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Simon Silver torna “ammantato” dopo trent’anni, De Niro “tornò” tonitruantissimo e roboante dopo circa due decadi

Da noi, è uscito ieri, a un mese esatto dall’8 Dicembre, l’Immacolata…, il “mistero” della “fede” (anti)religiosa…

Ma facciamo un passo indietro, anzi avanti.

L’ultimo, vero capolavoro di John Frankenheimer nell’ottica inquadrata della voce “cutanea”, (im)permeabile e “di pelle” falotica…

Sì, Stefano Falotico recensisce Ronin, perla(ceo), gemma e pietra di paragone per ogni malinconico thrillerpolar(e), un film anzi “intagliato”, nella morbida andatura recitativa di De Niro, col suo basco d’Incipit sfumato in un bistrot parigino, di Torre Eiffel svettante nella Notte che adocchia, occhi(olini) nel caffè francese, di baci “omonimi” a Natasha, d’inseguimenti scorazzanti e corazzati, di carrozzerie BMW, di fucili, mitragliatrice e pistole, di triade, forse di Hong Kong, forse intonate all’ultimo giro di boa e “boreale”, quando la Luce stinge nelle rugose membra, tenuissima le cela, il gelo gracchiante rannicchiato, i baci mai dati, mai amandosi perché (dis)occupate da “piccoli” lavori “fangosi”, James Bond senza il loro agente segreto perché “mercenari“, al soldo della solitudine, forse, o dei soli dall’alba mai davvero desta, (all’)erta nella Luna, “aleatorie” battute per stemperare la tensione, i nervi appunto tesi, la “neve” dell’anima, per inebriarsi nel manto di chi è temprato nel tenero e poi è tenebroso.

Jean Reno mai così poco smorfioso, di marmo, che però ammicca, aiuta, salva, sostiene, appoggia, combatte assieme anche se schierato sul “fronte” opposto, chi spia di PC in “trincea”, chi balla nei palazzetti di ghiaccio, Andrea Bocelli sulle curve, “osservate” dai binocoli “pinocchieschi”, della statuaria, bianca Venere di nome Katarina Witt, campionessa di pattinaggio, di queste sere(nate) da “diavolacci” all’adiaccio, laconici addii, l’agone della tristezza, o della Bellezza.

 

Firmato il Genius…

 

Fine di una Storia (?)

La carriera di Bob De Niro parte proprio dalla Francia, nei migliori auspici (non) americani di Tre camere a Manhattan.

Quindi, più “malinconico” di così di muore.

Da lì, il passo è brevissimo, collaborazioni a carburare, anche d’”esplosivi” con De Palma che lo presenterà a Scorsese, per una parte da Johnny Boy, “secondaria”, a dilatarsi nel pupillo delle “pupille” di Travis Bickleborderline & Re per una notteMax Cady o bravo ragazzo.

                                                                                                                                       

Icona del Cinema “violento” agli indigesti delle stolte romanticherie spicciolissime. Di film non da “spalluccia”, dico a voi stronzetti, sì, senza palle e alla spicciolata. Dai, spicciatevi ad ammirare la grande “roba”, drogati di stronzate malsane.

Due clamorosi capodopera, Heat e Casinò. Poi, ruoli “minori” ma che lasciano il segno, parlo di Cop Land e Jackie Brown. E la vetta suprema, ancor non eguagliata di Bob, da quasi un ventennio a questa “parte”, appunto, in Ronin. Già. Il suo personaggio si chiama Sam. Il cognome non c’è. Forse anche il nome è un “depistaggio”, un code name, un codice da man. D’amianto, di pianti, “mite”, un poì eremita, la calamita dell’azione, il fulcro, il perno, il “pericolo”. L’”allarme”. Le iridi “nere” che s’”arrossiscon” nel sangue.

   

Quindi, una “caduta libera” nella sparizione, nell’abisso “autoparodistico”, del Paul Vitti con leterapie da “boss”, con lo stress, il WASP della saga, del franchise (no, qua se magna solo-soldi-soldi-soldi-tanti soldi da pascià, di “alimenti”, evviva la “Spagna!”), delle “avventure” alla Ti presento i miei. Con tutti gli “episodi” a venire, dei figliocci che verranno, dei tuoi “gioielli di famiglia”, dei “nostri”.

