come bacchettare i suoi studenti, facendoli sudare nei compiti onanistici da “virtuosi”.

Batman è uno psicopatico, è conclamato, attestato da molte “diagnosi” arrestanti, acclaratissime con tanto di trattamenti sanitari obbligatori, annesse le psichiatre che ne han goduto la “saliva”… fra una conversazione curativa e un culo a mandarle “a monta” da melanconico senza “fronte”.

Batman vive infatti, dalla nascita, in uno status tutto suo, senza statuti istituzionali, perché non scende a patti con nessuno. Solo con Catwoman fa calare la patta e, quatto quatto, le fa la gatta… ah ah. Ad Anne Hathaway, preferisce di gran “lungo” il culo di Michelle Pfeiffer. Sì, con Michelle è più “ferreo”, meno “infermo” nonostante lo scalmani.
Lei si scalda, raggiunge l’orgasmo in vestitino da “Crazy Horse” su grattar la doppia “corazza” di Wayne perché “viene” solo dietro stimolazione sadomaso.
Batman è uno stronzo, il Joker mangia in un sol boccone e poi gli versa dei bicchieri d’acqua rovente se ancora il clown vuole vessarlo con intimidazioni e minacce.
La mina vagante è Batman, deve ricordarselo, non ci sono altri uccelli che possano tenere, da cui la nomea ineludibile “L’Uomo pipistrello”, appunt(it)o. Colui che ti piglia le palline e le fa roteare come il tuo pagliaccio.

Ora, qui stiamo parlando de Il cavaliere oscuro. Avrei dovuto parlare della “genesi?”.
Basta con la cronologia. Io sono diegetica a modo mio, fuori tema, in nessun posto, forse nel tuo…

(Stefano Falotico)

 

Stefano Falotico

(Stefano Falotico)

 

“L’esorcista”, recensione

Attento Max!

Attento Max!

Suoni gracchianti d’intrepida nebbia ad anima nera e blasfema

Friedkin, un nome ch’aleggia sinuoso in mio stordirmi nervoso, fremito scrosciante di ruvid’astrazioni da sonnambulo. Quando, fra i cuscini “stracciati” della mia dormienza apparente, mi ridesto su palpebre dal crepitio famelico, ossessionato a inseguire le ombre “malevole” delle notti “smargiasse”. Mi profumo d’incubi e schivo ancora la goliardia di questa città da me ripudiata, ché gorgheggia soltanto in goliardie vanesie, “innalzate” a calici volgari d’una irreligiosità dell’anima. Sono ateo e non m’aspetto nulla dalla vita, in quanto nichilista alato, evoluzione che ha sorvolato le inezie prodighe alla carnalità più bieca e truffaldina dell’esistenza vera. Odio i vostri “gusti” golosi, la mia leggiadria isso gloriosa e nessuno può smorzare l’onnipotenza febbrile di tal (im)permeabile scivolarmi nei lucidi “alberi” d’un aggrovigliato Cuore superbo, spaccatutto in disossarsi angoscioso, “lurido” in venerato avorio del mio Tempo ignoto e lustrato.
Luciferino, scheggio le nuvole dei plumbei tramonti, m’accascio a (di)letto e imbevo i miei sogni di nostalgia vivifica. Urtico le mie iridi ottenebrate in guaito a vegliare su di voi, i morti viventi sempre “svegli” quando invece mi parete fredde “pareti” già insanguinate dentro cimiteri ovattati da un becchino che succhia il seno flaccido d’una grassa, laida puttana “indiavolata”.
Ieri, avete festeggiato e ricordato l’anniversario della morte di Fellini. A costui sputo in faccia, ché morisse seppellito di più e coperto di fango. Il suo “cinema” era, semmai lo fu in quanto per me non lo è mai stato (e non voglio ridestarmi a rivalutarlo), provinciale, adattato all’allattamento delle sue (s)manie sessuali inappagate, circoscritto al prepuzio sudato, sudicio della sua ombelicale misoginia camuffata d’amore per le donn(acc)e.
Fellini è identico a questa zona “erogena” in cui son nato, e Dio mi salvi da tale sfortunata ubicazione originata nel Sant’Orsola, ospedale del reparto maternità ove venivan partoriti appunto i figli delle madri abitanti in odiata, schifosa Bologna. “Capoluogo” di merde che sbevacchiano sotto portici “morbosi”, remoti dalla mia decadenza sprofondante gioiosamente, sì, questa è vita, la maledizione perpetua.
A rinnovarsi ogni dì, per ardere e darvele!
Fellini e le sue “dolci” vite ad allen(t)are la sua noia, come dico io, il sen(s)o dei suoi complessi di Edipo (ir)risolti e irrisori. Lo derido apertamente e, anche ora ch’è defunto, in questo “Ognissanti”, lo sbeffeggio analmente.
Fellini e la sua Fontana di Trevi con Mastroianni patetico che chiede “venia” alla troiona Ekberg, che gli sussurra un “canzonatorio”, incitante… “come”… come here Marcello.
Che suona proprio come, fra cascate e frizzanti bollicine, tira fuori l’uccello…
Che schifo! Si vergogni, “ma(e)stro” del cazzo.
Poi, qui nella Romagna “emiliana”, quando d’accento strascicato pronunciano Fellini, sembra che “dicano” (espressione di cui abusano) Filini, sì, come il ragionierino Filini della saga fantozziana.

