“Il commissario Lo Gatto”, recensione

Sentimi bene, paraculetto

Sentimi bene, paraculetto

L’affare si complica, la pist(ol)a si allunga… ma Lo Gatto è una “belva Si ha uno strano senso della morale e una strana morale dei sensi… dunque dei seni, delle insinuazioni, degli intrighi, dei depistaggi, degli scenari inventati, del Vaticano e del Papa con l’alibi dei lanzichenecchi, di Andreotti più gobbo della solita Italietta di mafiette, Favignana, isola di bagnini a(ni)matori con il “sangue alla testa”, un Craxi nel finale caricaturale su Thatcher di ferro ad “aspirapolvere” come canna… format televisivo d’attentato. Un’avventura tragicomica come la valigia piena di rabbia per dirla alla Natale/Lino, all’anagrafe Pasquale, sempre infelice, ruspante e verace di meridionalità “al dente”, raffinato come un Micheli sciancato fra equivoci e un piede equino, Vito Ragusa trapiantato da Trapani d’accento torinese su eco… terrone in “rose”. Il film si basa sul carisma pugnace e pugliese del duttile Lino, commediante che massaggia la sua capa con ire da noce di capocollo celeberrima. Qui, la vittima (non) morta ammazzata è Wilma Cerulli, la Russinova Isabella proprio tinta di rosso versione Milva. Sgamba di cosce su figa intravista nel bazooka dell’armatore, mentre Banfi è “incasinamento” fra scimuniti rimbambiti con violini Stradivari, un alberghetto “bruciante” fiamme peccaminose di tre donne da Mario Puzo, forse puzzolenti ma “tanto” affettuose, di “zucchero” calienti e un Ferrini nella parte di Gridelli, “Watson” d’un elementare Dino Risi efficace. Le musichette leggere e “rinfrescanti” da hit anni 80… ecco che “allietano” l’operetta, scaldano la prevedibilità ambient del Sud brullo, con carotide della Madonna per ingrediente one man show in Banfi “manesco” eppure deduttivo quanto un idiota. Dino Risi dirige e sceneggia le scenette con Enrico Vanzina di “penna”. Poteva essere un grande film, le cessioni alla grana grossa si salvano grazie alla “classe” comunque unica d’un Banfi appunto strepitoso, che sorregge la baracca rocambolesca, la puttanata fra vacconi con la sua verve mimica, si catapulta in una storiella più piccola e grande di lui, regge la pancia degli spettatori da istrione abbronzante con stronzate memorabili. Un film che, nonostante il suo “nulla”, “indriga” per dirla alla Micheli. Vado ora a sciacquarmi le (s)palle. Anzi, la pelle. Eh eh, sono banfianesco! (Stefano Falotico)    

 

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