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SPECIAL CORRESPONDENTS, recensione

Oggi voglio recensirvi un film, ai tempi della sua uscita, passato quasi totalmente osservato e forse qui sarà da me rivalutato. Libero da coercitivi canoni editoriali e da limiti imposti dalla prosa attinente le redazioni giornalistiche, spesso ruffiane, avendolo ieri l’altra sera ripescato, tramite Netflix, voglio per l’appunto ivi disaminarvelo alla mia maniera, stavolta ancor meno consona alla pedante “classicità” delle recensioni comuni. Inoltre, tal pellicola ha non poco a che vedere col quotidiano… locale, nazionale, di una piccola realtà da The Office? Avete capito l’allusione e la citazione? Il film in questione, peraltro, è rimasto invariato nel suo titolo originale e così immesso mondialmente sulla piattaforma streaming succitata nel dì del 29 aprile dell’anno 2016, ovvero oramai otto anni or sono. Forse, non è vero quanto da me dapprima dettovi, cioè Special Correspondents fu, eccome, visto, sebbene largamente stroncato. Tanto da riportare, a tutt’oggi, sul sito aggregatore metacritic.com, l’assai insufficiente media recensoria del poco lusinghiero 35% di pareri favorevoli, quindi perlopiù contrari.Bana Gervais Special Correspondents Gervais Bana

Scritto e diretto da Ricky Gervais, il quale molto personalmente riadattò, da inglese in terra statunitense, la pochade francese Envoyés très spéciaux, da noi misconosciuta (infatti non viene neppure “linkata” su Wikipedia ed è dunque mancante di sua pagina, da tal enciclopedia generalista, dedicatale, malgrado sia naturalmente accreditata), Special Correspondents (letteralmente tradotto significa corrispondenti speciali, se preferite inviati…) è una commediola garbatissima, dall’esile trama, certamente, eppur non è un filmetto da prendere sotto gamba. In quanto Gervais, come sempre, sa colmare i vuoti d’una sceneggiatura traballante e decisamente ridicola, inverosimile ma non del tutto risibile, con l’argutezza sua propria e la consueta sua immancabile, dissacrante verve cinica e scoppiettante. Al che Special Correspondents, a mio avviso, qualitativamente non corrisponde al mediocre valore assegnatogli ingiustamente dalla frettolosa, cosiddetta intellighenzia critica superficiale. La Critica (di) cosa? Non voglio criticarla ma certamente il film è criticabile, altresì non è disdicevole come si dice, no, da molti detto. Mi perdonate per i miei insopportabili e magnifici giochi di parole? Ok. A proposito di Wikipedia, sottostante v’appioppo il relativo link riguardante e di conseguenza annettente la trama inseritavi. Se volete leggerla e non avete mai visto tal film, ve ne rovinerete la visione, dunque attenzione:

