JEANNE DU BARRY – La favorita del re, recensione forse sanamente volgare o solo gelosa, no, golosa-goliardica, osé, oso dire sfiziosa

Maiwenn Depp

Allora, premessa importante (dopo messa… a novanta?, non vi può essere la confessione ché andava fatta… prima, ah ah): sarà una recensione giullaresca, impari, impareggiabile o sol alla pari d’un Joker per quel pagliaccio di King Charles/Carlo d’Inghilterra. Si sa, l’eterno contenzioso fra il Regno Unito, no, soltanto la Gran Bretagna, cioè la stessa Corsica, no, cosa, e la Francia è ancora aperto dai tempi di Napoleon, attualmente nelle sale, eh eh. Comunque, alla Germania, no, all’Alemannia, detta altresì Alamagna, preferisco la mia natia Bologna, chiamata, in gergo dialettale, Bulåggna, mentre alle aule magne degli studenti e professori universitari, prediligo le lasagne. D’altronde, se Franco Battiato, nella sua celeberrima Bandiera bianca, cantò… A Beethoven e Sinatra preferisco l’insalata, a Vivaldi l’uva passa che mi dà più calorie, perché io non posso preferire la passera che mi dà più calore e, al motto della Marsigliese, prediligere la fav(ol)a della volpe e l’uva, no, metterlo fra le gambe in moto quando una donna ragna, no, cagna si mette a garrese per pigliarlo nell’ano?

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Ebbene (sì, non si dovrebbe mai aprire un pazzo, no, pezzo con tale intestazione confidenziale e prosaica, invece io lo faccio perché delle convenzioni, anche linguistiche d’un presunto galateo stilistico, in verità vetusto, me ne sbatto in modo giusto), finalmente l’altra sera vidi questo film di e con Maïwenn, ex celebre svergognata, no, cortigiana, no, minorenne “scandalosamente” sedotta e abbandonata da Luc Besson, forse viceversa seduttrice conclamata di natura puttanesca, tal bella donna atipica già donante lui le sue grazie da simpatica amica-topa, dall’ancora non trentenne regista di DogMan furbescamente corteggiata e sinceramente scopata fottutamente, in piena sua adolescenza problematica, forse peccaminosa, per l’appunto precocemente svezzata, sverginata, no, deflorata, usurpata, mi auguro non stuprata, di certo invisa ai benpensanti moralisti e agli ipocriti mai visti, invero persone che vedo ogni giorno e vorrei invece che dal mondo scomparissero, sì, bramo follemente, no, sol ardentemente che certa gente, abietta, farisaica miseramente, miserabile di cuore e bugiarda a tutte le ore, ecco dicevo… costei ostracizzata e marchiata, come una strega medioevalistica oscenamente stigmatizzata da chi sadicamente, in seguito alla sua relazione proibita e malvista con Besson, sperò che la sua carriera bruciasse istantaneamente, tale pellicola, coi busti, no, dai robusti e non poco allusivi elementi autobiografici, realizzò coraggiosamente, fregandosene altamente dei susseguenti, inevitabili giudizi, perlopiù facinorosi e contrari, d’una cosiddetta intellighenzia critica assai obsoleta e non poco tristemente osé, no, demodé, ah, mi son perso in un anacoluto forse non voluto o soltanto in involute frasi contro gli oscurantisti poco aperti mentalmente e privi di cuore in quanto emblema scabroso della pusillanimità più abiettamente sconcia e, paradossalmente, (im)moralmente lercia. Nuovamente ridico… dicevo… La signora lupesca, no, Le Besco, vero cognome di Maïwenn all’anale, no, anagrafe, girò questo biopic degenerato, (da) non porca, no, non poco sui generis e molto personalizzato sulla realmente esistita, parimenti sgradita e (dis)graziata, Marie-Jeanne Bécu, contessa du Barry. Che, nella lussuriosa, forse sol lussuosa, eh già, non son un moralista schizzinoso, rugiadoso e ignominioso, reggia di Versailles, nell’opulenta Francia del XVIII secolo, perlomeno per i nobili ricchi dell’epoca che sfruttarono l’impressionabile popolino, timorato di dio e indottrinato dall’italico, confinante regime del lurido papato, poi ghigliottinando e “scomunicando” le loro stesse vite strangolate in tribali e aristocratici tabù asfissianti e castiganti ogni maudit à la Johnny Depp di The Libertine (film molto speculare e analogo a codesto) a mo’ de L’età dell’innocenza scorsesiana, divenne la favorita del re, così come esplicitamente dichiaratoci nel sottotitolo di tal opus per il volere insindacabile della Notorious Pictures, nostrana casa di distribuzione che, nel Belpaese, dell’opera di Maïwenn detenne, detiene, non so se in futuro deterrà, i diritti, diciamo, l’erezione, no, pardon, erogazione del suo smercio naturalmente anche in home video. Io visionai il film in questione, ovverosia, anzi ça va sans dire, Jeanne du Barry, su Streaming Community in alta risoluzione, aggirando ogni “copyright” bigotto e più stronzo d’una whore alla Valeria Golino/Jeanne de Luynes di La putain du roi. Piaciuta l’eccitazione, no, citazione di quest’ultima pellicola raffrontabile, alla stessa maniera del succitato The Libertine, alla pellicola di di Maïwenn? Ah, non capite la mia cinefilia e la mia ironia alla Louis de Funès. Nevvero?

