CRY MACHO – Ritorno a casa, recensione

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Ebbene, in anteprima assoluta, recensiamo l’ultima, forse nel senso, ahinoi, definitivo del termine, opus di Clint Eastwood, ovvero Cry Macho. Sottotitolata in Ritorno a casa. Avete letto bene, non ci siamo sbagliati nell’incipit obiettivamente, tristemente lapidario di questa nostra recensione veritiera. In quanto, Cry Macho, data la notevole età anagrafica di Eastwood, il quale compirà prossimamente ben novantadue primavere, precisamente nell’anno a venire oramai alle porte, giocoforza, se non segnerà definitivamente il suo addio dalle scene e dietro la macchina da presa in veste di regista, perlomeno e quasi sicuramente rappresenterà invece la sua attoriale interpretazione finale prima dell’inesorabile sopraggiungere funebre, non molto lontano purtroppo dall’avvenire e dal concretizzarsi malinconico, francamente, d’una incolmabile sua dipartita inevitabile (leggasi morte). Che, a sua volta, per noi, suoi fervidi ed enormi ammiratori, segnerà un lutto immane.

Detto ciò, Cry Macho è un film della scorrevole durata di centoquattro minuti circa, distribuita e finanziata dalla Warner Bros Pictures, così come sempre e puntualmente accade con le pellicole targate Clint Eastwood che, a sua volta, in concomitanza con la major appena succitata, s’autofinanzia con la sua stessa compagnia di produzione, cioè Malpaso.

Cry Macho è sceneggiato da Nick Schenk, già autore per Eastwood del magnifico, insuperabile capolavoro Gran Torino e dell’ottimo, sebbene imperfetto, Il corriere – The Mule. Per l’occasione, Schenk adatta il romanzo omonimo di N. Richard Nash, trovando nel suo fido Eastwood, e viceversa, il suo traspositore, diciamo, per immagini e parole filmate. Purtroppo, a differenza dei due film poc’anzi scrittivi, partoriti dal duo Eastwood-Schenk, duole ammetterlo, anzi, ci piange decisamente il cuore, onestamente Cry Macho è ben lungi dallo sfiorare gli alti risultati soddisfacentemente qualitativi raggiunti dalle pellicole, per l’appunto, sopra dettevi. In quanto, come brevemente, speriamo esaustivamente, disamineremo nelle immediate righe a seguire, Cry Macho risulta un’opera, in molti tratti, sdolcinatamente retorica e, nonostante sia un film drammatico impegnato per cui Eastwood s’è ammirevolmente, senz’ombra di dubbio, prodigato di buon cuore, infondendogli passione e dandosi, donandosi anima e corpo, con solita sua estrema professionalità distinta, in fatto perfino di sua recitazione da commovente protagonista, risulta smaccatamente e ingenuamente forzato in maniera un po’ indigesta.

Comunque, ciò lo sviscereremo presto…

Trama, con alcuni spoiler necessari: Michael Milo, detto Mike (Eastwood), è un ex cowboy oramai assai attempato e claudicante, stanchissimo e affaticato, il quale viene ingaggiato dal suo capo e amico texano al quale è riconoscente di avergli salvato la vita, di nome Howard Polk (Dwight Yoakam), col compito di recarsi in Messico e trovare suo figlio di tredici anni, Rafael, detto Rafo (l’esordiente Eduardo Minett). Superato il confine messicano, Eastwood s’addentra in una cittadina quasi fantasmatica e lugubre, al cui interno risiede la lussuosa villa della madre di Rafael, l’avvenente e sensuale, lussuriosa Leta (Fernanda Urrejola). Matrona, forse addirittura prostituta per festini privati, molto sexy e misteriosa, attorniata da malavitosi scagnozzi ai suoi piedi che soddisfano da ruffiani ogni sua richiesta intima… Leta, pur di dissuadere Mike dal ritrovare suo figlio, scapestrato e inselvatichitosi, datosi precocemente alle scommesse clandestine e agli illeciti guadagni nell’allevare una gallina dalle uova d’oro e da combattimento, ribattezzata Macho, è disposta a concedersi carnalmente a lui. Non ponendosi scrupoli etici, avvezza com’è, infatti, a donare generosamente il suo sensuale corpo per puri scopi di lucro e di malaffare… Mike, in virtù della sua dura, ferrea robustezza morale intransigente e non per via del suo essere molto âgée, dunque non a causa dell’essere impossibilitato ad avere un normale rapporto sessuale con una giovane, attraente donna procace, con signorilità e gentilezza altamente, moralmente stimabile, rifiuta l’offerta e l’indecente proposta sporca elargitagli laidamente… Rimettendosi subito alla ricerca del ragazzo da lui bramato per riportarlo, quanto prima, a casa di suo padre.