Epigoni, l’epilogo del viale del tramonto definitivo?

     Quindi, addirittura le alci e gli scoiattoli, un buttarsi via da “calci in culo”, da un grande attore che “sgattaiola” di recitazione “cagna”.

Eppure, il Bob non si ferma un secondo. Apre il Tribeca, elegge Obama a suon di conferenze stampa, stappa con Lui quando (ri)vince, azzecca qualcosina, “quaglia” diciamo…

E ques’anno si presenta con una lista impressionante di film da vedere, imperdibili.

Fra tutti, questo “strano oggetto misterioso”, Red Lights. Dovevo andarlo a vedere un’ora fa, ma il cinema da me “prescelto” è momentaneamente chiuso per “manifestazioni” che han “abusivamente” preso d’assedio il parcheggio. Quindi, dovevo “metter” la macchina a 3 chilometri di distanza. Si fotta(no)!

C’è tempo per guardarlo.

Ecco poi tutta la lista… (im)parziale.

 

   

Tutti presentabilissimi questa volta, d’ottime credenziali di registi non proprio cazzoni.

E, vedi un po’, potrebbe anche vincere l’Oscar per L’orlo argenteo delle nuvole.

Ah, che stagione fertile del nostro amore per il Bob.

Spariamoci questo “trip”.

Spadaccini, adoriamo la sua “scimitarra”.

“Schitarriamo”. E dire che, nelle ultime pellicole, mancò solo che “scatarrasse” e avevamo completato la “cataratta” di filmacci da “rutto” con il “Nun se pò vede’!”

Tanto che in molti, più amanti delle moto, gridarono: “Bob, hai rotto! Prima eri rombante, proprio un combattente, adesso come tutti sei stato trombato! Oh, sei pure tu un vecchietto! Fuori dalle balle, i giovani ballano! Sei solo un ripetente del carisma che fu. Furbone!”.

E invece no. Il Bob, quando meno te l’aspetti, è di nuovo a spettinarti e a “imbambolarti” d’ammirazione sfrenata.

Sfodererà, però di “vizietto” a cascarci, la mega-cazzatona cosmica che lascia scioccati, Grudge Match.

La storia di “Rocky Balboa” e “Jake La Motta” che se le daran di santa ragione.

Ragione? Forse…

Questo è De Niro! “Ascoltatelo!”:

   Tagli crepuscolari con l’accetta

Sceneggiato da David Mamet, forse l’ultimo capolavoro di John Frankenheimer.
Con un cast stellare su malinconie d'”inseguimenti” accecanti nel “mozzafiato” senz’attimi di tregua, col Cuore in gola e la pellaccia da salvare. Costi quel che costi (lucro, missione mercenaria assoldata al “sorpassato” ma morale codice del samurai), “scavato” nei volti antichi d’uomini rocciosi e rabbiosi, amaramente “dolci” proprio nell'”acquiescenza” liquidissima d'”aforismi” dissacranti buttati lì, forse per noia, per troppe “coscienze”, per disillusioni insopprimibili come le ruvide, intagliate pietre d’asfalti imbruniti nella polvere, da spari soprattutto, e di mitragliatrici “sguinzagliate” a detonar “repentine” ma “calibrate”, come rapacissimi segugi notturni d’una Parigi “offuscata” nel sonno del dormiente caos cittadino di mattine ombrose dalla “tranquilla monotonia” borghese, mercatini e cascine intrecciate alla “topografia” del casino della nostra esistenza, ripresa dall’alto, dunque nelle sue viscere più incandescenti e “malavitose”, spiata e indagata con sottigliezza d'”irrimediabile” mestizia però vigorosa, morsa e “corsa” dentro le viuzze e i (rag)giri furbi, tortuosi, doppiogiochisti delle palpebre. Vedono, sanno, sudano, non dicono, esangui combattono.

Tutti soli e senza Dio, senza Sole forse. Agiscono perlopiù di Notte, già. Quando tutto, “tramontando”, s’accheta per istanti che aspettano solo la guerriglia urbana di chi fa lo “sporco lavoro” stipendiato per rischi “rampanti” e segretezze “annodate” sotto la patina (im)percettibile d’occhi “sinceri”.
O serpenteschi?

