Benvenuti a Marwen, recensione

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Ebbene, in concomitanza con l’uscita in Blu-ray del prossimo mese, recensiamo l’ultima pellicola di Robert Zemeckis con un superbo Steve Carell, ovvero Benvenuti a Marwen.

Ingiustamente, il film più sottovalutato dell’anno, soprattutto dalla sbadata, superficialissima Critica americana.

Questa la sinossi ufficiale allegata al disc che qui copiamo e incolliamo. Sinossi che sintetizza in maniera esemplare la trama, pur tralasciando qualche rilevante snodo narrativo che, naturalmente, per chi non ha ancora visto il film, non ci sentiamo di rivelare:

Mark Hogancamp mette in scena nel proprio prato le gesta di un suo alter ego di nome Hogie in un fittizio villaggio belga, durante la Seconda Guerra Mondiale. Hogie è un pilota americano in lotta contro i nazisti e protetto dalle donne di Marwen, che sono poi la trasfigurazione delle donne che hanno aiutato Mark durante la sua terapia. Egli è infatti reduce da un pestaggio di natura omofoba e da una lunga ma insufficiente riabilitazione, tanto da aver perso sia la memoria sia la capacità di disegnare. Elabora la tragedia, fotografando le scene che crea nel giardino, con bambole di donne eleganti e action figure di soldati. Quando arriva una nuova vicina, Nicol, Mark cerca di raddrizzare la propria vita e di liberarsi dalla dipendenza dagli antidolorifici.

Mark Hogancamp è interpretato da Steve Carell e Nicol dall’avvenente, dolce Leslie Mann.

Il film è tratto da una storia vera, leggermente romanzata (ma neanche tanto a dire il vero) dallo stesso Zemeckis e dalla sceneggiatrice Caroline Thompson (Edward mani di forbice, La famiglia Addams, Nightmare Before Christmas).

Che hanno attinto a piene mani dalla stramba, agghiacciante e al contempo prodigiosa vita dell’omonimo “fotografo senza memoria” Mark Hogancamp. A cui è stato dedicato anche un documentario, Marwencol.

Marwencol inizialmente doveva essere infatti anche il titolo di questo film di Zemeckis. Il quale poi, per non creare disambiguazioni, ha preferito il definitivo Welcome to Marwen. Scartando il working title The Women of Marwen.

Permettete a chi scrive questo pezzo di fare una considerazione e giocare di affascinanti parallelismi fra il Cinema di Zemeckis e quello di Eastwood. Due registi eccezionali entrambi, come sappiamo, totalmente ignorati all’ultima edizione degli Oscar per i loro rispettivi film.

Gianni Canova ha definito Zemeckis il più grande regista immaginifico odierno. Dotato di una poetica incontrovertibile. Pari, per potenza espressiva, a quella di Clint Eastwood.

Due cineasti molto diversi, Zemeckis ed Eastwood. Eastwood è un cantore nel neorealismo poetico, è cinico, schietto e obiettivo nelle sue crude osservazioni talmente romantiche da diventare quasi insopportabili poiché troppo vere.

Zemeckis è altrettanto realista pur camuffandosi dietro espedienti digitali altamente sofisticati, fra live acton e motion capture impressionanti per assoluta verosimiglianza.

È un creatore di finzioni attraverso cui riflette sul potere incantatorio, taumaturgico del Cinema. Ché la Settima Arte a sua volta è una macchina ludicamente fantasmagorica che catalizza il mondo nelle sue micro-storie dilatate a visione umanistica. Nel suo prospettico caleidoscopio, si espande a rifrangenza iperrealista e al contempo surrealista.

Discorso complesso, lo so.

Ma, da sempre, a eccezion fatta forse del suo semplicemente picaresco e avventuroso All’inseguimento della pietra verde, (il seguito, Il gioiello del Nilo, attenzione, è di Lewis Teague), Zemeckis, con la sua celluloide fantasiosamente iperbolica, ha vivisezionato ed enucleato le nostre paure di esseri umani catapultati in questo mondo tremendamente stupendo nella sua ferocissima atrocità, nella sua ferina brutalità.

