In attesa degli Emmy, il grande Rust Cohle di True Detective, analisi alla Celentano con reminiscenze spirituali-ancestrali

di Stefano Falotico

Rust Cohle

Ebbene, come non si può premiare il grande Rust? Un monumento io scolpirei all’intaglio sopraffino della perfezione acuta, linda come un’aquila al plenilunio nei giorni di Dracula nudo a Londra con Mina prostrata in capezzoli strizzati, a suo sangue gozzovigliante e iper-godente di venerazione su(p)ina d’amplessi formato iperbole, gemerei gracchiante senza le vostre bili, miei bidoni, splendidamente arcuato a notturna estasi d’una castellante rinomanza, immolato a perpetuo inchino dinanzi alla magniloquenza potente d’un intrepido del genere, roba che Johnny Depp di The Brave viene schienato e non si alza più da terra, per come costui abbia superato ogni confine incredibile della virtuosa grandezza (dis)umana. Sfidando egli stesso in un’impresa che scavalca non solo la recitazione magnetica ma svenendo nel personaggio incarnato a Cristo diabolico in tal miserrima terra, (a)sceso nella sua infernale discesa. Senti come le parole scalpitano, ed è tastarle di tastiera di gran giovamento, come ogni dubbio s’appiana e d’onda d’urto vigorosamente nell’anima plana.

Ma chi è Rust? Non crede in Dio ma ha nella sua stanza “penosa” un crocefisso che lo protegge dal male, combatte il male ma anche lui non sta tanto bene, ha finito di credere alle chimere quando gli tolsero il ciuccio al reparto dei cuori sognanti, in tal mondaccio appunto sbattendolo, e da allora, con strenuità implacabile, tremar il cattivo farà, con un’ostinazione da far spavento. Roba che se lo licenziano, torna sul luogo dell’impunito e stavolta lo macella, eviscerandogli accoltellante un dolore che alle sue vittime inflisse con moltiplicata crudezza.

Spietatamente senza freni, più animale di quello che da sempre combatte.

E lo scova nel covo di Carcosa.

Ma True Detective spero l’abbiate visto tutti. Inutile che mi dilunghi ma il brodo allunghiamo, basta che non sia di tua moglie, una gallina comunque da spennare e usar come dado per i miei baci dardeggianti nei tempi di magra. Amo il magro, sì. Asciutto. Immaginiamo ché l’immaginazione non ha confini né limiti, è sconfinata, appunto. Spero anche appuntita se proprio acuti non vorrete (dis)illudervi né nei falsi buonismi a riccio chiudervi. Le ansie dei frustrati creano mostri e i mostri van lottati nello stesso campo di battaglia. Non accampate scuse, vi conosco. State sempre sul chi va là, proprio nei vostri accampamenti, anzi scomodissimi appartamenti. Ma che vi appartate? Non pensate che, così facendo, alla bontà v’apparenterete. Vi conosco, è solo sfrontata, doppiogiochista apparenza laida e viscida. Take off your mask di ribaltamento sorprendente! Ah, patetismo dei vostri (in)dotti catechismi da indottrinati che domandate lamentosi alla divin provvidenza che vi faccia la grazia per portarvi a letto delle graziose. Guardatela in faccia e, senza pudori, fottetevela!

Non inibitevi, moralistoni da pistolotti, secondo me solo dei pistoloni, meglio la pistola di grilletto, che son queste castrazioni che credete “ludiche?”. Ma quale chimica! È la biologia dei corpi che m’interessa. Il resto è solo un sofismo peggiore di quel coglione di Freud, uno a cui la madre deve aver dato non pochi problemi, “ciucciandoselo” in un Edipo mai visto e co(s)mico! Il pianeta dei giocattol(a)i è (s)finito da un pezzo sol che di merda, il primo che v’ha ferito e voi accusaste il “rospo” dei suoi colpi, ammutolendovi nel silenzio del reggergli il “gioco”, e non ci son “castelli di rabbia” alla Baricco che possan tenere dirimpetto alla veritas. Tutti ammennicoli e gingilli per sfuggire dalle vostre paure, dalla vostra profondità, dal naked lunch ché così dev’essere! E non ci sono ragioni! E questo è! Così l’ho scritto e sia fatto. Sfacciato! Ma che volete farmi? Il piacere fatemi! E fatevi la fata per una buona volta. State sempre appresso a delle streghe da cipressi. Ah, camminando con la zoppa nel cervello, poca “acqua” porterà al vostro mulinello, è una matta che vi annegherà per condurvi al cimitero. Datemi retta. Una botta e lasciatela crepare! Non siate asini ma dateci con le mule! Non muratevi con quella laureata in lettere, una mezza frigida che trova consolazioni nell’insalata per non ingrassare e si sta solo abbuffando di libri da filosofici voltastomaco. Che schifezza di donna! Ma levatela dalle palle! Che vuol filosofeggiare? Ma che scopi come Dio comanda! E poi a lavar i piatti! Una povera piatt(ol)a, senza fantasia.