Un parterre di “agenti speciali”, una valigetta misteriosa…

Hitchcock coniò il termine, dunque l'”inizio” di tutta l’enfasi, il cosiddetto MacGuffin, pretesto narrativo e dunque “tramico” per imbastire l’azione nel suo punto “nevralgico” o solo a distrarci da e con un obiettivo capzioso, d’una pista che “falsifica” le vicende, è all’origine nascosta del complotto e dei destini, è lo “sfondo” fittizio d’una fitta rete di trame e inganni. Di amici, nemici, donne fatali e traditrici, di compagni bugiardi che (non) scopriranno le carte troppo presto.

Se… ironizziamo un po’, al televisivo MacGyver “bastava” un coltellino per cavarsi dagli impacci, sopravvivendo d’ingegno “ingenuissimo”.
Frankenheimer viene da una Scuola “un po’” più realista e allestisce proprio un’intelaiatura che, di primo impatto, si coglie adrenalica e “thrillerante“, ma che ha le sue ragioni proprio in un polar più “freddo” dei gialli di Alfred.

Ne perdiamo le tracce sullo sfondo della Torre Eiffel che occhieggia birichina, sulle innumerevoli battute da tenere a memoria, di cui perderemo il conto…
Anche quando un “triste” Jean Reno stringerà la mano a De Niro, dopo una tesissima avventura in cui, forse, sono ancora “vivi”, ancora sconosciuti d’identità (mai) con-fidate.

Ti rendi conto che esiste qualcosa oltre a te stesso che tu hai bisogno di servire?

Sono tutti amici finché non arriva il conto da pagare.

 

 

 

“Grudge Match”, rancori mai assopiti

Non so se sia “pertinente” inaugurare con un film che tutte le carte (non) in regola per “elevarsi” a “stra(s)cult“.

Ma così è, così va oggi.

Scontro “a perdifiato”, vista l’età senile avanzata, fra un peso massimo e uno medio. Campioni a modo loro della recitazione. Lo “stile” secco che non bada a fronzoli di Stallone, labbro pendulo, e quello più sofisticato di Bob De Niro, oggi “ripiegato” a piegar gli angoli della bocca per cavarsela, con “mestiere”, dagli impacci.
E spiaccicarsi in un’Arte che c’era…

Ma tant’è, discutiamo, argomentiamo, non mentiremo, dissertiamo di tal “megastronzatona” prossima e (av)ventura. Ne calcoleremo i meriti alla sua uscita, prevista per il 2014.

Due ex pugili, giunti all’età appunto della pensione, hanno “a cuore” ancora uno scopo. Fottersi di pugni, perché a uno dei due non va giù esser stato messo al tappeto.

Memori, autobiograficamente, di Rocky Balboa e di Jake LaMotta, una commedia agrodolce-“melodrammatica” da “groppo in gola”.
Attendiamo “febbricitanti”, sapendo che della “partita” farà parte, anzi sparring partner, la bionda Kim Basinger.

Sotto l’egida della Warner Bros, per la regia di Peter Segal, ecco la prima storyline: a pair of aging boxing rivals are coaxed out of retirement to fight one final bout.

 

 

 

“Moonrise Kingdom”, recensione di Davide Stanzione

 

   L’ottavo film di Wes Anderson, presentato nei giorni scorsi in anteprima a Lucca e già film d’apertura dello scorso festival di Cannes, è un ulteriore tassello di un quadro d’autore che riscopriamo ogni volta sempre dolente e sempre originale, che non può non trovare la sua ragion d’essere nell’ostinata ma mai estenuata ripetizione di se stesso, di una maniera che non è mai calco pittorico, di un’estetica peculiare perfettamente riconoscibile ma che difficilmente riesce a stancare o a risultare addirittura satura. A prescindere che flirti col road movie o con la saga familiare, con la screanzata avventura acquatica o con la dolcissima ritrattistica di un goffo e dolce bestiario umano, l’incanto di Wes è sempre lo stesso, un sentiero periferico in cui perdersi ogni volta in modi uguali e diversi.

