Fuori Orario di Scorsese, che genio

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Ora, non molti lo sanno eppur qui lo asserisco e nelle mie ex follie mi “reinserisco”. Ah ah. Mi ricordo tempi lunatici, di forti turbamenti esistenziali, in cui vissi molto di notte, allunandomi, anche allucinandomi, da vampiro, e vivendo di brade euforie mischiate alla melanconia in quella “brughiera” che fu la mia (non) adolescenza. In quel periodo, esagitato, nottambulo appunto, da un certo punto di vista esecrabile perché troppo non allineato o, paradossalmente, troppo conforme a una sorta di compostezza comportamentale avvicinabile alla “scemenza”, guardavo film che allietavano il mio stato d’an(s)imo. Così, in una sera calda di tal tempeste shakespeariane del mio essere e non essere, rinvenni uno dei capolavori di zio Marty, un incubo kafkiano di genialate impagabili. Tutti noi, chi più chi meno, una volta nella vita, ci siamo sentiti sfasati e in dimensioni non nostre, precipitando fra persone che di te fraintendono tutto, dandoti una caccia spietata allo sc(i)occar della Luna. Sì, come Griffin Dunne, anonimi uomini nella giungla metropolitana di una città tentacolare, inghiottente le tue purezze e scalfente la tua “ingenuità”. Ma che bellezza straordinaria questo film, coi suoi scorci bui, al neon, i baristi stressati e schizzati, gli intellettuali rincoglioniti, le donne castratrici, gli inseguimenti a perdifiato, che atmosfera. Questa è vita, insomma, tutto in una notte. Al bando la noia.

 

di Stefano Falotico

 

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