“Seven”, recensione

Invidia, “frutto” di un’arma a doppio taglio, pungente e “briosa”, così come va l’orda del mostro, che nessun “acciuffa” nel suo ambiguo jeu de massacre

“Parentesi” poetica a mio stile distinto.

Amo adornar la mia Bellezza infrangibile, che nessun infante mai più schernirà all’odio a(ltale)nelante d’“inveirla” d’irritante irriverenza, miei “brillanti” furfanti, tanto vivi da percepirvi invero malati congenitamente di vanesia quanto vanissima sonnolenza.
Io, proiezione olografica d’ogni organo sensoriale dei più acuti. Redentore a salvar il gregge “morigerato” e perbenista da tal suo sfaldarsi a ricerche vacue per stupide esistenze già scomparse. Afferratele sinché fiato vivace avrete, miei coraggiosi, non scoraggiatevi, scorrerà dentro il vostro sangue… ma il mio profetico monito rimane, (t)remante, sempre più affievolito da tanto “cortese” disfarvene con disprezzo e pusillanimità, persi e quindi deperiti ad agghindarvi futili per acconciar solo s-nodi raccapriccianti e de­leterie “doppie punte” strozzanti, opalescenti e “morigerate” sulla pacatezza frivola, da indurmi al voltastomaco. Sì, rigetto d’energia, nauseato e strenuo battagliero nella mia strada d’asfaltare or dopo oro mio “lagrimante” argento coriaceo ad armatura principesca, le vostre smaltite oramai castranti vanaglorie.
Statua irredenta quindi ch’elevo a mio destino indelebile ché, ove voi ingrigiti sbiadite, io porgo uno “sbadiglio” a offrirvi “esecrabili” mie camaleontiche “buffonerie”. Scivolo “matto” ma innocuo in un altro delirio “strambo”, arcuo il sorriso a trentadue denti nella decadenza più “bonaria” da maledetto bohèmienne e, implorando che a me vi prostriate nel giubilo osannante, svergino le paure che v’attanagliano, addentando il cibandomi dei sins macchianti del frattanto, fratturante tant’assopito ammorbarvi dietro rivalità perfide e perpetui, peccaminosi, capitali abomini di come sperperate, voi ominidi, la vita e il Tempo, ammantando il cuor già (il)leso al cospargerlo, non a mio decoroso cospetto che vi spettina, delle “creme protettive” dai rancori più vigliacchi, (s)fregiandovi in serpenteschi moti “ludici” d’effimera davvero illusorietà. E non gustate l’essere e neppur quel vostro “furbo” piangervi in superficiali malesseri. Evanescenti siete estinti sin da quando foste partoriti dentro un infernale corrodervi del ridacchiar al prossimo la vostra indubbia, obbrobriosa meschinità.
Oh oh, ah ah! Sono io colui ch’è non ha “urgenza”, mie diligenze diligenti e cara dirigenza della coscienza, d’ungermi a quel da cui mungete ché attingerò al Cielo nell’incunearmi di bagliori scevri da “bavagli”.

Se7en…

Un certo John Doe è proprio cattivo, la nemesi della cattiveria sol cinefila di Joe Dante. Doe è carnivoro, canino e crudo. Semina il terrore in città. Spettrale come un girone dantesco, come il “cerchio” vizioso di tal maniaco “scrupoloso”.
Un serial killer anomalo, che scopriremo aver “agito” per un purissimo, rabbrividente desiderio intimo d’onnipotenza.
Esemplare più unico che raro di psicopatico amante della propria follia. La venera ed è proprio venereo ad ammal(i)arsi.
La riconosce, ne va “fiero”, e scanna le sue vittime secondo una modalità appunto da “Dio”.
Prende di mira i “bersagli facili”, cioè le vittime innocenti…, per il silence of the lambs del suo tremendo “disegno”. Oggi è il “turno” di un grassone, “colpevole” d’esser troppo goloso, domani della prostituta, “simbolo” della lussuria, più avanti d’una modella per simile “reato”, la superbia dell’essere “insopportabilmente” figa.
Come di “genere”, il caso di costui, che incenerisce le vi(t)e, viene affidato all’ingegno di una “strana” coppia. Spolverini duri, non tanto impermeabili a ripulire la sporcizia di queste scie nel sanguinario permeante.
Un nero detective disilluso e cinico, Freeman splendente d’anima umana, e il giovanissimo, “cazzuto”, beato e bellissimo nostro… Pitt.
John Doe viene “incastrato”. Anzi, si fa beccare. Qualcosa non torna.
Ma questo è fuori di testa, pensa la polizia. Così, prima di spedirlo alla sedia elettrica, “asseconda” il suo ultimo…
John ci è o ci fa? Mah… bisogna sempre “rispettare” le volontà dei pazzi. Per riderci su.
Tanto è pazzo. Dai, Doe, cosa vuoi come ultimo “regalino”, bimbino cattivello?
Si accontenta di po(r)co… sostiene che sta aspettando proprio un “pacchetto” da scartare nel mezzo d’un incrocio desertico. Bene, lo legano, e conducono il nostro “erede” di Hannibal Lecter nel luogo del…?
Delitto atroce. 
Cosa succede? Morgan apre il “plico” e sta scoppiando a piangere. “Confezionata” di cranio la testa, fuori “onda”, diretta d’infarto a thriller cardiopalma in “tic tac” esplosivo per imminente, irreparabile tragedia, il visino “angelico” della moglie del Pitt. La nostra carina biondina Gwyneth…
John era semplicemente invidioso della vita di Pitt. Come si suol dire? Ti credi Brad Pitt?
A quel punto, irreversibile, scatta l’ira.
David Bowie magnificamente “benedice” il nostro Mondo degli orrori.

“Buona” visione.

Rileggendo tutto, capirete la mia “inutile” introduzione…

My heart is never broken
my patience never tried
I got seven days to live my life
or seven ways to die
Seven days to live my life
or seven ways to die

Ernest Hemingway una volta ha scritto che il Mondo è un posto meraviglioso e vale la pena combattere per esso.

Morgan Freeman mi smentisce in merito a una delle due affermazioni. Io, invece, nego la prima e combatto per me.

Condividete? No? Chi se ne frega di Facebook. Assegno un “Mi piace” da solo.

Comunque, sono un “burlone”. La canzone di Bowie non è “Seven” ma “The Hearts Filthy Lesson”.
Eh eh… io rimango Outside(r).

Adesso, di mio, va(do) di moda così.

(Stefano Falotico)

 

Lascia un commento

credit