UNA VITA IN FUGA (Flag Day), recensione

Flag Day

Ebbene, oggi recensiamo Una vita in fuga, il cui titolo originale è Flag Day. Presentato in Concorso (e subissato, perlopiù, da fischi e sommerso da critiche abbastanza impietose) al Festival di Cannes dell’anno passato, Una vita in fuga rappresenta la sesta opera registica di Sean Penn (Lupo solitario). Perdonateci se, in tale, diciamo, enumerazione, trascuriamo il suo episodio, intitolato USA, del film 11 Settembre 2001. Non perché non sia bello, anzi, ma non è un lungometraggio. Come sopra inseritovi fra parentesi, Una vita in fuga non ricevette una buona accoglienza presso l’intellighenzia presente alla kermesse cannense, riscuotendo però, altresì, opinioni migliori rispetto a Il tuo ultimo sguardo. Quest’ultima, opus con Javier Bardem & Charlize Theron, sempre firmata da Penn e passata a Cannes, completamente massacrata, all’epoca della sua release, da recensioni cattivissime e severe oltre ogni dire. Una vita in fuga, pellicola della durata di un’ora e quarantanove minuti, visionabile nei nostri cinema a partire dal 31 Marzo scorso, tramite la distribuzione della Lucky Red, ha ottenuto critiche, come dettovi, non propriamente lusinghiere eppur non del tutto così crudeli, a differenza di quanto avvenuto, per l’appunto, con Il tuo ultimo sguardo. Per esempio, sul sito aggregatore di medie recensorie, metacritic.com, attualmente riscontra la “votazione”, di certo non eccelsa eppur al contempo neppur così insoddisfacente, del 53%. E, infatti, a ben vedere e così come v’illustreremo brevemente in tale nostra stringata eppur speriamo esaustiva disamina, Una vita in fuga non è affatto disdicevole, malgrado sia ben lungi dal potersi definire un grande film. Tratto, con alcune licenze, dal libro di memorie di Jennifer Vogel, Flim-Flam Man: The True Story Of My Father’s Counterfeit Life, è sceneggiato da Jez Butterworth e John-Henry Butterworth.

Trama, sintetizzata al massimo…

Assistiamo al saliscendi emotivo e al rapporto conflittuale fra un padre sbandato, un uomo gaglioffo e falsario criminale un po’ da strapazzo e involontariamente molto simpatico di nome John Vogel (Sean Penn), e sua figlia, la sensibile e fragile Jennifer (Dylan Penn) durante un vasto e movimentato arco temporale che va dalla metà degli anni settanta sin all’anno ‘92. John, per via del suo “lavoro” particolare, si separò dalla madre di Jennifer quando Jennifer era ancora una bambina. Abbandonandola spesso sola a sé stessa. John è ancora inseguito dall’FBI… riuscirà a rimanere libero e soprattutto a riconquistare l’affetto perduto, perlomeno altalenante, di Jennifer?

Molto romantico, improntato su uno stile malickiano abbastanza evidente e soventemente nauseante, privo di compattezza e d’organica coerenza nel descriverci, troppo sentimentalmente e con frequenti cadute nel patetico più grottesco, Una vita in fuga, pur risultando un’opera peraltro retorica oltre il limite della sopportazione umana, si lascia però vedere, perfino adorare a tratti. In quanto, malgrado il suo impianto melodrammatico troppo forzato e, ripetiamo, non poche volte sdolcinato e ruffiano, paradossalmente vive di lirici momenti autentici. Ove il miglior Sean Penn regista che fu, cioè quello rabbiosamente vero delle sue primissime opere dietro la macchina da presa, salta fuori e sa emozionarci, distillandoci pezzi pregiati, visivamente e visceralmente potenti.

Dylan Penn, sua figlia, qui al suo esordio assoluto, se la cava discretamente, ben guidata dalla mano del padre ma, più che per la sua recitazione, comunque sia comprensibilmente acerba e molto incerta, c’appare bellissima, leggiadra e incantevolmente deliziosa, in virtù dei suoi limpidi occhi magnetici veramente emananti lieve sensualità venerabile, addirittura eroticamente seducenti in modo allusivamente carezzevole…

Eddie Vedder in colonna sonora e fotografia di Daniel Moder.

Nel cast, Josh Brolin, Norbert Leo Butz, Dale Dickey, Katheryn Winnick, Regina King, James Russo e non dimentichiamo Hopper Penn. Sia Dylan Penn che Hopper sono figli, ovviamente, di Sean Penn e della sua ex, Robin Wright.

Dunque: a leggere molte critiche dei soliti incompetenti e prevenuti, mi avevate fatto passar la voglia di guardare e amare questo film. Un film vero, coraggioso, bello. Nonostante la retorica abbondi e si sconfini, spesso, nel patetico più programmaticamente melanconico.

di Stefano Falotico

 

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