BLONDE, recensione

Ebbene, oggi recensiamo il controverso, affascinante eppur poco convincente Blonde, firmato da Andrew Dominik (L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford, Cogan – Killing Them Softly).posterBlondeAnadeArmasAna de Armas Monroe Blonde

Presentato in Concorso alla 79.a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ove ha riscosso pareri contrastanti, totalizzando, sul sito aggregatore metacritic.com, una buona eppur non eccelsa né particolarmente lusinghiera media recensoria del 49% di opinioni generalmente poco positive (media che ci trova sostanzialmente concordi e che rispecchia abbastanza fedelmente la mediocrità dell’opera in questione), Blonde è un film della durata veramente consistente, riteniamo però leggermente eccessiva e dispersiva, non sempre omogenea in termini d’intrattenimento e filmica riuscita, di ben due ore e quarantasei minuti, cioè circa 3h. Ripetiamo, un minutaggio che c’è parso esagerato per un film però sostanzialmente vincente e appassionante sol a tratti, con molte cadute di tono, non poco volgari e forzate, specialmente nella parte centrale, soporifera, prolissa, farraginosa e troppo “arty”.

Tratto dal libro omonimo di Joyce Carol Oates e, come consuetudine, da Dominik liberamente adattato e trasposto in immagini da lui stesso, ça va sans dire, Blonde è l’ennesimo biopic dedicato alla vita di Marilyn Monroe. Fra le tante, più o meno efficaci “biografie” del piccolo e grande schermo sulla sempiterna, leggendaria e mitica Monroe, perlomeno ricordiamo l’intrigante e piuttosto recente Marilyn (My week with Marilyn) di Simon Curtis con Michelle Williams e il tv movie, datato ‘96, Norma Jean & Marilyn con una delle più grandi attrici viventi, ahinoi perennemente sottovalutata e oramai semi-ritiratasi, e una delle donne, a nostro avviso, più sexy e torbide dell’intera storia del Cinema, ovvero la magnifica Ashley Judd (Heat – La sfida). La quale, peraltro, in tale pellicola appena succitata, s’esibì generosamente in una serie di nudi mozzafiato che ne risaltarono le strepitose e graziose, muliebri forme sensualmente madornali e ipnotiche.

In Blonde, di Norma Jeane, divenuta Marilyn Monroe, giustappunto, ci viene narrata la genesi, invero molto superficialmente, e ci viene mostrato il dolente e al contempo potente excursus esistenziale e professionale, fra alti e bassi perfino sconcertanti ed eclatanti. Lei, figlia di una madre internata (Julianne Nicholson), sballottata nell’andirivieni d’incontri per lei decisivi e rilevanti, dentro e fuori dal set e nell’ambiente hollywoodiano, dal ménage à trois coi figli di Charlie Chaplin e Edward G. Robinson, rispettivamente di nome Cass (Xavier Samuel) e Eddy (Evan Williams), al matrimonio con Joe DiMaggio (Bobby Cannavale) e al rapporto con Arthur Miller (Adrien Brody), evidenziamo ancora, in un saliscendi emozionale e in un tourbillon, metaforicamente cinematografico e non, davvero convulso e finanche toccante. Però glaciale, algido in modo imbarazzante ed estetizzante in maniera insopportabile. In poche parole, al fine d’essere necessariamente sintetici e per non rivelarvi altro in modo tale da non sciuparvene le sorprese, più o meno spiazzanti, di Marilyn ne ripercorriamo le gesta e il mito, la nascita e la gloria, il declino e il tramonto, la disfatta e l’ineluttabile, angosciante, celeberrima fine malinconica e, per molti versi, tetra e agghiacciante. Rimanendo incollati alla visione di Blonde in modo magnetico solamente sporadicamente, in quanto Dominik è un regista di estremo pregio e sicurissimo, oramai incontrovertibile talento sopraffino, ciò è indubbio, dunque le qualità visionarie e affabulatorie non gli mancano di certo ma qui esagera e risulta artefatto, mentre la sensualissima Ana de Armas che, ribadiamo, ovviamente incarna Monroe, è indubbiamente un’attrice brava e soprattutto molto bella ed elegante, graziosa e simpatica, però assurdamente fuori parte vistosamente. Poiché, ci par importante e doveroso specificarlo, specialmente puntualizzarlo, a ben vedere, anzi, a occhio nudo, non ha molto da spartire, in termini di fisica somiglianza e per via dei differenti tratti somatici, con l’eterna Monroe. Rivelandosi, quindi, a dispetto del suo notevole impegno interpretativo, molto lontana dal poterle sembrare pienamente aderente e totalmente credibile, perfino caratterialmente.

Dominik personalizza esageratamente il libro da cui, come sopra dettovi, ha preso spunto e ispirazione, lasciandosi prendere la mano da ingiustificati “svolazzi” non inerenti la famosa scena della gonna alzata di Marilyn, bensì riguardanti letteralmente il suo barocco stile qui veramente kitsch in modo stucchevole.

Cosicché, Blonde diviene un biopic inerme e smorto, privo di pathos, non rende affatto giustizia al mito di Marilyn in quanto, nel suo discutibile tentativo di descrivercela per quello che forse era davvero, perlomeno secondo l’ottica e la poetica personalissima di Dominik, paradossalmente ce ne offre una visione irrispettosa e assurdamente distorta, romanzata e del tutto sballata in maniera impropria.

Soprattutto, alla fine delle sue quasi tre ore interminabili e spesso noiose, della Monroe non racconta quasi per nulla la sua vita prettamente cinematografica, tantomeno sviscera in profondità la sua emotiva esistenza psicologica, tratteggiandola banalmente e presentandocela come una donna psicolabile, fragile ma al contempo, in virtù di questo, adorabile e mitizzabile.

No, grazie, Dominik dovevi fare di più. Il tuo ritratto di Marilyn è, oltre che opinabilmente soggettivo, molto sempliciotto e perfino puerile.Ana de Armas Marilyn Monroe BlondeBlonde Netflix poster de Armas Ana de Armas Monroe BlondeAnadeArmasMonroe

di Stefano Falotico

 

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