HALLOWEEN KILLS, recensione

Myers Halloween Kills

Velocissimamente, recensiamo il secondo capitolo della saga di David Gordon Green. Di cui, negli scorsi giorni, disaminammo approfonditamente l’ultimo chapter, chissà se poi veramente definitivo, ovvero l’ampiamente sottovalutato, invero nient’affatto disdicevole, anzi, a nostro avviso assai interessante e notevole, Halloween Ends, episodio conclusivo, naturalmente, dei sequel del capostipite di tale riesumazione, potremmo dire, greeniana dell’originario capolavoro carpenteriano, sì, firmato nel ‘78, ovviamente, da John Carpenter. Che di tale operazione n’è patrocinatore assoluto e fiero fautore, secondo noi, a ragion veduta, come si suol dire. In quanto, Gordon Green non è l’ultimo venuto ed è un regista brillantissimo, sperimentatore nato e uomo colto assai raffinato, in grado tranquillamente di spaziare in ogni genere, districandosene con impari stile amabile e perfino originale. Originale lo è anche in tal caso, anche in occasione, giustappunto, di questo suo aver ridato vita a The Shapealias boogeyman par excellence del Cinema horror più slasher, cioè Michael Myers. Inutile e pleonastico specificarlo ma ci pare d’uopo, comunque, chiaramente enunciarlo. Simbolizzazione del male per antonomasia, dotato di ancestrali poteri semi-sovrannaturali dei più invincibili, paurosamente incredibili, finanche talvolta grottescamente ridicoli e realisticamente impossibili, Myers è altresì l’esemplificazione ed emblema apoteotico, crudelissimo, superlativo, del babau durissimo a morire, rinascente lui stesso dalle apparentemente sepolcrali ceneri del suo aver arso vivo la sua esistenza già a sei anni quando assassinò, efferatamente, (in)consciamente, sua sorella e il suo ragazzo nella sua abitazione e dimora oramai divenuta un’haunted house fantasmaticamente spettrale, la prigione mnemonica del suo trauma forse neppure tale. Poiché, ribadiamo, Myers non è diventato orrendamente e disgraziatamente, incurabilmente cattivo in seguito, così come di solito avviene per i mostri, a un episodio traumatico patitogli e ingiustamente successogli a causa di eventi funesti e profondamente avversi, in seguito, cioè, a circostanze tristemente negative, bensì per connaturata indole terribilmente maligna, sì, innatamente insita in lui sin dai primordi dei suoi primi, erronei e orrifici battiti vitali e aberranti respiri malvagi e mefitici.

È il male intrinseco, è l’uomo nero delle favole dark infantili perché la strega vien di notte con le scarpe tutte rotte e non ti offre, nel giorno dell’Epifania, bensì della notte di Ognissanti, una calza nylon da sensuale figa inaudita, non ti strappa le mutande ma il cuore, te lo disossa e ti scarnifica dietro una maschera ove forse si cela un uomo che, nell’animo, è pelle e ossa, cioè scheletrico e arido da far paura, perversamente malato in maniera insanabile, un uomo prosciugato d’ogni amore, un uomo che, nel terzetto dei monsters coi coltelloni, quali Leatherface & Freddy Krueger, fa la sua porca figura e se la batte per il primato del podio del più porco. Del più immoralmente stronzo in modo immortale, sin dal carpenteriano, imitatissimo prototipo.

Myers spalanca le fauci, metaforicamente inghiottendo e deglutendo, no, parlando, dei suoi coltelli affilati, riperpetuando le uccisioni “copia carbone” dell’antesignano masterpiece di John che (in)generò tantissimi seguiti apocrifi e, più o meno riusciti, epigoni e vari episodi… eh già, cari degenerati dei più variegati. Sul canovaccio del primo, qui ritorna Will Patton nei panni dello sceriffo. Che sembrava morto ammazzato e invece è, a quanto pare, vivo e vegeto, assai ferito ma resuscitato.

E le scene che vediamo, di flashback citazionista la notte delle streghe di Carpenter, eh eh, or vi pongo un bel quiz, ignoranti, pressapochisti e/o squallidi neofiti, sono di repertorio o create ex novo con tanto d’aggiunta posticcia d’un Donald Pleasence, in analessi, redivivo?

Fa la new entry, nei panni d’un ex bambino cresciuto e fin troppo pasciuto e corpulento, scampato alla strage originaria di Myers, Anthony Michael Hall e qui nessuno si salva. Forse neppure il film che, se non fosse per la mano svelta e non pochi guizzi visivamente funambolici di Green, cadrebbe a pezzi in maniera insostenibile perché, se Myers, malgrado le picconate e i colpi d’ascia che riceve a man bassa, rimane sempre in piedi, se non è morto bruciato ma s’è salvato per miracolo, la violenza stavolta abbonda in modo compiaciutamente esagerato e ingiustificato.

E il film sbanda, narrativamente sanguina e la pazienza dello spettatore dissangua, terminando con una carneficina spropositata ove la figura imbattibile e, quasi superomistica, in senso raccapricciante, di Myers assume finalmente consistenza e forma paranormale delle più disumane e allucinanti, al contempo granguignolesche e tragiche, quasi ridicole.

Le Curtis character poster Halloween Kills

di Stefano Falotico

 

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