Sì, “sudatevela”. Tutta dentro. Senza remore. Tu, che fai al timone? Vuoi trombare? E allora beccati la trombetta. In bocca riceverai solo questo, il mare per te si fa abissale! Chiudi il becco e affoga! Io invece me ne freg(i)o. Son solare, suadente, decadentistico, col mantello dell’anima che sventola imprendibile nel vento, ferocia di volto raggrumato in rivoli di virilità, anche di cattiveria “buona”.

Ecco, un mio amico è rimasto stupefatto dal mio “Il cavaliere di Alcatraz”, ha acquistato questo libro del sottoscritto e n’è rimasto impressionato. È la storia di un personaggio che vagamente assomiglia a Clint Eastwood. Praticamente, me stesso. Finito nel carcere più duro del mondo per motivi che capirete solo leggendolo. Ma qualcosa di profetico e messianico si scuote dai remoti antri della sua anima, dai rigidi anfratti delle istituzioni (ba)lorde, e si scatena un apocalittico terremoto. La salvazione di chiunque, la libertà! Il distruggimento di tutti i reggimenti, delle mentalità ottuse e belligeranti anche sol di vetusta ideologia immondamente esecrabile. Da condannare. E, come Cristo, perdona tutti, anzi dona loro un regalo immenso! Li fa evadere, senza “giustificazioni” imprigionanti che tengano! Si fottano!

E sto ora, sollecitato dal suo “solletico”, scrivendo il seguito.

Sono un inventore di parole senza prole, Dio me ne scampi dall’aver figli. Come Rust, desidero il sesso rustico senza anelli di fidanzamento. Sarò l’anello mancante fra la scimmia e l’uomo? Chi se ne frega? Basta che stia in mezzo senza esserle della vecchiaia il “bastone”. Mi faccio cucinare un uovo, la strapazzo un po(r)chetto e poi mangio il sughino. Finito che ha di succhiarmelo, la mando a cagare.
Sono uno stronzo!

Se mi fate incazzare, divento un bestione. E non mi basta mai!

Sì, sono il lucky bastard.

E voglio, per allietarvi, dolcemente cullarvi con una stronzata di gran levità. Basta evirarvi!

A briglia sciolta da sregolati vi voglio!

 

Situazioni kafkiane

Non so se avete mai letto “Il processo” del nostro Franz. Miscelato genialmente nella trasposizione “stroboscopica” del maestro Welles, specializzato nel guardar alle piccinerie della vita da una prospettiva ingigantente per sminuire l’enorme tragedia del grottesco, minuscolo cotidie vivere.

Ecco, il nostro “pyschoPerkins, nell’omonima pellicola dell’enorme Orson, vien accusato da dei “guardoni” di un crimine da lui mai commesso. Povero “messo” impiegatizio indagato dallo stesso apparato burocratico per cui lavora. Vai a far i conti da “ragioniere” e t’incriminano ché a lor “direttori”, non tanto dritti, non torna qualcosa sul suo conto. Mah, anche se non tornasse, io spero sempre nel ritorno di Dracula, il Conte. Uno che se ne frega delle banche ma, dissanguato, diventa sempre in volto più bianco. Da cui la mia filastrocca azzannante di “freddura”:

il Conte ama i corvi nella notte lunga

e coi lupi,

succhiando i virginali colli femminei,

“lunghissimo” s’avvoltola da creatura col suo creaturale cantico.

