In viaggio con mio figlio (EZRA), recensione

The Big Lebowski Ezra Viaggio mio figlio

Oggi recensiamo il delicato, sobrio, emozionante, sebbene non eccezionale, premettiamo subito e seguentemente approfondiremo con maggior cura nella nostra disamina, In viaggio con mio figlio, il cui titolo originale è Ezra, equivalente al nome del giovanissimo protagonista principale su cui verte la sensibile vicenda narrataci dal suo regista Tony Goldwyn (Oppenheimer). Goldwyn, figlio del celebre producer Samuel Goldwyn, eh già, nientepopodimeno che l’ex patron della MGM, spesso attore, conosciuto forse ai cinefili più accaniti per film oramai di decadi or sono, quali Tracce di rosso in cui duettò in modo caliente con l’avvenente e torbidamente sexy Lorraine Bracco (Quei bravi ragazzi) in inedita versione blonde di sorprendente incursione nel thriller erotico, qui per l’appunto nuovamente dietro la macchina da presa alla sua quinta prova registica. In unica “veste” di director, Goldwyn esordì nel ‘99 col sentimentale A Walk on the Moon – Complice la luna con Viggo Mortensen (Crimes of the Future) & la bella Diane Lane. Su sceneggiatura originale firmata dal suo omonimo, non però nel cognome, Tony Spiridakis, Goldwyn, in prima linea anche come uno dei maggiori produttori del suo opus, cambia totalmente registro, non solamente filmico, optando per un lineare, toccante racconto di formazione di matrice psicologica dall’andamento pacato. Sottostante ve n’enunceremo brevemente la trama senz’eccedere in particolareggiate descrizioni per evitarvi sorprese sgradite:Bobby Cannavale Ezra

Max Brandel (Bobby Cannavale, Motherless Brooklyn – I segreti di una cittàDanny Collins – La canzone della vita) è uno standup comedian in crisi professionale e affettiva. Specialmente su quest’ultimo versante, la sua situazione è non poco complicata in quanto ha appena divorziato dalla sua ancor amata compagna Jenna (Rose Byrne, la vera moglie, peraltro nella vita reale, di Cannavale). Max, giocoforza, si trova a gestire il figlio parzialmente autistico Ezra (William Fitzgerald) avuto da quest’ultima. Jenna non è accordo con Max in merito all’educazione e al percorso scolastico da adottare nei riguardi di Ezra che comincia ad accusare problematiche non indifferenti per via della sua “diversità” comportamentale rispetto ai suoi coetanei e compagni di classe. Cosicché, a dispetto anche dei bonari e previdenti consigli paterni e paternalistici del nonno di Ezra e ovviamente suo padre Stan (Robert De Niro, Zero DayThe Alto Knights – I due volti del crimine) in un impeto d’orgoglio, Max, di propria inalienabile iniziativa in lotta contro tutto e tutti, decide d’intraprendere col figlio un’escursione per le sconfinate strade americane. Durante tal intimo journey paternale, Max impara sempre più a prender confidenza con Ezra e viceversa, innescando un transfert emozionale di crescita reciproca, imparando a riconsiderare il suo ruolo genitoriale e avviando interiormente un educativo processo di presa di coscienza del suo stesso tragitto esistenziale, a sua volta empaticamente associato al sangue del suo sangue sia a livello ovviamente genetico ereditario che in senso lato d’indissociabili e al contempo insospettabili affiliazioni del cuore dapprima reputate insospettabili.

Diretto pregevolmente e senza cadute nella volgarità o nel ricattatorio più melenso da Goldwyn che, per l’occasione, si ritaglia anche il piccolo, ingrato ruolo, dell’avvocato e nuovo compagno di Jenna, In viaggio con mio figlio, soavemente fotografato da un ispirato e accorto Daniel Moder, tocca e “pilucca” con finezza e garbo spesso le corde dell’anima, ed è sorretto da un cast impeccabile ove, oltre agli interpreti già citati, son doverosamente da menzionare Whoopi Goldberg e la consuetamente fotogenica e brava Vera Farmiga (15 minuti – Follia omicida a New YorkL’uomo sul treno), altresì non si discosta mai da similari, fra il poetico e il patetico, road movies e racconti di stampo “educativo” a sfondo vagamente dolciastro, difettando infatti d’originalità in ogni suo aspetto, di conseguenza allineandosi alle convenzioni e stilemi narrativi più abusati, visti e stravisti. Eppur, ripetiamo ancora, vale la visione eccome, poiché, malgrado la sua intrinseca e mai elusa prevedibilità strutturale-e perfino concettuale, riesce egualmente a commuovere e a far riflettere per via della sua gradevolezza filmica e della leggiadria registica d’un Goldwyn sincero e mai furbetto nella messa in scena.

