“Sleepers”, Review a non dormirci

Sogni bramati, membra sbranate, innocenza risorta, Dio (non) è morto?

Anomala questa trasposizione del “classico” Barry Levinson. Mira in alto, punta agli Oscar ma riceve una freddissima accoglienza ad apertura di Venezia.
Gli s’imputa un cast mal assortito, troppo eterogeneo nella frammentazione del racconto singhiozzante. Un racconto sfumato nell’orrore a occhi aperti, singulti visivi di tunnel bui, laceranti, uno strazio che patiamo “fuori scena”, nell’immaginazione più potente dell’avido mostrare.
Inghiottiti da paure recondite del mostro “uomo” nella sua bestia che divora carne, vite che amputa e di cui si nutre a smorzar per sempre il battito alato.

Dall’omonimo romanzo “vero” di Lorenzo Carcaterra, la romanzata ma non tanto avventura nelle tenebre di quattro boys “gaglioffi” di Hell’s Kitchen, ritratti al cardiopalma nascituro d’adolescenze (im)pure.
Sobri tuffi nell’Hudson a schizzi di luce diafana nel poi squillante Michael Ballhaus. Architetto d’immagini “goodfellas”. Livido il maestro dell’Arte fotografica intaglia di colori smorti un’ectoplasmatica discesa proprio nell’Inferno, macchiato dalla forca abominevole dell’imprudenza.
Un letal scherzetto, e il carretto si trasforma in arma non convenzionale, a recisione devastante di vite spezzate.
Chiuse in un riformatorio d’allucinato incubo, asserragliati nel dolore racchiuso nei freddi propri fantasmi, riscoccheranno fulminanti di vendetta alla Montecristo.
Dopo la detenzione punitiva, usciti dalla “prigione” della pedofila “educazione”, un lampo e precipitiamo nell’odierno brusio dell’ancor ronzante mai dimenticare.

Così, amici ancora stretti, due di loro entrano “borchiati” in una bruciata tavola calda. E il caso fatale appare “propizio” per l’omicidio all’aguzzino più crudele. Una pallottola, due, tre, infilate a raffica lapidaria. Quel Cuore sofferente nell’impeto alla sacrilega lor esistenza deturpata, di “uguale crimine” a imputazione.

Il film procede lungo i binari “noiosi” di un’“inchiesta” giudiziaria, ubriaca fra maldestre grossolanità di regia e un “gobbo” Dustin Hoffman, avvocaticchio della mortalissima disputa.
Sorretto dal carisma cameo di Vittorio Gassman, un Brad Pitt sgombro della sua aria da belloccio, marmoreo di mascelle contratte, rabbiose e non dome, da un Jason Patric angelico e Satana di nera “vacuità” oculare, istintivo, freddo “sicario” della sua Croce.

Un Robert De Niro santificante, prete carezzevole nella polvere di gioventù non più. Per un giudizio biblico inappellabile di stesso “trucchetto”. Impietrito e addolorato, salvifico. Forse.

Il film inciampa, si tortura da solo, morde, fugge in notti solitarie, impervio s’ingegna alla perfezione etica ma barcolla nell’incertezze d’una impalcatura ideologica troppo forte per non franare, talvolta, nel controverso indigesto e nelle forzature didascaliche.
Ma, a passo di tal vacillar tanto lacrimoso, colpisce e preme nell’incognita che non può assopirsi in facile, sbrigativa assoluzione.

Sleeper di suo riemergerci per il dubbio… 

 

(Stefano Falotico)

 

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