https://it.wikipedia.org/wiki/Special_Correspondents

Vera Farmiga Special Correspondents MacDonald Pollak

Ora, se il regista di Un colpo di fortuna, ovverosia Coup de Chance, se l’autore di Manhattan (luogo peraltro di parte della quivi vicenda narrataci, ih ih), francesizzò in Écrit et dirigé par Woody Allen, eh eh, per quanto concerne, diciamo, i suoi “credits” da cineastico author dell’ultimo suo opus appena citatovi, Gervais semplicemente diresse, per l’appunto, il remake del film d’oltralpe, sopra riportatovi, col tipico black humor d’anglosassone di origine controllata e suo inimitabile stile corrosivo. Avvalendosi, nel cast, di due coprotagonisti d’eccezione abbastanza altisonanti e molto avvenenti nei loro rispettivi sessi, ovvero l’aitante, ivi molto autoironico Eric Bana, e la sempre brava ed affascinante Vera Farmiga. La quale v’interpreta un personaggio antipatico. Insomma, Bana è Frank Bonneville, journalist figo e al contempo sfigato della madonna che vagamente assomiglia al cantante Tommaso Paradiso di Thegiornalisti, un po’ a Richard Gere dei tempi d’or e perfino al suo Hector di Troy però in giacca e cravatta e mai a torso nudo, al massimo in canottiera, ah ah. Mentre la vera figa, no, Vera Farmiga, nei panni di Eleanor Finch, moglie fedifraga di Gervais/Ian Finch, incarna la parte della “troia”. E già ho detto quasi tutto e compiuto spoiler… Bonneville ed Ian Finch, colleghi pressoché inseparabili, sebbene agli antipodi, caratterialmente e fisicamente, si trovano nuovamente a lavorare assieme, stavolta in quel dell’Ecuador, “spediti” al fronte di guerra dal loro ambizioso caporedattore Geoffrey Mallard (Kevin Pollak, esilaranti i suoi sguardi da “idiota” che veramente abbocca alle cazzate rifilategli e, credulone, se ne commuove tremendamente…) che vuol alzare le quotazioni della sua radio-giornale con un reportage “agguerrito”, no, rischioso. In verità, Finch perde i passaporti e sia lui che Bonneville non vanno mai in Ecuador eppur poi sì… Che casino!

Al che, in questa sciocchina eppur per nulla maldestra comedy degli equivoci a non finire, Gervais, memore anche di Wag the Dog firmato Barry Levinson, di Mel Brooks e compagnia bella, di Frank Oz, financo dell’appena compianto Roger Corman, del Cinema quasi da camera, ovvero del kammerspiel sui generis, con brevi puntate all’esterno, filma una geniale stupidata magnetica. In cui risaltano anche le simpatiche Kelly MacDonald ed America Ferrera, oltre al cammeo di Benjamin Bratt e al viso buffo di Raul Castillo Jr.

Special Correspondents è una splendida “cagata” dal sottile sapido gusto e non per tutti i gusti, financo di matrice intelligentemente cinefila, del genietto Gervais e, se volete trascorrere due ore di puro svago senza troppe pretese, è il film giusto di tal metà maggio 2024.

Alla prossima, dal vostro “inviato speciale” Stefano Falotico, critico unico e impareggiabile, il più bravo nel suo “lavoro” e che, a differenza di critici stolti, però ben pagati, scrive praticamente gratis e va in giro, atteggiandosi da Eric Bana de no’ a(l)tri pur essendo molto più simile a Gervais, a dispetto del suo profilo “basso” da indubitabile e visibile testa di c… o. Inoltre, spesso cammina con far sornione e da sosia di Bob De Niro. È davvero uno stupido. Anche perché De Niro or è vecchio e il Falò potrebbe permettersi di essere migliore e più carismatico del Bob giovane.

Special Correspondents Eric BanaRicky Gervais Special Correspondents

 

THE PRESTIGE, recensione

Jackman The Prestige Michael Caine The Prestige

Ebbene, se non tollerate o addirittura sgradite questo mio ebbene di tono confidenziale ad apertura della mia eccentrica e peculiare disamina, non proseguite nella lettura perché il mio mood recensorio sarà improntato, giustappunto, alla particolarità espressiva e alla desueta prosa non allineata a canoni editoriali che reputo superati e poco affini col mio stile, anche mentale. Non so se impeccabile, di certo personale.

