Il lavoro del doppiatore non è male, sì, farò “quello” in base alla mia voce fuori dal cor(p)o

di Stefano Falotico

Giancarlo Giannini sul set

Da anni “imponderabili”, sono condannato a una maledizione di “estrema unzione”.

Cioè, la gente pensa che io menta. Di mio, posso dirvi di possedere una discreta mente, non mento, eppur me lo reggo. Sì, quando son annoiato, quando ho quasi sonno, metto la mano sotto la parte della faccia, da culo, vicino al labbro inferiore. Semmai, stringendo fra le labbra una sigaretta. Ecco, le sigarette hanno avuto un effetto calmante sul mio diaframma, sia arrostendolo e sia enfiando questa mia voce da “de profundis” che, da un po’, rocamente “fan(t)a(s)tica”, molti sostengono sia ottima, perfino d’intonata, e mai fuori sincrono, dizione quasi perfetta, tranne talvolta alcune (in)curabili inflessioni ch’evocano le mie origini meridionali.

Sì, mai dimenticarsi delle proprie origini. Non sono molto orgoglioso della mia gente di laggiù… alcuni, indubbiamente, sono stimabili, lavoratori (inde)fessi come pochi che, piegandosi ai padroni del Mezzogiorno, son precipitati nella notte appunto più profonda, alleviata soltanto dall’allevar la prole col “mandolino” in mano morta alla moglie affamata. Sì, partorirono cinquemila figli all’“unisono” di lei straziata in un cesareo a causa di dieci gemelli alla volta su marito intanto nella “cappella” non spermatica bensì “ringraziante” ché tutti “uscissero” sani e salvi(ette). Bastava il profilattico, comunque. Quanti pian(t)i (non) regolatori dei conti, una vita non da principi, eppur respirano. Non so ancora per quanto perché il padre non può mantenerli, il piatto proprio piange e ci sarà da rivolgersi agli strozzini. Meglio che in Romagna, ove pullulano gli agriturismi di “strozzapreti”. Quelli son terribili, son pastosi, rimangon sullo stomaco con le lor abbuffanti retoriche domenicali. Indossano il saio e si salvi chi può dal non affogar in quei moralismi, da Forlì a Ravenna, tendenti al mar di mare su stomaco sbudellato da tante omelie ammorbanti che spuntan come funghi velenosi.

Di mio, non ho di questi problemi. Non mangio. Sto dimagrendo. Quindi, non ho bisogno né di soldi né di pastine. Mi troveranno presto pestatissimo da dei ragazzi tamarri bolognesi che, all’urlo mio di “Madonna impestata!”, mi pesteranno appunto, a (s)puntino, in mezzo a tempeste di pugni. Sì, si mantengono topi di fog(n)a e di forma(ggio), alcuni sono dei genovesi emigrati in zona “centro” su Asinelli. Se li cagano questi stronzi o son stitici?

Signora, a quanto viene il pesto? Ah, è sugo che costa. Meglio una semplice pastasciutta ma attenti ai carboidrati. Troppa pastasciutta rende l’uomo grasso come quello di “mortadella” e non “crudo” di fis(i)co (all’) asciutto.

Mah, di mio so che la carbonara fa un po’ ingrassare ma si digerisce più dei carbonari.

Sì, nel 2014, esistono ancora questi musoni massonici le cui ideologie son peggiori di Mussolini. Almeno, quello era un evidente fascista da evirare, questi son da evitare, si fasciano in congreghe “nere” da carbon(ar)i “ardenti” ma io preferisco la mia Befana, con tanto di cioccolatino e torrone del terrone di razz(i)a che sa la racchia tua. Una mezza calzetta, diciamocela.

Ho un naso lungo, proporzionato al “benemerito” uccello. Per le donne, è un “beniamino”, per gli uomini gelosi, è da “accorciare” perché vorrebbero fosse “dritto” come il mio, grande e grosso. E, non potendolo “prendere”, nonostante “lì” lo piglino, desiderano (s)fottermelo.

A parte le battute, miei da battone, (non) mangiando e (de)crescendo, la voce mia rimane immutabile e inimitabile.

Molti l’han paragonata a quella di Giannini, con il punto a mio favore che son più giovane, quindi sembra da “vecchio”.

Ma, miei vecchi, io so che piace ai giovani e agli anziani, e soprattutto entra “dentro” alle donne, carezzante di “urletto” se, da misurato, vado allegro vivo di “grilletto” con bri(vid)o in lei che attizza e scalda il petto florido, urlante, se mi fate incazzare di brut(t)o. Con del burro, vellutatamente va che è un piacere.

Voce che cambia registro, mutevole di (dis)sonanze.

Passa di qua e di LA, con tanto di “DO” alle donne in SOL LE(i) MI FA goder’ talvolta spomp(in)ante tra un Ferruccio Amendola e un Massimo Corvo in quanto gracchiante tra una pausa e un caffè bollente su orgasmo al dente di capezzoli prominenti.

Voce da tenore su contralto di “basso” quando emulo i gerghi romaneschi delle periferie (ba)lorde, squillante di tromba se me le inculo, sfottente di ritmo saltellante su accento un po’ del cazzo ma ci sta. Per niente.

È una bella voce, va detta.

Il resto mio fa schifo?

Farai schifo tu e beccati questo ca(ta)rro!

Ah, più che doppiare, era meglio doparmi. Eh sì, il doping.

Sì, è più fatica leggere un testo da doppiatore che correre nella fi(ac)ca da trombone.

 

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