Escape to Victory, review

Escape for liberté, egalité, fraternité

 

John Huston nel suo spaccar le tempie con una deflagrazione di lancinantissimo grido.

Un dramma “intimista” anche questo, nelle vertebre scolpite di antieroi per un sogno libertario da incidere nella memoria, per non dimenticare le ingiustizie, un sofisticato colpo al Cuore di massima, istoriata virtù a mirabolante “celarlo” dietro un’avventura “per ragazzi”, forti, vibranti, intrepidi e liberi nel librato sgranchir le ossa, arcuare i muscoli e feroce dilapidare il nazismo e ogni coercizione alle anime con l’alato magic touch, leggerissimo, folgorantissimo, di un cineasta in stato di grazia.

Come dirigere un capolavoro per tutte le età, “infantile” nelle sue “grida del silenzio”, scatenato, irresistibile, abbacinante e maestoso in squarci di grande Cinema. Il Cinema cos’è se non una proiezione della condizione umana in ogni sua sfaccettatura monumentale al nostro respirare le emozioni, aspirarle con sognanti voli e anch’illusorio donarcene in salvifiche armonie?

L’impossibilità della victory per chi è nato “perdente”. “Plagiato” a ogni sciovinismo contro la fratellanza ch’è alla base antirazzista d’ogni forza gravitazionale antropocentrica.

Una storia “scarna”, ginnasta di vecchie glorie “martoriate” fra le sbarre e ancora una volta Sly Stallone, emblema rilucente del popolo ribelle, a icona decisiva.

Sarà lui a parare il rigore che vale tutta una vita, il riscatto, l’impulso distruttivo, rabbiosissimo di un ralenti “smorzato” nelle sue labbra “storte”, in posa plastica “sbilenca” a paralizzare e gelare il sangue per l’estatico tifo finale, sprigionato come tutto il marcio divelto in un attimo sospirato.
Il genio di John Huston svia apparentemente dal suo Cinema drammatico, invero è una prosecuzione già avanguardistica di magniloquenza fenomenale.

Un’altra pellicola corale, imbastita sui volti indimenticabili anche, e soprattutto, di grandi calciatori, fra cui proprio il più grande, il leggendario Pelé.

Michael Caine dirige le facce di cuoio, i “miserabili” (ogni citazione a Victor Hugo non è affatto casuale…), per un’improbabile partita “a scacchi” su un campo di calcio, verde e illuminato dalle avvolgenti prodezze dei suoi prodigi balistici.

A tramortirci di grandezza epica, basterebbe la “giravolta” di Ardiles e la sforbiciata “aeroplano”, innalzante, strepitosa, arpionante, strappa-applausi proprio di Pelé.

Il grande Cinema non ha bisogno di sofismi, oggi di moda, qui c’è vera ruggine, il resto “odierno” tanto incensato, a confronto di tale schietta, tagliente “strategia” registica, è un orpello di cui volentieri faccio a meno.

Che gli altri spendano “agghindate” parole retoriche per il Cinema di Soderbergh, mi tengo cara l’austera action di roventissima, romantica destrezza di John Huston.

John dimostra che la parola “Retorica”, appunto, non esiste quando la si doma, la si glorifica con “giocate” ingegnose di dosaggio sapiente e poderosa leggiadria.

 

(Stefano Falotico)

 

 

 

 

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