Dopo una miriade d’anni dalla sua uscita nei cinema, in verità The Prestige è del non tanto lontano 2006, dopo averne rimandato e sempre procrastinato la visione, non chiedetemi però perché, forse giammai davvero m’attrasse vederlo, finalmente lo vidi poiché, da un po’ di tempo, il film in questione fu inserito su Netflix e forse presto, perlomeno prima di quanto poss(i)a(te) immaginare, sarà eliminato. Ma basta col passato remoto, d’ora in poi, in tal pezzo recensorio molto sui generis, utilizzerò (futuro anteriore, eh eh) il passato prossimo oppure il tempo a me più vivamente congenito, ovverosia quello agganciato alla mia anima che è sovente sganciata dalla contemporaneità e non soffre né di modernità né di vetustà, forse è piacevolmente sol ammalata da venustà, sì, adoro la bellezza, ovviamente anche nella settima arte, e non voglio più celarmi e intristirmi nella coltre dell’asfittica pseudo-normalità e della mediocrità che, financo involontariamente, attanaglia e strozza l’uomo comune, il mortale qualsiasi che, in gran percentuale, adorò, anzi, ha adorato questo film a mio avviso sopravvalutato, sebbene ammetta ammaliante e visivamente trascinante, narrativamente ben congegnato e perfettamente interpretato soprattutto da uno Hugh Jackman in forma smagliante, fotogenico in maniera impressionante e veramente sfavillante, con buona pace degli uomini invidiosi del suo fisico scultoreo e del suo sex appeal sia elegante che selvaggio da Wolverine oramai eterno e indimenticabile. Fisico da lui puntualmente e prontamente esibito in una sequenza da disabile, no, profumata e osé, no, oso dire, ammantata di virile “déshabillé” sensuale in una delle prime scene iniziali.

Ma ora iniziamo con la mia review speciale…

Stando alla scarna e fin troppo sintetica, eppur pertinente sinossi di IMDb, eccone la trama troppo sbrigativamente riassuntaci in due righe striminzite:

Dopo un tragico incidente, due prestigiatori si imbarcano in una battaglia per creare l’illusione finale sacrificando tutto ciò che hanno per superare l’un l’altro.scarlett johansson prestige piper perabo the prestige

I due uomini, prestigiosi, no, prestigiatori ed illusionisti forse più bravi dell’Edward Norton del meraviglioso, di pochissimo posteriore o forse dello stesso anno, eh eh, e forse superiore The Illusionist di Neil Burger, rispondono ai nomi di Robert Angier (Hugh Jackman) & Alfred Borden (Christian Bale) mentre il “demiurgo” Cutter è incarnato dal solito magistrale Michael Caine che ivi non si chiama Alfred come nella trilogia nolaniana su Batman con Bale stesso ma è consigliere e maggiordomo di Robert. Non Pattinson, ah ah. Per un nodo sbagliato, muore, chissà se accidentalmente, la bella sposa d’uno dei due contendenti, vale a dire Robert. Lei, Julia McCullough, crepa affogata e chi la ricorderà? Soprattutto perché è Piper Perabo, brava e simpatica, carina attrice quasi del tutto scomparsa ma, secondo me, memorabile ne Le ragazze del Coyote Ugly e seducentemente attraente perfino nel guazzabuglio e disastro assoluto Le avventure di Rocky e Bullwinkle con Robert De Niro. Robert, non De Niro, eh eh, dopo la tragedia occorsagli di cui è stata vittima la sua consorte, presto si consola con una nuova assistente e compagna, Olivia Wenscombe. Incarnata nientepopodimeno che da Scarlett Johnasson, una donna verso la quale tutti gli uomini provano un’erotica attrazione terribile e considerano “tremendous” ma a me non dice niente. La reputo alquanto insipida alla pari di Rebecca Hall, qua nel ruolo della moglie di Alfred, Sarah. Completano il cast, fra vari attori più o meno importanti e secondari, lo splendido Andy Serkis (King Kong, Cesare/Caesar del franchise Il pianeta delle scimmie di Matt Reeves e, neanche farlo apposta, proprio per Reeves, Alfred nel suo Batman con tanto d’immantinente sequel).

E, a proposito dell’uomo pipistrello, spiace dirlo ma Christian Bale, in tale The Prestige, è fuori parte e spesso non convincente. Come d’altronde il film stesso. Non me ne vogliate ma uno dei pochi motivi d’interesse di The Prestige è il magnifico e compianto David Bowie nei panni di Nikola Tesla.