È la lieve commistione dei toni, il dramma di una malinconia in controluce che si congiunge con la comicità impacciata e involontaria di personaggi amabili: come il trucco sbavato di una tredicenne, come il costume da corvo un po’ fuori posto a una recita scolastica di una ragazzina che sta palesemente sbocciando come donna e che vediamo costretta in ambiti che ci appaiono un po’ forzati; come l’abbigliamento da Cachi Scout di un ragazzino ben lontano da una forma anche lontanamente accettabile di virilità.

Racconta di una fuga, Moonrise Kingdom, come ci ricorda l’immondo sottotitolo italiano. La fuga di due piccoli adulti (e dello stesso Wes) da un mondo di grandi, di borghesi piccoli piccoli un po’ conformisti e tanto ipocriti, il sogno paradossale di un amore fuori dal tempo e dalle regole. Anderson dà l’idea di interessarsi prettamente ai suoi due adolescenti eccentrici e privi di centro, alle loro fragili dubbiosità, a scambi di battute che rivelano un disagio generazionale che, a questo punto del suo Cinema, potrebbe anche sembrare autoreferenziale ma che non lo è. Di fatto è sostanza, è carne di un’estetica che, in quanto terribilmente e meravigliosamente  autoriale e autoritaria verso se stessa, non può che ripetersi, cercare nuove chiavi di lettura e aprire nuove porte rispetto a mondi già esplorati.

La dialettica dei primi piani incrociati tra Sam e Suzy fuggiaschi d’amore rimanda ovviamente a quella de I Tenenbaum, quella dei fratellastri Gwyneth Paltrow e Luke Wilson accomunati da un amore tanto inespresso quanto potenzialmente incestuoso e deleterio che non a caso viene solo vagamente sognato, tra una sigaretta segreta fumata di nascosto in bagno e dei propositi autolesionistici in un lavandino.
“Vorrei vivere in un film di Wes Anderson”, cantavano “I Cani” nel loro sorprendente album d’esordio di nome e di fatto.

“Inquadrature simmetriche e poi partono i Kinks. […] E i cattivi non sono cattivi davvero/ e i nemici non sono nemici davvero/ e anche i buoni non sono buoni davvero/ proprio come me e te…[…] Vorrei l’amore dei film di Wes Anderson, che è tutto tenerezza/ e finali agrodolci…”.

Neanche in Moonrise Kingdom abbiamo cattivi espressamente manifestati, ma solo ostilità vagheggiate, vedi l’assistente sociale di Tilda Swinton che se la prende col capo scout Edward Norton, adulto che fa il bambino in una divisa da cretino (mentre i bambini dal canto loro fanno i cretini in divise da adulti), e lo sceriffo Bruce Willis, o i genitori di Suzy dagli attriti non troppo mal celati, interpretati da Bill Murray e Frances McDormand, che si sussurrano nell’ombra l’intimità e la sincerità che avevano dimenticato e rimosso. Ritrovandola, forse, senza superpoteri improbabili come un binocolo per guardare più lontano ma con la semplice messa in gioco degli affetti, dei loro pensieri taciuti e non rimossi. L’amore (per così dire) maturo, insomma, mentre contemporaneamente  su una spiaggia si consuma quello di due bambini che scoprono il mondo, che mischiano palpatine, baci, sabbia e dei ti amo tenerissimi e ridicoli, ma di una verità sconcertante (che forse, è in fondo l’intima e lacerante verità propria di tutto ciò che è o appare ridicolo).

I bozzetti illustrativi di Wes lasciano come sempre il posto al brivido epidermico, con sincerità disarmante, mai artefatta, mai programmatica. Moonrise Kingdom è un film che se ne infischia di piacere a tutti, che ha la sua scena madre in un twist impacciato e frenetico sulle note di un romanticissimo brano francese. L’ennesimo film bello bello in modo assurdo di un giovane regista texano che continua a essere un pervicace alieno non conformato, non inquadrabile, meravigliosamente fuori posto e fuori dal mondo.