Nel frattempo, Mike e il ritrovato Rafo trovano ristoro presso la locanda della cortese ed ospitale, graziosa Marta (Natalia Traven). Pur dormendo segretamente, di notte, dentro la chiesa semi abbandonata del villaggio.

E qui ci fermiamo, opportunamente, per non rivelarvi altro e troppo svelarvi al fine di non rovinarvi altre sorprese importanti a cui assisterete durante questo viaggio, non soltanto filmico…

Opera pregevole sotto vari aspetti non del tutto trascurabili, in primis la sua pittoresca e crepuscolare ambientazione suggestiva e piacevolmente fuori moda, Cry Macho, se guardato sotto un’ottica esegetica per l’appunto legata a una nostalgica visione del Cinema gustosamente naïf e simpaticamente rétro o retrò che dir si voglia nel caso vogliate italianizzare tale suddetto francesismo, potrebbe anche piacervi molto. Emozionandovi, paradossalmente, per il suo forse involontario impianto quasi da feelgood e b movie degli anni novanta con molte scene d’azione oggettivamente e realisticamente improponibili sul piano della credibilità spicciola.

Infatti, Eastwood pecca qui veramente di sprovvedutezza narrativa che da un espertissimo veterano come lui non ci saremmo francamente aspettati, risolvendo spesso i rocamboleschi accaduti mostratici con una faciloneria disarmante. Episodi che avrebbero meritato ben più complesse, giustificate soluzioni e maggiori sviluppi verosimili.

Ma, ripetiamo, questi macroscopici difetti di struttura potrebbero rappresentare per gli spettatori smaliziati, in materia cinematografica, esattamente e assurdamente il cosiddetto guilty pleasure. Cioè un godimento inconfessabilmente incredibile.

Eastwood, inoltre, appare davvero troppo vecchio per la parte. Il personaggio di Mike Milo, di certo, non deve né doveva essere giovane e atletico, intendiamoci, neppure però così anziano e in forte difficoltà di deambulazione, eccetera eccetera.

Ciò ci spiace immensamente perché, comunque sia, ribadiamolo, Eastwood credeva molto a tale progetto Cry Macho. Essendo peraltro lui stesso il primo, naturalmente, a essere ben conscio che, riagganciandoci al nostro discorso iniziale, con tutta probabilità, Cry Macho sarà la sua ultima prova d’attore prima del suo addio e nostro conseguente lutto incancellabile.

Ci piace troppo Eastwood, a prescindere da tutto, per stroncarlo appieno e dunque, non potendogli noi essergli troppo crudeli o semplicemente sinceri, concluderemo col dire che Cry Macho potrebbe essere soltanto, metaforicamente parlando, una preziosa gemma dolceamara e, a livello carezzevolmente romantico, un laconico, languido, toccante eterno tramonto fotografato meravigliosamente dal cinematographer Ben Davis (Eternals).

In conclusione

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Non è affatto un capolavoro ma questa recensione, forse, sì. Sono io Steve Everett/Eastwood di Fino a prova contraria. Dico tutto e dico niente, alludo e ammicco, tutte le verità denudo. Sinceramente, denuderei colei che interpreta Leta. Leggendo questo mio scritto, si capisce benissimo che è una puttana. Però, evviva la sincerità, è figa.

di Stefano Falotico

 

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