Stranger Things 2, la recensione

Stranger Things

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STRANGER THINGS 2

Ebbene, serie fenomeno dell’anno scorso quando, nel bel mezzo di un’Estate afosa, fece breccia negli spettatori di ogni generazione, imponendosi come “antologia” culto… è indubbiamente un capolavoro imprescindibile questo pastiche straordinariamente architettato dai lungimiranti fratelli Duffer, all’apogeo di una creatività vulcanica, che trascende il puro effetto nostalgico del sincretismo culturale che va da Stephen King a Spielberg, dal Cinema meraviglioso per ragazzi degli anni ottanta al fumetto fantastico sino all’horror più “slapstick”, funambolicamente con picchi comici, sì, nella migliore tradizione di Joe Dante e dei suoi gremlins, qui incarnati dai demogorgoni, creature del Sottosopra, della quarta dimensione mefistofelica di tutto un immaginario colorato, spaventoso, magmatico nel suo esplodere di omaggi, citazioni, sotto-testi. Una geniale commistione di generi, dalla pellicola di formazione alla Stand by Me, a Saranno famosi, sì, c’è anche questo in tal lavico furoreggiare dei due fratelli “terribili”. Cosicché quest’operazione, lodevolissima, vetta di tutto ciò che abbiamo sempre sognato, questa favola “crudele” dilatata, spaccata in tanti puzzle, “sviscerata”, diluita nella mappa di Hawkins che si fa topografia variopinta dei nostri incubi nostri ancestrali, squarcia il giudizio fra gli estimatori e i detrattori accaniti che, prevenuti, continuano orrendamente a snobbarla, definendola solo una “merda” per nerd e passatisti.

Io, si è ampiamento capito, sono fra quelli che l’appoggiano in maniera enorme, incensandone le doti mirabili, estasiandomi per il ricco cast(ing) perfetto ove ogni faccia è miracolosamente al posto, segmento, pezzo giusto, “fisiognomico” tassello del magico, poetico quadro d’insieme, così omogeneo nelle sue imperfezioni da espandersi armonicamente dopo la visione nei nostri sogni infantili, malinconici, in una trama, sì, con parecchi buchi, ove non tutti i conti tornano, ma così spericolatamente, “ingenuamente” guidata dalla mano inventiva dei fratellacci da farci gridare di entusiasmo anche quando la banalità parrebbe prendere il sopravvento.

Inutile ribadire le qualità attoriali di un parterre ove, se Winona Ryder reitera comunque con efficacia le sue smorfie e le sue urla da madre disperata, lo sceriffo tutto d’un pezzo di David Harbour mostra qui il suo lato umanissimo, commovente, “adottando” Eleven/Jane (la Bobby Brown prodige) in una casa nel bosco da fiabe di Andersen. E Sean Astin è una faccia amica dalla simpatia contagiosa.

E in questo fiabesco favoleggiare Stranger Things imprigiona ipnoticamente i nostri sguardi, emozionandoci con semplicità anche quando ricorre a trucchi speciali “animatronici”, proponendoci una galleria di personaggi indimenticabili. Se nella prima stagione emergeva il villain Matthew Modine, qui “cameizzato” come orco ancor più cattivo e Dr. Frankenstein agghiacciante, in questa seconda, prominente e chiave è il grande Paul Reiser che recita il suo ambiguo ruolo di “medico” con sopraffino carisma (da) monstre.

È anche fotoromanzo, i ragazzi s’innamorano e si lasciano, e il mitico Matarazzo (a cui andrebbe un premio speciale) s’impone come elemento buffo, tenero e pagliaccesco, mentre i fratelli Duffer portano a casa un altro gioiello dalla cornice suadentemente sontuosa. Sì, non è solo operazione furba a tavolino, c’è vero cuore, c’anima, ci son le nostre paure, c’è la poesia dei ricordi, la forza visionaria dell’incredibile. E noi amiamo emozionarci con questo, in noi stessi, in quanto uomini-bambini, creature del cielo del pindarico volare nella fantasia.

Arcobaleno…

 

di Stefano Falotico

 

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