 

Il Cinema di Wes Anderson ha ormai raggiunto la statura emotiva e la definitiva grazia superiore di una lacrima che si congiunge a un sorriso: lo si può odiare per la sua fastidiosa inconsistenza, per la sua calligrafia (solo apparentemente) di facciata o amarlo per le sue atmosfere buffe e malinconiche. Essendo un Cinema di spleen salingeriano e reclusione/esclusione di anime elette, d’emarginati e sensibilità fortissime, è difficilissimo che incontri favori generalizzati, quasi impossibile che non desti perplessità. E, d’altro canto, è altrettanto improbabile nutrire nei suoi confronti sentimenti intermedi. Scinde i cinici dai sognatori, si potrebbe dire: un’affermazione che è senza dubbio una riduzione ingenua e semplicistica della realtà, ma che a pensarci bene non è poi così insulsa e forzata.

 

Dream Land, Davide Stanzione, lo stellare Willis Bruce

Davide Stanzione è nato a Erice (TP) il 27 Aprile 1993. Giovane cinefilo, autore di sceneggiature per corti e saltuariamente anche attore, è redattore della rivista web “Point Blank – La più corta distanza tra il bene e il male”, e collaboratore del sito posthuman.it. Dal 2010, è blogger di Cinerepublic, il sito del settimanale di cinema “FilmTv”, e attuale amministratore della pagina facebook SettimaArte, dove cura approfondimenti sulla Storia e le poetiche del cinema e recensisce opere all’interno di percorsi filmici e monografie.

 

Lui sarà la nostra nave-vascello del suo Bruce Willis. Sì, forse non lo sa, ma io lo vedo così, willisiano, di sorriso “gaglioffo”, spavaldo e guascone, irriverente oltre il “consentito” quando può permetterselo, e versatile amante del Cinema, poliedrico di recensioni che spazian fra la durezza pura e la granitica presa di posizione anche stupefacente quando “sdrammatizza” le opere più serie.

M’ha garantito che esordirà, su questo sito, con un’opinione fantastica sul nuovo Wes Anderson:

Qui, lo vediamo” in tiro”, reduce dall’umorismo sofisticato di Wes in zona Red.

 

 

Neige Rouge – Tribute to Takeshi Kitano

Qual modo migliore d’ospitare l’illustre Mario, col suo splendido concerto in onore a Takeshi Kitano?
Musica per le nostre orecchie, cinefila e sublime, sinuosa e insinuante nelle emozioni.

 

NEIGE ROUGE – Tribute to Takeshi Kitano from Mario Carta on Vimeo.

 

Links, locali lindi

Ogni sito ha i suoi collegamenti.

Eccone alcuni:

www.geniuspop.com/blog, sempre mia creazione e joint. Fantasmagorici aneddoti sulla Settima Arte e non solo.

www.stefanofalotico.com, vetrina delle mie opere e dei miei capolavori.


Siamo dei ronin… 

 

Au revoir…

 

Mockumentary, Stefano Falotico

Stefano Falotico, nato il 13 Settembre del 1979 in una località forse amena o forse sperduta. E mai perirà.

Indagatore, artista, cinefilo, letterato, autore infatti di numerosi capodopera, “Una passeggiata perfetta” (Joker Edizioni), “Hollywood bianca”, “Frankenstein”, “Noir Nightmare – L’ombra blu del fantasma” (Albatros Il Filo), di un “Dizionario dei film 2011” (coautore Valerio Vannini, eminente saggio di veneranda età solo all’anagrafe ma più giovane del vecchiume generale e moralista odierno che tanto va “per la maggiore”) e, al momento, di altre due bizzarrie pubblicate col selfpublishing di Lulu, “Nel neo(n) delle nostre avventure” (assieme al nostro Davide Stanzione) e “Uragani nella tempesta, Sean Penn e il Cinema springsteeniano”.

Si considera uno degli ultimi maledetti, un “birbante” Genius la cui storia eccentrica è (i)scritta e incisa nei suoi lineamenti profondi e palpitanti di vita.

Ha vari angeli che lo proteggono e lo redarguiscono quando l’umore scende e l’anima cala troppo melanconica.

   Qui, il nostro Falotico è proprio Sean Penn, con Ben Stiller che fa finta di scrutarlo ma prima l’ha indagato.

Infatti, si sbircerà da sé (speriamo di non sbucciarci), raccontando pian piano, “a ritroso”, la sua leggenda.

