Il corriere – The Mule, recensione

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Ebbene, scusateci per il piccolo ritardo. Ma volevamo gustarcelo e assaporarlo con estrema ponderatezza. Quindi, vi chiediamo clemenza. Sebbene sia uscito giovedì scorso, 7 Febbraio, abbiamo atteso con calma di metabolizzarlo lentamente e ora, terminato che abbiamo d’averlo assaggiato intimamente in ogni nostro venoso sospiro, finalmente ci sentiamo di scrivere la recensione de Il corriere – The Mule.

Opus n. 37 di Clint Eastwood cineasta. Qui forse alla sua ultima interpretazione attoriale.

Le malelingue hanno scritto che Il corriere sarà anche il suo ultimo film in assoluto. Noi sinceramente, nonostante la sua veneranda età di ben ottantotto primavere (presto 89, infatti compie gli anni il prossimo 31 Maggio), speriamo che Eastwood di film ne possa girare ancora e che Il corriere non segni invece, come si è detto, il suo risolutivo testamento artistico.

Innanzitutto perché Clint Eastwood è certamente uno dei massimi registi contemporanei, uno story teller ineguagliabile, dotato di una poetica personalissima difficilmente eguagliabile. E non si può altro dunque che augurargli di campare ancora il più a lungo possibile.

E poi perché, sebbene, come esplicheremo nelle righe a seguire, riconosciamo che Il corriere sia un bel film, non è comunque paragonabile a suoi ben più alti lavori decisamente più memorabili di cui la sua filmografia, soprattutto negli ultimi trent’anni, è stata tanto piena da incantarci ogni qualvolta, estaticamente ammirati, la ripercorriamo con la memoria.

Ma è proprio così? Il corriere è davvero lontanissimo da capolavori come Un mondo perfetto?

Insomma, Il corriere è un film amabile, con momenti straordinari, ma non è Gran Torino. Può essere.

Sebbene, attenzione, le rispettive durate de Il corriere e di Gran Torino siano identiche, ovvero un’ora e cinquantasei minuti. E a scrivere la sceneggiatura de Il corriere sia stato Nick Schenk. Così come avvenuto, parimenti a uno dei massimi masterpiece di Eastwood, ça va sans dire, l’indimenticabile e insuperabile, appena citato Gran Torino.

Appunto, eh.

Il corriere, anche se ci piace propriamente chiamarlo col suo titolo originale, The Mule, eloquentemente più in linea col carattere cocciutamente asinesco e incorreggibile del protagonista, non è un film che passerà alla storia ma uno di quei film “minori” a loro modo comunque inviolabilmente importanti, soprattutto se collegati all’excursus autoriale di Eastwood, un film magicamente in linea con la sua inattaccabile, moralmente ieratica e anti-compassionevole visione della vita e del mondo, una pellicola aderente alla sua pelle d’artista e da cantore crepuscolare in modo così simbiotico a Eastwood stesso che noi ammiratori non ne possiamo prescindere, un film bruscamente secco e talvolta sin troppo leggero, con molti difetti e forse persino qualche sciatteria e delle ingenuità che da Eastwood non ci saremmo aspettati, ma anche un film tanto sinceramente vivo da raschiarci e squagliarci ugualmente in profondità, liquefacendoci d’emozioni purissime, echeggiando zampillante nel cuore nostro più romantico, ardendolo di dorata maestosità viva e pulsante. Cioè un piccolo film che che però, nella sua pur scanzonata, discretissima semplicità buffonescamente tenera e al contempo malinconicamente struggente, ancora una volta, come sempre accade con Eastwood, ci ha toccato soavemente l’anima. Illuminandola di sublime levità.

La trama è questa. Ricalcata dallo stesso writer Schenk dall’articolo del New York Times intitolato The Sinaloa Cartel’s 90-Year-Old Drug Mule.

Basata, seppure in forma estremamente romanzata, sulla vita del vero Leo Sharp. Che qui assume il nome fittizio di Earl Stone.

Un veterano di guerra, un floricoltore ora molto anziano che, dopo la chiusura coatta della sua attività, o meglio a causa del suo pignoramento, pur di fare qualche soldo utile, accetta di prestarsi come guidatore speciale. Eh sì, speciale perché Earl è totalmente ignaro del pasticcio in cui ingenuamente si è andato a cacciare. Lui non diventa, infatti, un semplice autotrasportatore bensì un involontario corriere della droga.

Tanto che fa persino conoscenza col boss del narcotraffico, Laton (Andy Garcia).

Earl è stato anche preso di mira, a sua totale insaputa, dalla DEA e dal suo intransigente agente Colin Bates (un Bradley Cooper puntualmente bravo).

Se la prima ora, onestamente, non ci aveva entusiasmato e, a differenza di altre volte, le battute a effetto in puro stile Eastwood ci son parse in questo caso deboli e forzate, pedanti e oltremodo razziste, se le due scene con le prostitute, prima al motel e poi nella magione di Laton, ci sono sembrate di primo acchito volgari e patetiche, quasi vomitevoli anziché autoironiche, ecco che all’improvviso The Mule subisce un’inaspettata, mirabile impennata, regalandoci un’ultima mezz’ora eccezionale.

Il vegliardo, rincoglionito Earl torna al capezzale della moglie morente Mary (una dolcissima Dianne Wiest) e i suoi sguardi con lei, tenerissimi e angosciosamente, romanticamente disperati, valgono il prezzo del biglietto. Così com’è indimenticabile il breve, palpitante dialogo fra Earl e Bates al bar alle prime, soffuse, fiocamente languide, pallidissime luci dell’alba. Vibrante, ove The Mule diviene davvero una sorta di The Straight Story lynchiana. O ancor meglio una non banale riflessione on the road sul cammino dell’esistenza, nel sintomatico confronto fra una giovinezza tormentata e incerta, seppure ambiziosa, come quella di Bates, e il volto rugoso, malconcio del macilento, raggrinzito teschio ambulante incarnato, anzi scarnificato del viso emblematico di Eastwood. Due solitudini che si specchiano reciprocamente impaurite da quel che sarà per Bates e da quello che è già, purtroppo, stato per Earl.

E alla fine Earl abdicherà, coraggiosamente, dinanzi all’ineluttabilità della sua inevitabile vecchiaia.

Trovando splendidamente il coraggio di guardare in faccia, forse per la prima volta, la verità. Riconoscendo a tutti ma soprattutto a sé stesso, senza pietismi e autoassoluzioni consolatorie, la propria sconfitta, la propria decadenza.

La propria inarrestabile, incarcerata fine. Il tramonto di un sogno chiamato vita.

The Mule non è forse un grande film ma un film che crescerà nei nostri cuori ora dopo ora.

E forse un giorno diverrà un capolavoro.

Chissà.il-corriere-the-mule-recensione-clint-eastwood-02 il-corriere-the-mule-recensione-clint-eastwood-01 il-corriere-the-mule-recensione-clint-eastwood-04

di Stefano Falotico

 

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