Il quale, sapidamente, con ricercato, consumato mestiere consolidato, sa ben aggirare le facili trappole della rischiosa retorica, confezionando una pellicola piacevole e asciutta senza troppi fronzoli di maniera, scevra da qualsivoglia deleterio svolazzo pindarico estetizzante. A differenza di ciò che, ahinoi, va invece oggi malamente di moda. Se però trascuriamo alcune riprese flou dalle tonalità troppo soffici (ri)ottenute con la color correctionIn viaggio con mio figlio è qua e là inevitabilmente una pellicola scontata ma tenera. Servitaci con indubitabile, ammirevole professionalità e intellettuale onestà diretta e incriticabile. Forse dal finale troppo edulcorato e politicamente corretto in cui a vincere è il buonismo semplicistico e sempliciotto.

In viaggio con mio figlio risente, rimarchiamo purtroppo, d’un canovaccio alquanto ordinario ove, a sproposito, si citano, di luoghi comuni dei più sciocchi, perfino Dostoevsky & company per una fiera delle facilonerie a buon mercato. Però, a prescindere da certe ovvietà trite e ritrite, si gusta con piacere indubbio. Forse, a esser davvero obiettivi, è proprio Bobby Cannavale la “nota” dolente del film. Continua infatti a risultare un attore talentuoso e indiscutibilmente molto preparato, dallo stacanovismo e impegno lodabili ma purtroppo, continuamente, interpretazione dopo interpretazione, non riesce veramente ad effondere carisma e corposità massiccia ai personaggi da lui incarnati. Rimanendo nell’anonimato e perennemente non svettando primariamente. Non sarà, ci spiace per lui, mai e poi mai una star e un attore, come si suol dire, di grido. Perché, probabilmente, per via d’una atavica rozzezza espressiva e d’una sfacciata antipatia innegabile, ci duole dirlo e ammetterlo con totale obiettività, non riesce a colpire nel segno e ad imporsi, in noi vividamente ad imprimersi.

Ripieno di cliché, s’avvale di ballate melodiche di Bruce Springsteen, però riproposte a iosa e in modo canonico, anzi, per essere più appropriati espressivamente, poco in linea, sovente, con le atmosfere effuseci in tal favola che, seppur piacevole, scade nel patetismo a tratti. Ma non vogliamo, utilizzando ancor ivi il plurale maiestatico, ecceder noi stessi di ripetitività. Seppur, ancor evidenziamo, Goldwyn è accorto a non precipitarne del tutto grazie a guizzi imprevisti e assortiti con ingegnosità gioconda.

Curiosità e aneddotici raccontini finali: dapprima, volutamente fingemmo di dimenticarci di Goldwyn nei panni del “villain” dell’epocale, a suo modo indimenticabile, Ghost con la magnifica Demi Moore e il compianto Patrick Swayze in uno dei suoi ruoli più iconici e memorabili. Ove, come saprete benissimo, recitò la qui presente, come suddetto, Goldberg che, per il suo ruolo divertito e divertente della veggente simpaticona, vinse, chissà se però meritatamente, l’Oscar come miglior attrice non protagonista. In questi anni, Goldberg è apparsa inoltre pochissimo sul grande e piccolo schermo, preferendo invece condurre vari talk show televisivi, peraltro intervistando numerosissime volte, soventemente, nientepopodimeno che lo stesso De Niro, divenuto nel corso degli anni un suo grande amico nella vita privata e come lei fervente democratico liberale in eterna lotta contro Donald Trump. La sua partecipazione nel film, infatti, è meramente, come si suol dire, “straordinaria” e Goldberg se n’è prestata per ragioni esclusivamente alimentari e “amicali”. Per via dell’antica stima nei confronti di Goldwyn e, per l’appunto, De Niro stesso. Eppur è sempre un’attrice pimpante, spassosa e dall’innata verve contagiosa.

Si cita Il grande Lebowski e Max/Cannavale s’esibisce al Comedy Cellar ove, nella finzione, s’esibì lo stesso De Niro dell’inedito The Comedian di Taylor Hackford.

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di Stefano Falotico

 

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