Coi suoi ingegnosi marchingegni visivi apparentemente di plastica, il grande Bob ogni volta c’illumina, ci emoziona, ci stupisce.

Non sempre azzecca appieno il film giusto, talvolta sbanda. Ma è tipico di ogni artista eccedere, sbagliare la mira, non centrare perfettamente il bersaglio.

Ma l’artista è questo. Non è obbligatorio, anzi, sarebbe disumano che impeccabilmente indovinasse il capolavoro assoluto.

Già, ContactLa morte ti fa bellaLe verità nascosteCast Away sono bei film. Ma peccano, rispettivamente, di troppe esagerazioni.

Contact è una riflessione sul tempo, sul futuro, sulla morte ma a volte si fissa in misticismi new age d’aria fritta, in lirismi d’accatto, rimanendo in superficie. A differenza, appunto, di Hereafter di Eastwood.

La morte ti fa bella, al di là delle mirabolanti prodezze della computer graphics di allora, è indubbiamente una pacchianeria smodata, sostenuta soltanto dalla verve di Meryl Steep e di Goldie Hawn, dalle bellissime gambe d’Isabella Rossellini, peraltro doppiata nella scena del nudo posteriore dalla magnifica Catherine Bell.

Le verità nascoste, sostanzialmente, un film noioso, un’hitchcockiana fesseria con un Harrison Ford imbalsamato e legnoso. Retta solamente dal fascino immortale di Michelle Pfeiffer.

Cast Away… lasciamo perdere.

Forrest Gump è uno dei suoi film più famosi, quello oscarizzato. Quello più citato, parodiato e visto da chiunque.

Ma è, a conti fatti, un’elegia fake, una zuccherosa bugia. Gente come Forrest, a questo mondo, no, non incontrerà mai il Presidente degli Stati Uniti e non sposerà la sua bella principessa nel suo ultimo sogno meraviglioso.

Gente come Forrest la trovi in qualche centro di salute mentale, derisa da mattina a sera da qualche bifolco.

I film più belli di Zemeckis sono Flight, nonostante le sue tante imperfezioni, A Christmas Carol con uno straordinario, commovente Jim Carrey. Geniale rielaborazione del classico per antonomasia di Charles Dickens (ancora Dickens, come nel già succitato Hereafter).

Ovviamente Chi ha incastrato Roger Rabbit, mi pare perfino pleonastico evidenziarlo, e che ve lo dico a fare? Ritorno al futuro.

Chi l’ha detto, dove sta scritto che quel nero non possa davvero diventare il sindaco?

Chi l’ha detto che George McFly non possa diventare lo scrittore di fantascienza più bravo del mondo?

Infine, questa sua ultima opera molto toccante. Forse troppo feticista, talvolta superficiale, manichea, ma profonda: Benvenuti a Marwen. Un altro insegnamento morale strepitoso, cioè questo:

ognuno al mondo è libero di vivere come vuole, è libero di crearsi il suo mondo, è libero di vivere di fantasie, di crearsi la sua realtà.

Perché, in fondo, tutti noi, anche i più nazisti, quelli apparentemente più bastardi e intransigenti, più intolleranti e cattivi, senza il loro stupido mondo idiota, eh già, non saprebbero vivere. E non sarebbero niente e nessuno.

Perché la realtà di ognuno di noi è relativista, solipsistica, un viaggio che, come diceva Rust Cohle di True Detective, forse si è svolto soltanto nella nostra mente.

Il resto è melensa retorica. Sia di Destra che di Sinistra.

Mentre il Cinema di Zemeckis, malgrado le sue spettacolarizzazioni a volte indigeste, no, retorico non lo è mai.

Sì, il Cinema di Zemeckis e quello di Eastwood sono più simili di quanto potrebbero sembrarci di primo acchito.

D’altronde, vi ricordate la battuta di Michael J. Fox in Ritorno al futuro – Parte III?

– Come ti chiami, pivello?

– Mart… Eastwood, Clint Eastwood. 

Dunque, Benvenuti a Marwen, pur difettoso e qualche volta artificioso, è un film bellissimo.

di Stefano Falotico

 

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