La forma dell’acqua

Guillermo del ToroEbbene, come tutti sappiamo, La forma dell’acqua (The Shape of Water) è stato il dominatore assoluto di questa stagione cinematografica, trionfando alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ove, sbaragliando la concorrenza, è stato insignito del Leone d’Oro da un’entusiasta Annette Bening, presidentessa di giuria, e continuando la sua inarrestabile ascesa sin a guadagnarsi 13 nomination all’Oscar e vincendone quattro, fra cui Miglior Film e Miglior Regia, e ottenendo quasi tutti i premi annessi e connessi.

Ma, al di là dei trionfi e degli sperticati elogi della Critica soprattutto statunitense, ben fiera di aver finalmente incoronato Guillermo del Toro e aver consacrato la sua carriera, il film non è certamente piaciuto a tutti, dividendo il pubblico fra chi l’accusa di essere un film troppo buonista e sdolcinato e chi invece, ammiratore sconfinato del suo regista e della sua poetica, l’ha difeso a spada tratta, lodandolo forse oltre i suoi effettivi, reali meriti e le sue indubbie ma contestabili qualità.

Sullo sfondo della Guerra Fredda, c’è in questa America immersa in atmosfere nostalgiche e dal sapore magicamente retrò, una donna muta che par provenire dal mondo fiabesco di Jean-Pierre Jeunet e cristallizza, incarna a livello espressivo e nella sua marginalità, nella sua malinconia da diversa ed esclusa, quel tipo di personaggio tanto caro al mondo di Tim Burton.

Si chiama Elisa Esposito (Sally Hawkins) e vive sopra un Cinema in cui non va quasi nessuno, e l’unica sua compagnia è costituita da un anziano signore designatore (Richard Jenkins), anch’egli abbandonato da tutti dopo che è stato licenziato dalla compagnia per cui ha lavorato per tutta la sua esistenza, e dalla sua collega nera (Octavia Spencer), una donna delle pulizie come lei. Entrambe puliscono i cessi in una facility governativa, un prominente edificio misterioso ove inappuntabili agenti lavorano a esperimenti segretissimi.

Un bel giorno, in questo laboratorio degli orrori, arriva un ospite inatteso, una creatura mostruosa dalle forme anfibie, tolta dalla cattività per essere studiata inquietantemente dai nostri cervelloni, che fanno capo al terribile e sadico Strickland (un odioso Michael Shannon).

Pian piano, stando attenta a non farsi scoprire, con la sua timida discrezione e non certo senza titubanze, Elisa comincia ad avvicinarsi al mostro, gli dà da mangiare e presto addirittura comincerà a innamorarsi di lui. Perché questo mostro la vede per quello che è, non ha sovrastrutture e non è come tutti gli altri che invece la commiserano e la trattano da povera reietta. Per lui lei non è invisibile, ma semplicemente una creatura umana, sì, umana. Nella sua delicata nudità.

A volte il film zoppica e il rischio di apparire troppo artificiosamente sentimentalistico è sempre dietro l’angolo, è un elogio naïf alle solitudini degli emarginati, alle persone ripudiate dalla società che “conta”, alle anime che, incantate dai loro meravigliosi universi emotivi, oramai accecate soltanto dallo splendore incontaminato delle loro emozioni quasi mai condivise, vivono con lodabile dignità la loro insopprimibile solitudine, l’inestinguibile, inascoltata ma imponente, struggente e graziosamente armonica levità delle loro incorrotte intimità.

E in quest’ottica il film va interpretato, una favola morbidamente nera e soave, non priva anche di momenti horror e grotteschi, sulla poesia di chi apparentemente non è nessuno in questo mondo sopraffatto dal cinismo e imperato, signoreggiato, comandato burocraticamente dal moto dell’efficienza falsamente vincente e opprimente.

Leggero, perfino banale, scontato e con un inevitabile, zuccheroso lieto fine.

Non perfetto, non un capolavoro, ma un film importante. Che piaccia o meno.

Come abbiamo imparato dai grandi cantori delle fiabe nere, insegnatori della morale, quasi tutti i racconti fantastici hanno un cattivo che sembra invincibile, un mostro che mostro non è, e tante figure di contorno alla ricerca della loro speranza. La speranza di poter vivere e amare, amarsi, al di là delle mostruose cattiverie, di voler lottare indomitamente per la propria vita e per le proprie intatte, infrangibili emozioni. In silenzio, nel respiro dei propri profondi oceani, dei sommersi mari…

 

 

 

di Stefano Falotico

 

Shape of Water shape of water 2

 

 

 

Lascia un commento

Home Guillermo del Toro La forma dell’acqua
credit