 

www.mulhollandlynch.com, sito da oggi (re)attivo e anche “radioattivo”

Welcome to another bullshit night in suck city

Prendendo spunto da “Un’altra notte di cazzate in questo schifo di città”, prossimo De Niro in Paul Weitz, film Being Flynn, ché non potete perdervi questa gemma, perla(cea), tre “piccoli porcellini”, memori dell’Ezechiele da prender di sfottò, esordiscon così col loro sito, dominio, blog, chiamatelo come cazzo vi pare o come più v’aggrada. Noi non assumiamo il Viagra.

Tal “boccaporto”, tal nave pirata, tal isola e poi Oceano, tal avevntura, tal mantello, tal balestra, tal battaglia, tal poesia e tal dei tali, tal dei nostri tagli nel nitrato, quindi nitrito da cavalieri bizantini, poi germanici, quindi birmanni, quindi ottomani, quindi “bischeri”, quindi a giocar a briscola (meglio la scopa…), quindi quando come m’amera, ah, il mare, quindi dove, quindi non so, quindi bizzarri, quindi non al guinzaglio… si chiama www.mulhollandlynch.com.

Altra folle idea dell’Uomo “in gamba” fra le corse, ché nessuno mi fa gli sgambetti. C’è chi balbetta, chi fuma l’erba, chi pascola e chi cova. Chi nidifica e chi pensa solo alle fighe.

Ci sono anche quelli che rinnovano il Mondo e spolverano ove voi non metterete, appunto, mani perché non potrete mai accarezzare la Bellezza vera. Smarriti come siete nell'”asinar” del “bel gioioso” naufragar e fregarvi. Meglio la fregata, vascel’ d’uccelli canterini, incantati e non a (tra)cannare e basta.

Applauso!

Sì, generato, vissuto, incarnato, inoculato nelle mie cornee, mentre voi state a farvi le corna, un sito da Genius-s, con la desinenza di doppia “S”. Eh sì, al plurale maiestatis, noi siamo maestosi, si sa. E, col vento di maestrale a prua, non ci spompiam solo di poppe…, cari maialetti.
Sì, noi usiamo il singolare nel “Noi” e voi “No”, perché siete individualisti e non vi prodigate per la comunità, per la collettività e per la correttezza, siete solo omuncoli da colletto, dunque da collar e anche “decollati”. Ah, copiate-incollate ma non avrete mai l’estro dei Genius-s. Doppia S alla terza. Anzi, al terzetto. Eh sì, siam in tre(no):

Stefano Falotico, originario della tundra di John Landislupo mannaro americano-italiano, felsineo d’azione, ferino anche quando troppo “ferito”, Davide Stanzione, uno che non si ferma solo alle stazioni ma, da stallone, è sangue puro, Federico Frusciante, gestore d’una videoteca imbrunita a Livorno.

Sì, dopo innumerevoli soldi e infiniti tentativi di connettermi a FTP (ai cui “rifiuti” di connection failed, risposi “Figgh’ de’ puttàn’“), dopo telefonate “spaccapalle” ad Aruba per i dati d’accesso che (e)saltavano, dopo varie immissioni, “sottomissioni” al call center e al mio centro nevralgico che stava partendo d’embolo (e anche di “Vaffanculo”), son finalmente riuscito a imbastire le prime due pagine(tte). E non c’è due senza mille e una Notte. Come dite? Tre? No, non sono Troisiricomincio da me, con la camicia e pure il pigiama. Forza, bevete dalla damigiana e spar(l)ateci di (cer)bottane!
Ah, siete incerottati, accendete le Marlboro coi cerini e avete una brutta cera. Dio c’è… Come? Come dici? Sei tu? Con quella faccia lì? Ma che sta’ a di!

Ah, ci siam dilungati, miei belli.

Eccolo qua, tutto per voi.

Come pot(r)ete vedere, ci son i coniglietti lynchiani, il tassista e pure l’heat.

E, a proteggerci dal Male, i quattro Cavalieri. Non so se dell’Apocalisse, ma sempre signori e buon pastori: Lynch David, appunto, ascendente nel titolo, De Niro Bob, argentato, Pacino Al, uno da baciare, e Eastwood Clint, uno che non muore mai. A proposito… questa del Clint è una foto recente. Sono ottanta e passa da gran carisma, eh!