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Ma andiamo nel didietro notevole della Golino, no, avanti con una bonazza, no, procediamo con bon ton, recensendo questo film a mio avviso buono che, a dispetto di tantissimi giudizi lapidari e cattivi in merito da parte di gente, secondo me, tutt’altro che emerita, anzi, gente che nulla merita, forse specialmente formata da frustrate suore da convento ottocentesco prostituitesi, no, prestatesi ai “voti” della Critica cinematografica, dunque con nessun marito, no, con nessuna regale e reale, in senso di corte, no, toutcourt, onorevole credenziale davvero autorevole, a me non è dispiaciuto per niente. Sebbene debba ammettere che nella prima ora è molto lento, soporifero sin allo sfinimento, quasi inconsistente e vaporoso come le acconciature cotonate dei vari damerini e damigelle ivi presenti, oh ih. Se voleste leggerne, pedissequamente, la trama esposta da Wikipedia, eccovene sottostante il link appioppatovi: https://it.wikipedia.org/wiki/Jeanne_du_Barry_-_La_favorita_del_re

Secondo la sinossi riportata invece da IMDb: La vita di Jeanne Bécu che nacque come figlia illegittima di una sarta povera nel 1743 e passò alla corte di Luigi XV fino a diventare la sua ultima amante ufficiale.

Il re è ovviamente incarnato da Depp, qui esponente un pallidissimo carnato e un viso gonfio, un po’ sciupato per via del tempo suo da uomo certamente non sfigato, però non più figo come una volta e visibilmente stagionato a causa, anche giudiziaria, soprattutto dell’appena conclusasi relazione burrascosa con Amber Heard, a sua volta terminata con la sua vittoria non piena e non apertamente, diciamo, unanime, cioè equivalente, sebbene grossolanamente e arrotando per difetto, non fisico, bensì matematico, soltanto al 90% circa. Mentre Jeanne è Maïwenn. Al loro fianco, tutto un egregio, no, sol grigio e non sempre convincente “parterre de rois” d’interpreti d’eccezione o solamente non eccezionali, di comparse ridicole ed è il caso, non da tribunale e forse futura Corte… d’appello, di dirlo in maniera dura eppur non offensiva al fine d’ovviare, mi par ovvio, ad eventuali querele, eh eh, e di conseguenza non incorrere in guai penali dalla pericolosa natura poco “aurea”. Pericolosa? In realtà, assolutamente no poiché, per esempio, Pierre Richard nei panni del Duca di Richelieu, Melvil Poupaud as Jean-Baptiste du Barry, Diego Le Fur/Il Delfino & Benjamin Lavernhe/Jean-Benjamin de La Borde, solo per limitarmi alla maschile compagine attoriale, peraltro poco carismatica ma affiatata, penso sinceramente che non leggerà mai una mia recensione. Lusinghiera o, per l’appunto, poco lor lodevole che sia. Belle musiche evocative e romantiche di Stephen Warbeck ma fotografia decisamente scialba, tranne rari momenti indubbiamente soavi cromaticamente, firmata da Laurent Dailland, per un melodramma storico-sentimentale molto romanzato e edulcorato, altresì abbastanza puntuale nella ricostruzione storico-scenografica ma al contempo imbalsamato e troppo “imbellettato” come questo Depp/Re che spiccica pochissime parole, non ha nessuna scena madre e, tranne verso il finale, non sembra mai pienamente ispirato, tantomeno innamorato della sua bella o della parte assegnatagli? Luigi XV morì in quanto contrasse il vaiolo mentre John Wilmot, II conte di Rochester, alias Depp del sopra dettovi The Libertine, crepò di sifilide alla stessa età della morte di Gesù Cristo. Lo stesso Cristo che costrinse il credente e “povero” diavolo Luigi XV a rinunziare all’angelica-diabolica Jeanne in punto di morte, allontanandola dalla sua reggia paradisiaca e relegandola, giocoforza, a monarca, no, monaca di clausura per un anno intero, poiché ebbe paura di finire all’inferno. Cosicché, al prete, chissà se figlio di puttana, giunto al suo capezzale per dargli l’estrema unzione, elargendogli la definitiva confessione protesa all’infinita salvazione e concessa anche a ogni comunissimo mortale per depurarlo d’ogni “colpa”, confidò lo “scandalo” per regalarsi il regno di Francia, no, dei cieli. Brav’uomo, andava e va compreso umanamente, ah ah, infatti non volle che, in caso di nuova chiamata in giudizio da parte di Amber Heard, no, in caso di Giudizio Universale, se mai Dio l’avesse dapprima accolto a prescindere dalla sua “birichinata” umanissima, fosse poi sputtanato in particolar mo(n)do dal suo popolo d’idioti non atei, bensì ossequiosi il suo “Altissimo Onnipotente” per sempre “immor(t)ale”. Che “uomo!”. Il Re è morto, Carlo d’Inghilterra quando morirà? Serve a qualcosa costui? Lady Diana, ora lassù assieme alla Madonna, sa… Mentre Camilla beve ancora la camomilla all’ora del tè, il Re Charles, di nascosto, fotte la principessa “sul pisello” Kate Middleton, moglie di suo figlio William? No, Carlo è potentissimo od onestamente, oggettivamente impotente? La seconda che ho chiesto/detto.

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di Stefano Falotico

 

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