Che culo! E pure ulula con lei là! Trallallero!

Mica la vostra vita di tran tran.

Dorme nella bara,

non tanto al calduccio

perché in Transilvania si gela

e impallidisce ogni giorno di più

delle donne che allupa,

golosamente leccando le lor gole

prima di tornar nel suo antro silenzioso

e anti-sonorizzato ove,

anche se si sgola,

nessun lo ode

nemmai lo udiranno

neppur quando lo decolleranno!

 

Nonostante tutto,

a suo modo se le gode.

È tutto (fa) sangue che cola,

poco grasso, cari smargiassi.

Eppur il Conte tutte magna!

Dracula però dimagrisce a vista d’occhio!

Cazzo!

Sempre più magro e sexy come la cera,

tanto magro che una volta c’era

ma ora non lo vedo,

sarà un fantasma?

Attenti però al lupo,

non è facile ammazzarlo.

Devi ficcarglielo nel cuore!

Stai accorto al paletto di avorio

se non vuoi che i canini…

t’impallinino

più del suo pallore,

caro gonfiato pallone

d’un Van Helsing

sbranato!

Il Conte,

insomma,

si fa i suoi,

tu pensa agli affari tuoi

e buonanotte

a prescindere

dal coprifuoco!

 

Tale filastrocca, da me inventata di “sana” zucca e pianta, fa schifo? Io direi che è impresentabile ma l’importante è suonarsela, da cui il Conte che se la canta e lei, tutta ignuda, ci sta a novanta!? Mica tanto.

 

Ecco, la situazione kafkiana è questa.

Uno telefona alla polizia per sapere come stan procedendo le indagini, dopo che sporse denuncia per esser stato preso d’assalto da uno stalker “anonimo”, il quale, a quanto pare è d’obbligo in tal “caso”, vorrebbe ucciderlo.

La poliziotta gli risponde che non esistono denunce a nome del telefonante.

Colui che sta telefonando, allora, tira fuori la denuncia per farle il fax a dimostrazione che la denuncia c’è, eccome, nonostante risulti assente-presente da non morto vivente.

Desidera che all’anonimo facciano il culo.

La poliziotta acconsente, non gliela dà, e pazientemente attende il fax del già fu denunciante e credo presto di aldilà spia(nte) preterintenzionale.

– Ah, sì, ecco il suo nome. Ma questo è il nome di chi ha fatto la denuncia, lei mi aveva detto che voleva sapere a che punto eran le indagini a suo nome. Mi spiace deluderla, non esiste nessun mio collega che ha il suo nome. Quindi, per me finisce qui.

Si rivolga allo specchio.

La saprà consigliare meglio di me, visto che io non l’ho mai vista, invece il suo specchio conosce il suo doppio.

Arrivederci, buona serata.

Comunque, le consiglio una camomilla in caso di altri attacchi.

 

Al che, Rust, dopo aver ammazzato il cattivone, mette su Celentano e canta “Pregherò!”.

Perché è nato così.

E ricordate: Rust ne sa una più del diavolo, ha le corna in testa ed è libero come un cervo.

Ah, voi invece avete delle brutte cere. Una volta c’eravate, adesso state piegati a dar la cera.

Ma, per lasciarvi in bellezza, miei bruttoni e voi, racchie da prender a racchette, voglio raccontarvi questa.

L’altra sera, si avvicina una bella donna.

– Piacere, sono un’architetta. Tu?

– Io non sono nulla ma mi piaccion le tue tette. Come (lo) facciamo se alla mia casa manca un tetto?

– Hai un letto?

– No.

– Niente, scusa.

– Non trovar delle scuse. Costruisci una casuccia e fammi una cosa carina, ok?

La lasciai con un palmo di naso ma comunque la “spalmai” da sfollato in lei messo in folle.

Al che, un mio amico mi chiede che tipo crede che io credo lui sia.

– Non ho credenze ma ho il pane nella credenza.

Tu come stai messo a “pene?”.

Bene o male? Non fare il cazzone.

– Sei omosessuale, vuoi scoparmi?

– Vai a dar via il culo!

 

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