Racconti di Cinema – Il signore del male di John Carpenter

Il signore del male

Ecco che, a cavallo di Grosso guaio a Chinatown, altra sua vetta indiscutibile, ma che all’epoca fu incomprensibilmente respinta dai suoi fan, film che non capirono subito e lo scambiarono soltanto per una divertente spielbergata, Carpenter ancora una volta spiazza tutti e si reinventa, girando Il signore del malePrince of Darkness.

Opera capitale e primaria.

Con un budget risicato, ridotto all’osso, soltanto tre milioni di dollari, ma idee a profusione da vendere, e nessun attore di grido nel cast.

Questo film è annoverato dai suoi cultori come facente parte della sua Trilogia dell’Apocalisse, che comprende il precedente La cosa Il seme della follia. Anche se ciò serve più che altro ai dizionaristi per categorizzarlo, poiché le opere di Carpenter non sono ascrivibili a nessun tipo di classificazione netta e generica. L’intera sua filmografia è per certi versi apocalittica, premonitrice di un futuro sull’orlo del collasso e del disfacimento, ogni suo singolo lungometraggio potrebbe essere annesso a questo fantomatico filone e, per la vastità di temi che Carpenter tocca e per l’universalità dei suoi complessi e stratificati messaggi, ogni suo film è un epigrafico e al contempo sterminato monito riguardo al futuro disastroso che potrebbe attendere l’umanità se non si atterrà a principi di moralità inalienabili.

Corre l’anno 1987 e Carpenter filma quest’horror metafisico di portata immensa. Sceneggiandolo sotto lo pseudonimo di Martin Quatermass, e al solito musicandolo in collaborazione col suo fido Alan Howarth. E il direttore della fotografia, Gary B. Kibbe, che compie uno strabiliante, quasi impalpabile e magicamente avvolgente lavoro, seducendoci d’ipnotismo visivo, tanto che con le sue luci soffuse e sporche ci magnetizza in stato di stregata trance come i barboni-zombi di questa pellicola, è la prima volta che si affilia, potremmo dire, a Carpenter. Dopo lavorerà quasi sempre con lui.

Siamo a Los Angeles negli anni ottanta. E i primi venti minuti sono sensazionali.

Veniamo immersi in tale cupa, segreta atmosfera di morte imminente, come se una sciagurata catastrofe potesse avvenire da un momento all’altro.

Un prete (un grande Donald Pleasence) si aggira nei sotterranei di una chiesa abbandonata e nel frattempo seguiamo, in parallelo, le lezioni universitarie del professor Howard Birack (Victor Wong), esperto di fisica e di anti-materia che tiene ai suoi allievi.

Angoscia e tetraggine incalzano a dismisura, mentre un’eclissi albeggia inquietante nel firmamento, congiunzione e combaciamento quasi carnale e materico del Sole, stella madre primordiale che dà la vita e forgia le creature terrestri nel gaudio e nella luce infinita, e della Luna, che per Carpenter è il simbolo dell’isterilimento e della putrefazione, un accoppiamento metafisicamente coitale. Speculare compenetrazione mesmerica e ontologica abissale.

Il prete invita il professore e i suoi studenti nella sua chiesa, al fine che investighino su una misteriosa teca di cristallo contenente da settemila anni un liquido verde in perpetuo, imperterrito movimento, cioè la liquefazione essente del Male, dell’Anticristo, dell’Anti-Dio o addirittura di Dio stesso, perché forse il Maligno, Satana, e nostro Signore sono le facce di una stessa medaglia.

Gli studenti, tramite sofisticate apparecchiature, ricevono trascritti sui loro computer i criptici messaggi che il liquido invia loro. E cercano di decifrarli.

Allora, stupefatti e increduli comprendono che Satana è Dio e Dio è Satana, probabilmente questa è la verità inaudita che la teologia cristiana ha tenuto sempre nascosta, sepolta sotto l’inganno che fossero invece due realtà antitetiche e in marcata contrapposizione. Una rivelazione spaventosa.

Nel frattempo dei mendicanti in stato catatonico si aggirano all’esterno della chiesa e avvengono brutali omicidi.

Il liquido fuoriesce dal cilindro e a uno a uno comincia a contagiare gli studenti. Il Male si sta propagando e incarnando attraverso le lor sembianze. I ragazzi, quando si addormentano, fanno tutti lo stesso sogno, che altri non è che una trasmissione di origine non identificata, forse di natura aliena, che proviene dal futuro, dall’anno 1999, ed è inconsciamente comunicata loro nella fase REM. Diffusa subdolamente al loro inconscio perché possano cambiare il corso degli eventi. I superstiti sono sempre meno e, addirittura, una di loro, Kelly (Susan Blanchard), viene posseduta totalmente dal liquido e subisce una mostruosa trasformazione, una possessione demoniaca raccapricciante, il suo corpo marcisce, sì, si putrefà come stigmatizzato da escoriazioni e ustioni profondissime, lei muta e si risveglia dal sonno in cui era caduta, i superstiti provano ad abbatterla, la smembrano e decapitano, ma lei non muore e il suo corpo si rigenera, le ricresce il braccio e raccoglie la sua testa dal pavimento, riattaccandola al collo. Quindi, si reca in prossimità di un grosso specchio, portale ultra-dimensionale. V’inserisce la sua mano dentro, stringe e afferra quella di suo padre, la Bestia o forse Dio, per portarlo nel nostro mondo, affinché il Male possa regnare sovrano e incontrastato.

Ma a quel punto, una delle ragazze, Catherine (la compianta Lisa Blount), si lancia contro l’indemoniata Kelly e la trascina con sé nella dimensione infernale, da cui non c’è via di ritorno. Catherine è morta o forse è stata per sempre intrappolata nell’altrove oscuro. Il prete sferra un’ascia contro lo specchio e distrugge, annienta il tremendo incantesimo. L’incubo è finito, o forse no. Il giorno dopo, uno degli studenti, Brian (Jameson Parker), che, contraccambiato, si era innamorato di Catherine, rifà lo stesso sogno ma, anziché vedere quello strano figuro vestito di nero che era apparso a tutti, al posto suo intravede Catherine. Si ridesta e per un attimo sobbalza terrificato perché scorge Catherine, satanicamente, accanto a lui nel suo letto. In verità sta ancora dormendo, poi il sogno finisce definitivamente. Si alza dal letto e si avvicina allo specchio della sua camera, prova a toccarlo ma, prima che lo tocchi, il film finisce. Lasciandoci nel dubbio più atroce.

Capolavoro. Horror purissimo, contaminazione pazzesca di generi, che occhieggia a Romero con echi lovecraftiani (e infatti il cognome del personaggio di Lisa Blount è Danforth, come uno dei protagonisti di Alle montagne della follia di H.P. Lovecraft), miscela ardita e sperimentale, avanguardistica, indistricabilmente geniale.

Molti hanno accusato il film di essere troppo verboso, hanno detto che è lento e gratuitamente truculento nel finale, e che gli attori sono pedestri e mal diretti. Tutto ignobilmente falso, questa è invece assolutamente una delle opere maestre e capitali di Carpenter. E anche il cameo di Alice Cooper, cantante heavy metal che firma il theme principale, Prince of Darkness, da cui il titolo originale della pellicola, ci sta da Dio. Apparizione diabolica.

Siamo nell’ermetica tenebra della più alta magnificenza.

Nel territorio portentoso dell’ignoto più accattivante e magistrale.

 

di Stefano Falotico

 

 

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