Attimi di poesia inesausta, forse nefasta

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Gli eventi della vita, anche se negativi, ti fortificano. Giungono notizie che dovrebbero abbattere il tuo morale e invece, nella complessità della lor assurdità e degli strani (di)segni del Fato, alle volte paradossalmente misericordioso, t’illuminano per guidarti in spazi confinati di altera, fors’anche alterata, libertà. Una libertà maestosa che io sviscero, enucleo, enuncio ampiamente nella poesia, nella creazione di qualcosa di nuovo. Molti, che mi conoscono approfonditamente, non essendosi limitati a visioni paralizzanti e assai limitate, pregiudiziali, mi considerano un genio, e io in tutta modestia non so se appartenere a questa fascia di luminari. Mi mantengo integro, e la mia integrità morale mi serve di slancio, per non corrompermi in una società ingorda e cinica che vorrebbe, violentemente, con gli abusi e ricatti più biechi, annetterti alla comune massa, mangiatrice cazzate, puttanesca, cinica laddove non occorre, spezzante il tuo io più artistico e dunque illibato, pulito da tanto chiasso, dall’isteria che invece par muovere la gente verso la frenesia più raccapricciante. Sì, con gli anni, dopo tante sofferenze, patite, indotte o non “importanti”, mi son creato equilibri grandiosi, ariosi, fantasiosi, nella scrittura, un modo che ho per imprigionare i miei dubbi, le mie angosce esistenziali, per cementarmi in qualcosa che sia vita pura. Osservo con riluttanza e repulsione quelli che sono diventati dei burocrati delle notizie, e hanno trovato, o si sono “inventati”, lavori da “giornalisti” delle news più effimere, di quelle “cose” da leggere per distrarre soprattutto la loro noia. E rimango basito, turbato, esterrefatto da quella finta compostezza che elargiscono “educatamente” nel dispensare pillole di “verità” inesistente, vivente, dunque morente, di “dignità” vacue, maschere che indossano per farsi accettare. Com’è bello invece non farsi accettare bensì acquietar sé stessi nel “nuoto” anche delle disperazioni, frusciare nel marasma, acchiappare istanti di creatività e porgerla gentilmente a chi s’apprezzarla, libero, come me, da infingimenti, da schemi castranti, da miopie percettive, da quelle distorsioni borghesi che paiono invece contentare tanto l’uomo medio, assorbito dal traffico, dall’ilarità secondo me più mortifera, da quel vivere osannando velli d’oro, sbandierando “vessilli” figli di una cultura arrivista e, in fondo, menefreghista del prossimo. Avidi progetti del mio magma mentale mi “assistono”, preservano dal porcile, e spero presto di potervi donare altri libri, liberi, di mio scibile, che non è mai presuntuoso, che umilmente non ha nulla da insegnare, che non è retorico, che non è mai banale anche quando “parla” di banalità e di “infime” quotidianità, così detestate appunto dall’uomo conforme allo schifo “capitalistico” e da caporali in generale.

Così, in questo periodo denso d’incognite, anche di sfilacciamenti della mia coscienza, sempre cercatrice del vero, rinvengo una recensione del mio Il cavaliere di San Pietroburgo…

A tratti ricorda Il profeta di Gibran, in certe parti c’è la suspense creata da un abile scrittore di gialli. La pagina 83 (cioè l’inizio del capitolo 12) è di straordinaria poesia. Alcuni riferimenti “personali” si trovano già in altri suoi scritti ed interrompono la tensione, perciò, a mio avviso, inopportuni. I libri di Stefano Falotico poi, si possono interpretare, paragonare, confrontare, sviscerare come il dibattito di un cineforum: una qualità difficile da trovare in altri autori anche più quotati. Assolutamente da leggere.

di Stefano Falotico

 

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