Fellini vs Friedkin. Udite e palpatene d’orecchie, per intendere, la differenza.
Captate “Fellini” e ficcatelo dinanzi al mille volte più melodico “Friedkin”.
Tutta un’altra storia. A me va a genio William. Si fotta Federico.
Fellini non ha inventato nulla, ha cazzeggiato di già letto e visto in “vitelloneggiare” sempre a rammemorarci la sua inutile “gioventù” vecchissima. Un panzone che “bomboloneneggiava” di ricordi che “scorno”. E lo sbatto… sottoterra con pinze e senza “pinzimoni”. Vaffanculo, flatulente essere immondo!

Friedkin t’incula!

Da ritrovamenti archeologici, anche delle leggende popolari, ecco il demone Pazuzu che viene “scoperchiato” come il vaso di Pandora.
Un’attrice,  Chris MacNeil (Ellen Burstyn) si trova là ove il Diavolo è stato “disturbato”… per le riprese di un film. Ha portato anche la figlia minorenne.
Ritorna(no) nella loro bella villa in quel di Georgetown. Da allora, succedono eventi orribili. La figlia mostra segni di “pazzia”, appare cambiata improvvisamente senza raziocinio psichiatrico che possa reggere. Quindi, non prende sonno, si dimena oscenamente e un pervasivo, strano sentore “cattivo” stritola la madre in un dubbio che, pian piano terrorizzandola, assumerà “certezza” assoluta.
La figlia pare essere posseduta. La madre è scettica, è una donna colta e non crede a queste “robe”. Ma sarà costretta a convincersene dinanzi al vero insostenibile.
Al che, come ultima “spiaggia”, chiama un esorcista. L’esorcista l’escogita tutte ma non ne cava un “ragno”, anzi il buco della figa la figlia trafigge col crocefisso, bestemmiando con voce virile contro Cristo!
Il decano Padre Lankaster Merrin, qui incarnato nel volto mortifero, da Settimo sigillo, del grande Max von Sydow, è impotente di fronte a questo.
La figlia è sempre più mostruosa, nonostante tutto.

Nel frattempo delle urla, un altro esorcista, giovane e con alle spalle un caso simile di possessione, è entrato nel gioco… del demonio.
Ma entrambi, Cristo Santo, non riescono a debellare il Male. Fin a quando il Diavolo prende davvero il sopravvento e ammazza d’infarto il “vecchio”.
Sconvolto, ucciso dalla paura, il giovane esorcista si scaglia contro la ragazza e implora Satana affinché entri nel suo corpo. Satana, gran figlio di puttana, lo soddisfa seduta (spiritica) stante. Appena l’esorcista s’accorge che la sua anima è stata violata, per non ferire la ragazza, si suicida, gettandosi dalla finestra.
Passano le stagioni… la madre e la figlia, Regan, vanno a vivere a Los Angeles, patria dei “sogni” e di Hollywood… per provare a scagionare l’incubo.
Ma qualcosa, nei loro occhi, è impresso di orrido “amarcord”.

Ecco, poi ditemi se Friedkin non ne sa una più del Diavolo rispetto a quel borghesuccio del Fellini.

(Stefano Falotico)

L'esorcistaL'esorcista 2

 

 

 
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