NOSTALGIA, recensione

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Libero da vincoli editoriali e da asfissianti regole pedanti, ancor influenzato, altresì tanto raffreddato quanto ironico e scevro da ogni virus intestinale, no, ammaliante, no, sol ammalante influencer ammorbante e solamente appariscente-deficiente, quest’ultimo bravo, per modo di dire, sol ad essere lui stesso febbricitante di maieutica a buon mercato rionale o da Rione Sanità, ivi recensirò Nostalgia. Da me visionato ieri, in data primo gennaio di tal 2024, anno appena iniziato che si spera meno cagionevole, non solo di salute, bensì anche in senso metaforico, di quello appeno trascorso. Attenendoci, ivi utilizzando il plurale maiestatico, alle prime righe della trama riportataci da Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Nostalgia_(film_2022)

Dopo quarant’anni vissuti tra il Libano, il Sudafrica e l’Egitto, Felice Lasco torna nel luogo dov’è nato, il rione Sanità di Napoli, richiamato da un oscuro passato. Qui ritrova la madre ormai anziana e cieca, di cui si prende cura nelle ultime fasi della sua vita. Dopo la morte della donna, Felice confida a Raffaele, un vecchio fornitore di pelli e spasimante della madre, che da adolescente aveva un caro amico, Oreste Spasiano, che negli ultimi giorni gli ha fatto bruciare la motocicletta e intimare di andarsene. Raffaele gli rivela che Oreste, noto come ‘o’ Mal’omm, è il più pericoloso boss camorrista della Sanità, e lo invita paternamente a tornare in Egitto, dove è rimasta la moglie.

Martone, partenopeo di origine controllata, quando ambienterà un suo film, che ne so, a Bologna, mia città natia, malgrado non mi piaccia e non possegga origini felsinee? Mai. È chiaro. Così come è chiaro che, dopo una fase creativa altalenante, Martone sta cominciando a girare pellicole a tutt’andare in quanto non vuole estinguersi come il Vesuvio, bensì essere vesuviano, no, vulcanico ed eruttivo in fase “ultimi fuochi” da San Silvestro? Quante cartucce ha ancora da sparare prima di spararsi alla pari d’un gangster inchiappettato e all’ergastolo condannato a Poggioreale? No, ah ah, scherzo. Martone sa come usare i peti, no, petardi cinematografici e i suoi film sono botti di Capodanno, no, botte allo stomaco in competizione con Paolo Sorrentino, ovviamente, altro napoletano verace e amante delle vongole non solo veraci. Martone conobbe Toni Servillo, naturalmente amico e compagno fidato di Totò, no, Sorrentino, e vi lavorò per Qui rido io. È tutto un magna magna, parafrasando il Bettino Craxi di Pierfrancesco Favino in Hammamet by Gianni Amelio. Martone sa, alla stessa maniera di Filippo Scotti/Fabietto Schisa di È stata la mano di dio, che da Napoli nessune fugge veramente mai. Napoli t’imprigiona non solo in una cultura e mentalità oramai, per sempre, aderenti al substrato inconscio in te formatosi, bensì, anche quando te ne vai per molto tempo come Favino/Felice Lasco, senza di “lei” diventi infelice poiché la patria di Pulcinella t’incarcera nella sausade. Sì, quell’analogo sentimento brasiliano, agrodolce e melanconico di nostalgica voglia di ritornare e sprofondare, in ogni senso, nelle viscere delle tue irrinunciabili origini. Sceneggiato dallo stesso Martone ed Ippolita Di Majo a partire dall’omonimo romanzo di Ermanno Rea, Nostalgia è l’ennesimo film su Napoli, giustappunto, d’un regista che, anche quando girò il suo biopic su Giacomo Leopardi, nato a Recanati, intitolato Il giovane favoloso con Elio Germano, doveva andare a parare su Luisa Ranieri, no, Massimo Ranieri, no, Antonio Ranieri, celeberrimo amante dell’autore de L’infinito… Per dirla à la Peppino De Filippo, campeggiante ivi in uno storico graffito, e ho detto tutto…

Nostalgia è un bel film, non un capolavoro ma non aveva, onestamente, nessuna possibilità di entrare nella cinquina dei film candidati all’Oscar come Best Foreign Language. Perché Martone non è paraculo come Sorrentino, la sua Napoli non è ruffiana e quasi mai da cartolina malgrado le soffici e fascinose luci del direttore della fotografia Paolo Camera. Cinematographer, peraltro, di quell’Io capitano di Mario Martone, no, Matteo Garrone, che è invece, a dircela francamente, un romanaccio volpone! Ché, dopo la nomination ai Golden Globes, potrebbe perfino spuntarla agli Oscar… chiamalo coglione… Favino se la cava egregiamente ma la vera sorpresa è Tommaso Ragno. Appena poco prima, lo vedemmo ingrassato in Tre piani, mentre qua il vero De Niro italiano è lui, altro che Servillo. Per incarnare O’ Malommo adottò lo stesso metodo “Max Cady”…  È eccelso e fa ribrezzo il suo character, al contempo è affascinante da morire, è l’uomo di merda che nessuno, tutti vorrebbero essere.Francesco Di Leva Nostalgia

di Stefano Falotico

 

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