IL COMMISSARIO MAIGRET e la giovane morta, recensione

Depardieu Maigret

Ebbene oggi recensiremo un film straordinario e, ahinoi, passato quasi del tutto inosservato e dunque, al momento, ai più misconosciuto, ovvero l’affascinante ed elegante Il commissario Maigret e la giovane morta, il cui titolo originale è semplicemente Maigret. Ispirato, ovviamente, all’omonimo e celeberrimo personaggio creato dalla penna di Georges Simenon, già portato innumerevoli volte sul grande e piccolo schermo (celebre, per esempio, l’incarnazione e la caratterizzazione che ne diedero Jean Gabin, oppure Gino Cervi, e fu impersonato, peraltro, anche dall’insospettabile Rowan Atkinson), per l’occasione, Il commissario Maigret e la giovane morta è un opus perlaceo, con raffinatezza diretto da Patrice Leconte (L’uomo del treno) e da lui stesso sceneggiato assieme a Jérôme Tonnerre. Ivi, Maigret è interpretato da nientepopodimeno che il grande e sempre carismatico, intramontabile ed eccezionale Gérard Depardieu.

Il commissario Maigret e la giovane morta dura soltanto un’ora e ventinove minuti netti ma appassiona decisamente in virtù, ripetiamo, della sofisticatezza registica, della bella prova di classe del suo attore principale e anche per via dell’inquietante eppur avvincente trama, ottimamente snocciolataci, e del suo veloce intreccio alla fine, naturalmente, svelante l’enigma della vicenda narrataci e, ça va sans dire, già espostaci e qui ridotta per tal adattamento notevole. Ovvero la seguente, sottostante brevemente accennatavi e testualmente trascrittavi dalla sinossi di IMDb, adattata dall’omonimo giallo, importante specificarlo e ancora sottolinearlo, giustappunto di Simenon, per l’esattezza intitolato Maigret et la jeune morte.

A Parigi, una giovane ragazza viene trovata morta in una piazza parigina, con indosso un abito da sera. Il commissario Maigret cercherà di identificarlo e poi capire cosa è successo alla vittima.

Trasposizione piuttosto fedele del romanzo originario, corrispondente al 45° libro della serie dedicata a questo characterIl commissario Maigret e la giovane morta, pur non essendo certamente un film capolavoro o ascrivibile alla storia delle migliori riduzioni cinematografiche del personaggio in questione, come dapprima dettovi, è ampiamente godibile e si distingue per la sua ricercatezza formale, in particolar modo per la chiaroscurale fotografia magistrale di Yves Angelo, spiccando per bellezza dei dettagli e per le sue sobrie scenografie impeccabili, aggiudicandosi meritevolmente un posto d’onore all’interno della sterminata galleria di lungometraggi inerenti quest’importante personaggio. Sorretto da un Depardieu misuratissimo e con la sordina, ben lontano e, a livello recitativo, antitetico rispetto alle sue prove attoriali più eccessive e troppo istrioniche e/o colorite, assai efficace e inappuntabilmente calzante per la parte assegnatagli, dominato dalla presenza dell’ipnotica e dolcissima Jade Labeste, giustamente annoverabile e mirabile fra un cast eterogeneo in cui sono perlomeno da citare anche Mélanie Bernier, Clara Antoons, Élizabeth Bourgine, André Wilms e Aurore Clément, Il commissario Maigret e la giovane morta si gusta tutto d’un fiato e, sino all’ultimo, perdonateci per il voluto gioco di parole, ci lascia col fiato sospeso. D’altronde, com’è doveroso che sia per ogni noir che si rispetti e avvinca. Se siete sinceramente stanchi di Maigret e pensate sia un personaggio oramai inflazionato e insopportabilmente propostoci sin allo sfinimento, se odiate i film francesi ove succede tutto anche quando sembra non accadere nulla di rilevante, poiché sono pellicole perlopiù basate sul fine gioco di sguardi, pregne di dialoghi ficcanti, incentrate sulle psicologie comportamentali e le dialettiche schermaglie, lasciate perdere. Inoltre, c’eravamo dimenticati di dirvi che Il commissario Maigret e la giovane morta è stato girato appositamente in modo lento e demodé, perciò, malgrado la sua cortissima durata, apparirà soporifero da morire a chi non è abituato a ritmi degni del Cinema d’una volta. Un Cinema ove non è tanto la trama a contare, bensì son le atmosfere a primeggiare e son imprescindibili e messi in evidenza i piccoli gesti a prima vista insignificanti. Detto ciò, è Leconte purissimo. Leconte è così, moltissima forma ma i suoi detrattori pensano che un film, per di più in tal caso un giallo, privo d’un intreccio complicato, sia un male. Forse si sbagliano.Maigret Labeste

di Stefano Falotico

 

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