THE DINNER, recensione

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Finalmente, a distanza di circa una decade, no, solamente a sette anni dalla sua uscita nelle sale, vidi ieri sera tale film. E quindi, anzi quivi, sganciato da vincoli editoriali assai costrittivi, esausto, no, esaustivamente, no, semplicemente e personalmente ne voglio parlare brevemente in maniera forse stilisticamente rocambolesca. Alla mia maniera, non manieristica, bensì flamboyant e falotica. Film pedante e assai pesante, eppur interessante sotto molti aspetti, altresì soporifero oltre ogni limite, sofisticato e intellettuale, dedicato a un target prettamente adulto, forse radicalchic, in cerca di emozioni gelide, raffreddate, di vicende e trame all’apparenza lineari eppur, se non arzigogolate, perlomeno complicate e impregnate, oltre che impegnate, di vicissitudini a base di traumi mai risolti e malattie mentali sfiorate, poco approfondite, in maniera inquietante però accennatene. Di tal film, anzi, voglio sol accennarvi senza troppo dilungarmi. Dopo il magnifico, superiore Gli invisibili (Time Out of Mind), Richard Gere per l’occasione torna a lavorare col regista Oren Moverman, il quale ivi adatta e traspone il romanzo La cena (Het Diner) di Herman Koch. The Dinner non è il remake americano de La cena di Ettore Scola ma, similmente a tale film citatovi, parimenti è inconcludente, artefatto e… “fatto” per piacere al pubblico appartenente a quello succitato e non mi riferisco ai gusti culinari, bensì cinefilo-sociali con annessi assaggini, no, desideri proibiti di qualcosa di gustoso e cucinato in modo sfizioso, altresì forse a tratti perfino vomitevole in senso lato e non soltanto, a livello figurato, digestivo… ah, i digestivi… Trama, fedelmente e sottostante copia-incollatavi da Wikipedia e inseritavi prontamente in corsivo: Stan è un senatore che sta per presentare una nuova legge al congresso degli Stati Uniti e Paul è insegnante di storia al Liceo. Ad una cena in un lussuoso ristorante tra i fratelli e le rispettive mogli, emerge un orribile segreto del recente passato, che coinvolge entrambe le famiglie.

Be’, che dire, una sinossi davvero striminzita e Wikipedia di certo (non) si è sprecata… Stan, di cognome Lohman, è incarnato da un azzimato, brizzolato, no, completamente canuto eppur per niente caduco, anzi, sempre fascinoso Richard Gere in forma, se non smagliante, sicuramente brillante e azzeccato per la parte assegnatagli. Sì, è decisamente incalzante, no, sol calzante. Mentre sua moglie, di nome Katelyn, ha le fattezze sensuali di Rebecca Hall. Suo fratello Paul è invece interpretato da un eccellente Steve Coogan (Stanlio & Ollio) e la sua consorte, Claire, dalla puntuale Laura Linney. Dopo un incipit faticoso e qualche visualizzato(ci) flashback di troppo, dopo una prima mezz’ora tanto narrativamente convulsa quanto confusa, finalmente entriamo nel vivo per l’appunto della (vi)cen(d)a… narrataci e la situazione meglio focalizziamo. Fra pietanze assortite e un cameriere assai elegante, un po’ cicciottello, qualche famigliare schermaglia e tanti siparietti verbosi conditi con battute non sempre ficcanti e serviteci d’ingredienti dietetici, no, diegetici molto stomachevoli, il film prende pian piano quota e ci appare decisamente, dolcemente più digeribile e godibile rispetto al suo iniziale “aperitivo” poco frizzante. Malgrado alcuni dialoghi, ripeto, risultino veramente ridondanti, poco verosimili e, sinceramente, non possano andarci giù facilmente. A tenere banco è il “capotavola”, a livello recitativo, Coogan che si sobbarca quasi tutto il peso della scorpacciata, no, della “degustazione” offertaci da Moverman. Il quale, grazie all’ipnotica e suadente fotografia mutevolmente cromatica d’un ispirato Bobby Bukowski, riesce a piazzare qualche colpo non solo in mezzo a un ristorante che certamente non è un’osteria od enoteca analoga/he a quelle frequentate dal celeberrimo scrittore Charles dal cognome identico, oh oh. Fra immagini languide, digressioni patetiche e le “esuberanze” non solo attoriali d’un Coogan, rimarco ancora, che pazzia, no, impazza nella parte del “pazzo” deluso e mortificato dal suo lavoro frustrante d’insegnante di Storia, anacronistico in tempi di social, questi ultimi i veri “maestri” per i giovani, una conturbante ma superflua Chloë Sevigny nei panni dell’ex amante di Gere/Lohman, il film non va da nessuna parte ed è più furbo del personaggio della stronzetta Katelyn/Hall. Sebbene possa, a tratti, piacere e ammaliare tal soufflé e manicaretto cinematografico ripieno di gourmet, no, frames girati con cura e taste dalla sobrietà visiva inequivocabile. 2h di durata però sono eccessive e andavano intervallate con un “sorbetto” di matrice più bellamente registica e maggiormente saporita…

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di Stefano Falotico

 

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