The Punisher 2, Review: FIRST EPISODES

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Come sapete, dallo scorso 18 Gennaio, su Netflix è disponibile la seconda stagione di tredici episodi di Marvel’s The Punisher, interpretata da Jon Bernthal.

In attesa di finirla, intanto recensiamo per voi i primi cinque episodi, tanto per non rovinarvi la sorpresa della visione completa e non sciuparvi, con troppi, superflui spoiler questa serie che sta spopolando. Aggiungiamo noi, a ragion veduta.

Una volta che tutti noi l’avremo terminata, ci piacerebbe sapere che ne pensate. Ma ce lo rivelerete semmai soltanto alla fine quando, dopo che noi tutti l’avremo snocciolata e metabolizzata con estrema pacatezza, dopo meditate e ponderate riflessioni, disaminandola in ogni suo lento e turbolento procedere, sviscerandola coscienziosamente con puntiglio critico e senza sbadata frettolosità recensoria, potremo emetterne un giudizio il più possibile giusto e dovizioso.

Ebbene, siam subito immersi a rotta di collo e in medias res, senza troppi panegirici e spiegazioni superflue, nel bel mezzo dell’azione, dinamica e dinamitarda dell’episodio 1, Il blues della Roadhouse. Frank Castle (Jon Bernthal), il cui nomignolo all’anagrafe, come sappiamo, è Castiglione, spara all’impazzata dal finestrino d’un furgoncino su un manipolo di manigoldi. Affiancato da una giovane ragazza misteriosa che poi scopriremo essere una delle sue compagne di viaggio di questa nuova, intrepida, funambolica avventura, la sbandata ma scafata sedicenne Amy Bendix (Giorgia Whigham). Dunque, veniamo riportati, subito dopo i titoli di testa, all’antefatto da cui è scaturita questa situazione ingarbugliata e pericolosa. Fra incontri romantici del nostro The Punisher, un duro dal cuore tenero e nonostante tutto idealista, e altre scazzottate iper-violente nel bagno di un bar malfamato, frequentato da avventori un po’ matti e forse più fuori di testa del nostro infrangibile e indomabile beniamino.

Quindi, veniamo a conoscenza della new entry di questa seconda stagione, ovvero del “character” chiamato Pilgrim. Un oscuro, ambiguo sacerdote dai modi ieratici quanto invero poco preteschi incarnato con perfetta bravura da un eccezionale Josh Stewart. Un uomo che, a quanto pare, ha parecchi conti in sospeso nei riguardi del nostro Punitore e, dopo che quest’ultimo ha fatto sparire di sé ogni traccia, è alla sua ricerca per dargli un’infinita caccia spietata.

Al che, siamo catapultati nella stanza d’ospedale ove troviamo convalescente Billy Russo (Ben Barnes). Il quale, dopo essere stato massacrato da Castle alla fine della prima stagione, dopo essersi svegliato miracolosamente dal coma, è terribilmente traumatizzato e ovviamente deturpato in viso. E sta cercando disperatamente di far chiarezza su quanto occorsogli poiché non ricorda quasi nulla del pestaggio perpetratogli da Castle, sostenendo sedute psichiatriche con una pia curatrice delle anime afflitte, la dottoressa Krista Dumont (Floriana Lima). Nonostante numerose sedute indagatrici nei recessi del suo cuore tormentato per eviscerare il dolore della sua coscienza maciullata, perduta negli anfratti di una memoria spezzata e di un’identità sfigurata, Russo si ribella al trattamento psicanalitico e furiosamente evade dalla struttura, fuggendo fra lo spaurito e l’allucinato lungo i dedali cittadini della grande metropoli di New York.

Madani (Amber Rose Revah) sa benissimo che Russo, malgrado l’indicibile sofferenza infertagli da Castle, rimane sempre un inguaribile criminale ignominioso, il nemico pubblico numero uno da sorvegliare costantemente. Adesso, a piede libero, è per di più una mina vagante su cui non si può transigere, da incarcerare prima che, riacquisite le sue piene facoltà psicofisiche, possa nuovamente commettere atri esecrabili atti criminosi. Ed è perciò intenzionata, costi quel che costi, a fermarlo per impedirgli altre madornali, irreversibili scelleratezze.

In questi primi cinque episodi la violenza abbonda a iosa. E sarebbe insostenibile, perfino disturbante, se l’etica figurativa che sta alla base di questa serie non fosse stilizzata e fumettistica.

Ma, a differenza della prima stagione, The Punisher 2 si concede molte scene in cui l’autoironia la fa da padrona. Molti dialoghi sono infatti leggiadramente radenti e spiritosi, aggiornati gergalmente al linguaggio giovanile odierno. Veloci, secchi, profondamente cinici quanto schietti e spudoratamente briosi come se si fosse voluta ammantare questa seconda stagione d’un plus di leggerezza goliardica e sdrammatizzante che invece, a parte in alcuni sketch, mancava alla prima. Più seriosa, forse maggiormente compatta e non puntellata di tante parentesi digressive ma incentrata quasi esclusivamente su un intreccio tanto decisamente più sbrigativo e, appunto, coeso, quanto forse più prevedibilmente lineare e poco sfaccettato.

Se la prima stagione ci aveva entusiasmato, sin a questo momento The Punisher 2 sta ripagando ampiamente le nostre aspettative.

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di Stefano Falotico

 

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