Christopher Nolan, quest’anno oscarizzato per la boiata pazzesca di Oppenheimer, con The Prestige firma un opus strabiliante? No, guardabile, a tratti perfino, ribadisco, piacevole e affascinante eppur non affatto memorabile, checché ne dicano i suoi incalliti sostenitori irriducibili e irrimediabilmente non contrariabili. Tantomeno, persuasibili del contrario.

Dal romanzo omonimo del suo omonimo, perdonate la voluta ripetizione, Christopher… Priest, Nolan, assieme al fratello sceneggiatore Jonathan, allestisce un potpourri mainstream incantevole ma presto dimenticabile, ripieno d’inverosimiglianze e sciocchezze inenarrabili. Fra tutte il sosia di Robert Angier che, invero, è soltanto Jackman stesso gemello omozigoto.

Per ulteriori dettagli, peraltro sommari, cari somari, eccovi sottostante il link di Wikipedia da me riportatovi:

https://it.wikipedia.org/wiki/The_Prestige

Robert, dunque, ha un sosia o un fratello identico a lui di nome Gerald Root? E stessa cosa dicasi per Alfred, ribattezzato Freddie dalla sua amante, il cui vero amante è a sua volta un doppio Alfred nell’identità reale di Bernard Fallon?

Con perenni twist alla M. Night Shyamalan ante litteram, giochi di “prestigiazione” e cinematografici “magheggi” vari, Nolan è un illusionista e imperterrito, irredimibile ingannatore. Ma non m’abbindola con la chiacchiera finale del saggio Cutter/Caine. Da non confondere, eh eh, col Sutter Cane de Il seme della follia di Carpenter. Questo, sì, un capolavoro inarrivabile di “games” ove però tutti i pezzi del puzzle alla fine coincidono esattamente e senza sbavature alcune. Qui le lacune invece son troppe, le discrepanze e le (non) spiegazioni (non) didascaliche veramente improponibili e, forse, a una prima visione, The Prestige può di certo, per l’appunto, abbacinare e stordire, lasciar sbalorditi e incantati. Ma provate a rivedere il tutto e ne scoprirete ogni falso trucco facilmente smascherabile in quanto Nolan continua a prendere in giro lo spettatore da cialtrone pseudo-cineastico che spruzza e lancia fumo negli occhi dei suoi muratori, no, ammiratori peraltro metaforicamente ciechi o solo miopi. Accecati irrazionalmente dalla sua risibile magia da David Copperfield à la Charles Dickens o da ex famoso “mago” che scopava Claudia Schiffer alla faccia dei coglioni che dilapidarono un patrimonio per arricchire tal ciarlatano e imbonitore che si faceva una bona? Forse, son stato, in tale recensione, un po’ “ciarliero”, sicuramente non fake come Nolan.

Probabilmente, son un uomo affetto da (dis)illusione e non mi piac(qu)e neppure la fotografia arty di Wally Pfister.Nikola Tesla David Bowie The Prestige Hugh Jackman Rebecca Hall The Prestige

Ah, dimenticavo, solamente due anni dopo rispetto a The Prestige, la Hall e la Johansson avrebbero recitato di nuovo assieme in Vicky Cristina Barcelona. Per un ménage à trois con Javier Bardem e la regia di Woody Allen.

Qui, invece, assistiamo a due uomini idioti non gelosi dei loro omozigoti che però se lo danno nel c… lo a mo’ del mitico  di Double Impact. Che, nei panni, del gemello più dotato di uccell’ coi muscles from Bruxelles, eh eh, ebbe una scena di sesso potentissima con Alonna Shaw.

A tutt’oggi non sappiamo se tale amplesso partorì un film “mostruoso” come The Prestige o il clone Van Damme di The Replicant. Ah ah.

Su tale faloticata, vi lascio.The Prestige Christian Bale

di Stefano Falotico

 
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