Mica voi, da gargarismi, dai su!

Ricordati fratelli e “figliuole”: www.mulhollandlynch.com, il più grande sito del Mondo.

Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

  1. Being Flynn (2012)
  2. INLAND EMPIRE (2006)
  3. Gran Torino (2008)
 

La Gran Torino di Eastwood

Bene, partiamo e qual miglior modo d’inaugurare il sito se non, dunque sì, inserendo il capolavoro (uno dei tanti, ma forse a mio avviso il più sommo assieme all’eccelso Unforgiven) di Eastwood.

Un film monumentale che risponde al nome crepuscolare, autunnalissimo di Gran Torino.

   I ricordi delle rughe giovani, eterne nell’immacolata innocenza dei sogni da salvaguardar guardinghi

Ora, sfila davanti a me, sempre una costante insonne, il volto levigatamente “cavernoso”, appassito, ischeletrito di Walt Kowalski, un monumento di bionda asciuttezza argentata nel Clint Eastwood della sua feroce malinconia “senile” solo di parvenza “sparviera”. Di sparatorie “fraintese”, di rese dei conti d’una metropoli sgangherata nei volti “bendati”, o troppo “scoperti”, di piccoli gangster in erba…

Walt, con la sua storia alle spalle, sepolta nel cassetto delle illusioni “perite”, deperito, affranto, perduto dopo un’altra delusione. La morte della moglie, nel decoro della sua medaglia al valore “tatuata” nelle fessure, tessuto roccioso nelle “fenditure” dei suoi occhi ancora vivi e scattanti di secolare grinta non ancora raggrinzita. Una quercia che non scalfisci, che non abbatti. Ma è avvilito. Torna a casa, con la bandiera che sventola ingrigita, sedata da piogge che han spento il sorriso, scandita dalla monotonia imperterrita d’un morto dentro che sogghigna, sbuffa, laconico è più eloquente di mille parole.
Si “scheggia”, disarmato e soprattutto disamorato, ancorato al Vietnam e ai cuori infranti di quel fango polveroso, incancrenitogli demoniacamente, anzi “all’ammoniaca”, in un’anima che non spolvera più.
Così, pulisce il cortile, sbevazza e sputacchia, annoiato e infastidito dai vicini e dalle coetanee tardone.
Ma il vecchio leone (non) s’è addormentato, e invece ringhia “sottobosco”, nella foresta dell’enigma irricucibile, della ferita che fa male, ticchetta nel boato spaventoso della Notte.
Luna torpida di violenze, proprio dietro l’angolo. Una “canaglia” inacidita, incagnita, già “incagliato” nei suoi dolori personali, che suona la carica a “colpo di fucile”.
Smalta il vento delle ingiustizie con la mordace furia di chi addenterà, cacciatore, i bambini troppo “dispettosi”, “educati” a “sbrigarsela” sporca.
E così, dalla fortuita disavventura, nasce l’amicizia e l’affinità insospettata con uno “scemo”.
All’apparenza tale. Poco reattivo, poco appunto “in guardia”. Il Mondo è un posto perlopiù schifoso che non guarda in faccia proprio nessuno, anzi, ti punta il dito e ti “mitraglia” se sgarri, se non premi il “grilletto” quand’era il momento fuggente. Ti arrugginerai se non ti lavi dalla merda, se non te ne “levi dalle palle”. Se non ti dai una mossa prima che ti ruberan la “merenda” e anche le ragazze che sogni ma non tocchi, che guardi ma hai paura di baciare. Che sfiori di sorrisetto timido e poi scappi per non scopartele. Che c’è di male in una sana scopatina? Te lo dice Walt. Un pezzo grosso, un mandrillo “stanco” per chi la testa l’ha appoggiata sul comodino del “legnoso”. Del palloso. Han tante palle gli “uomini” che le han appallottolate nel saccheggio ruffiano e nella domestica “bontà”. Parenti che son capaci di “regalarti” un ospizio per “rabbonirti” e macellarti del tutto. Per macerare quello spicciolo di vanità che ancora hai, quella melodia jazz che tu hai sempre respirato nel frenetico gran casino che non vuole “auscultare”. Se la cantan…
Guarda un po’ Walt il “bestione” che tutti allontaneranno e disprezzano, trattan da “signore” ma poi odiano e lo relegano alla sua solitudine di (rim)pianti da non urlare per non disturbar la quiete cheta-“acquetta”. Per non dar “problemi” ai pantofolai veri. Ti spaccan il vetro di ricatti e intimidazioni, prendono in ostaggio il tuo Cuore per quattro risate in compagnia.
Per divertirsela “allegramente”. Tenendo in pugno quella famiglia di “cinesini”.
E tu, proprio tu Walt, che ti affezioni a Thao, il “tardo”.
Ah non è tardi per far piazza pulita e metter a posto chi l’ha fatta grossa.
Adesso, siamo arrivati allo stupro.
Il prete ti consiglia di perdonare, tu confessi i peccati di tutta la società, sei un Pennywise formato King of the Night.
E il Diavolo ha bussato alla tua porta, distruggendo la calma e i tuoi equilibri sonnolenti, già pronti a tirar fuori le unghie e l’artigliera “pesante”. No, non reagire, lascia stare, ecco la vocina della coscienza.
Ma tu non la vuoi sentire, vai avanti di “testona” tua.
Smonti “baracca e burattini”, t’incammini a casa dei lestofanti, e li sfidi. Estrai una pistola che non c’è, e t’ammazzano a sangue freddo.
A chi vuoi raccontarla? Alla polizia scesa sul luogo del delitto?
All’assistenza sociale? Alla tua pensione?
Ai figli “buoni?”.
No, tu sei andato lì apposta, con un chiaro intento. Stendere le loro vite da maiali.
Ma l’hai studiato bene, con l’istinto dello spietato…, duro a morire davvero.

