Esser matti è l’equazione della s(ol)uzione

01718915Mondo di sconfinata idiozia che vacilla sempre nella sua finta rettitudine (im)morale e che (s)colpisce i suoi figli più lucidi ammansendoli dietro la coscienza borghese di un falso manicheismo di massa ove, (im)perfetti, bisogna “allattarsi” alla comune “convivenza” che non vive, perché tacita cela i suoi ignominiosi crimini dietro la solita faccia(ta), patina di dolcificanti “aromatici” e frasi d’amore (s)contate per quegl’illusi che credono davvero alle amorevolezze e alle svenevolezze di questo gran panettone di dolciumi indigesti per me. Molti, in epoche (non) sospette, denigrando le mie scelte di vita, arbitrariamente abusarono della mia buona fede, tutt’ora incrollabile, e addussero che le mie non eran saggezze ma ingenuità. Esperii molti patimenti e ancor oggi mi rattristo nel rimembrarli. Mi adonto e, per rammarico, rannicchiandomi in pensieri succhianti il mio midollo spinale, le vertebre della mia pacatezza smossa così violentemente, mi adombro, continuando a vivere la mia vi(t)a che preferisce i “matti” ai “sani”, i santi ai peccatori delle apparenze “intoccabili”, guastando di bri(vid)o il mio (sor)riso nel celebrare l’illusorietà di tutto e le sue sconce amenità, recluso nella mia scelta incompresa e solitaria che, mesta, rigetta gran parte del (non) vivere a “erezione masturbatoria” delle mie “malasanità” cervellotiche, ove la vita si (dis)fa di momentanee, anche per me, precarietà e romantiche fantasticherie che, senza il voler didatticamente voler insegnar nulla, ed è perciò che rinnego la patente di maestro, si “crocifiggono” martirizzanti nel sincero calvario perfino edonistico del vivere nei bui (in)sondabili delle mie alterità, delle guascone mie ilarità, dei miei attimi che il tempo mio rammemorerà sinché morto non sarò, non l’eternità saprò in quell’ascensione che, come per il Cristo, per me rappresenta la metafisica più al(a)ta per sanarsi e rigenerarsi altrove, là, in una pace “infantilistica”, “elefantiaca” di sospensione del tem(p)o, di omeostasi che, cristiano-buddistica, vomiterà sempre la carne mentecatta e la frivolezza a valore del me più ambiguo e dunque profonda-mente umano, unico nel suo genere, in quella che gli stolti apostrofano, con far ridanciano e blandente, come mia degenerazione. Da tutte le generazioni, coi lor mot(t)i e morti “vincenti”, io ne son (re)moto.

di Stefano Falotico

 

 

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