“The Addiction”, recensione

Succhia, fammi vedere come succhi

Succhia, fammi vedere come succhi

 

Metafore e fori a forbici sanguigne, la forca del Peccato è l’albero del Male, vampirismo opaco in meditazione genetica, (de)generazione consumante traspiranti palpebre nere…


Oh, ansia m’avvolgi in anima sgualcita, sdrucciolante è colar ansimo di mio spettro rapito dalla società ingorda coi suoi dolci coloranti. Oggi, per voluttà inchinata al maledettismo, implori la fuga esistenziale, ostaggio d’un mai rimarginato malessere.

Scont(ent)o che partorisce un mostro e poi il mostro è viscere nel dipingere la vita a ringhiante graffiarti. Scuoi il cuore, pulsa elettromagnetico dinanzi a teorie empiriche che succhi da “vampira”, assetato come te di scibile, sete che sgorga in perpetui deliri, poi vomita l’amaro in (s)concerto non euforico. Come se vibrasse una cauta ma tremenda “forca” amputante i polsi dell’amore per il Mondo. Lo ami e ossequi per un po’, poi te ne distacchi molto, troppo.

Ti estranei, passeggi “zombificato”, atterrito dagli orrori che non puoi guarire. Neanche delle tue “cattive idee” da Travis Bickle.

Tutto si aggiusterà?

No, la febbre sale, sei indemoniato e l’esorcista non debellerà il virus all’apparenza tranquillo ma latente di labbra già avvelenate.

Consunta in viso rinsecchito, preda e ostaggio del desiderio proibito, attratta dai demoni…, sbandi e di saliva vogliosa sbavi.

Questo non è Male, è sentire. Chi sente le emozioni, soffre e si rannicchia, si (rin)chiude nella bara per anestetizzare sia le gioie e sia l’insopprimibile dolore. Forte, bussa quando dormi sonni “profondi”, soffochi di nausea in polmoni urlanti un’ode poetica che l’arroganza tramuterà in odio.

Ti sveglierai, “ramificata” nel buio dei finti loro raggi “solari”.

Gemerai sofferente una solitudine senza confini.

Immagina… studia filosofia per rinsaldare certezze che però, di contraltare…, si potenziano in dubbi agonici, un’altra incognita e altre insonnie dentro suburbane notti malfamate o mai davvero affamate come per gli altri. Sfiata, dai, (non) ce la fai.

Ti sento anch’io. Stiamo morendo. Non frega a nessuno.

Salvami, gua(r)endo con me, amico e amante, Dracula o pagliaccio, iconoclasta o libero da tutte le “caste”.

Incastra la tua lingua fra i canini e l’arcata… dell’elevazione.

Animaleschi, godremo in ferite divoranti. Grida, troia… d’una vita (ba)lorda, balla per me nuda, mangiamo le orge dei veri pervertiti. Non c’è speranza per noi, siamo morti. Siamo (ri)nati così.

Dinastici d’una stirpe di razza, quindi esangui a essere “esaminati” dagli sguardi malvagi, indagati perché la nostra alterità turba la “quiete” dei re(ie)tti. C’estingueranno, non sopravviviamo. Anfibi di (e)rettile ectoplasma, non ci vedono eppure ci sorvegliano, sigillano i nostri cuori nel blindarci di crudeltà.

Scappa con me, scopa qui, no, vaffanculo!

No, non andartene! Nooo!

Dolore, ti voglio! Mi rendi vitalità, reattivo fra chi è spento.

Abbassa le luci, troppo Sole mi brucia.

Siamo drogati di dipendenza dalla vita, purtroppo.

Tentar di fuggire è inutile, è illusione.

Ma questa tentazione è stupenda, macabra eleganza da Nosferatu.

Succhia, fammi vedere come succhi…

 

(Stefano Falotico)

 

 

 

 

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