Volevi incastrarli col tuo assassinio.
Perché il Mondo arrestasse chi ha ucciso, chi s’è spinto troppo oltre.

Darai e “intonerai” in dono a Thao la speranza di una via migliore.
Rabbrividiamo. Di gelo.
Di meraviglia.

(Stefano Falotico)

 

 

Welcome to another bullshit night in suck city, evviva!

Bene fratelli. Benvenuti nel sito-blog(h)ssimo dei nostri fuori orario da fusi.

Speranzosi che c’amerete a braccia aperte, riempiendoci di baci, eccovi dunque “trasferiti” nella nostra fantasmagorica visione del Mondo. Ove David Lynch ammiccherà, “nascosto” come il fantasmino di Bob oppure come Casper.
Siamo tre prodi combattenti nella burrasca, emozionali guerrieri della Luna.

Chi siamo? Tre naviganti di velieri senza velo, che risponderanno a tali sezioni. Ah, non dissezionateci. Eh no, eh.
Mockumentary: Stefano Falotico, biopic nelle autopsie autoctone e iconoclaste, monumentali appunto di Storia del Cinema in sé.

Dream Land: Davide Eustachio Stanzione, feroci genialità d’uno Sguardo irreprimibile, affamato di celluloide e dunque di sue cellule vive e sanguigne. Incendiante.

The Boxer: Federico “Videodrome” Frusciante, “enigma” cinefilo del suo occhio indagatore, indaco negli incubi e dunque indagine…

Quindi, ci sbizzarriremo nelle virtù delle nostre foglie autunnali e poi illuminate d’estasi, spaziando fra questi punti fermi, le galassie dei nostri approdi:
Inamovibili, i registi secolari nel Millennium, le querce

The Actors Studio

Tassisti di Notte, le nostre folli Lune, aneddoti stroboscopici e immaginifici

Masterpiece: i capodopera della nostra Aula Magna, cari nostri “uditori che udite e udirete”

Le più belle donne della nostra linfa

Reviews, film recensiti, (re)visionati

Ronin, siamo mercenari al soldo di mai soldatini. Mai vostre solitudini patetiche. Le nostre esternazioni più vere e non “mediate” da filtri standard.

Trasposizioni, le pellicole meglio “riadattate” o più inventive dei romanzi da cui trassero le origini. Forse la loro originalità “ispirata”

Ci par doveroso, inaugurare con uno dei grandi capolavori di Clint Eastwood, per invitarvi alla nostra mondiale première.

 

 
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