OPPENHEIMER, recensione

Nolan Oppenheimer Murphy Nolan Cillian Murphy

Ebbene (intestazione tipicamente mia, assolutamente dunque personale, di certo opinabile ma voglio sempre apostrofarvi, no, approcciarmi a voi, lettori, in tono confidenziale), come volevasi dimostrare, lo spettatore medio s’è subito precipitato in sala per assistere, condizionato dal potente battage pubblicitario inneggiante a Nolan oramai da tempo immemorabile, giustappunto, per assistere all’ultimo opus del regista di Inception. Quest’ultimo film, peraltro, fra i più sopravvalutati delle ultime due decadi così come, parimenti, la filmografia nolaniana quasi in toto. Che puzza, a mio avviso, sempre indissolubilmente di artificialità, no, d’artefatta grandeur non poco tronfia e insopportabilmente retorica. Nolan, al solito, ivi non si smentisce, riproponendoci senz’alcun guizzo d’originalità i suoi stilemi “arty” da cineasta montato, da me invece smontato e non per far il bastian contrario. Semplicemente perché non mi va a genio mentre la massa informe, naturalmente uniforme e piatta, lo consideri quasi unanimemente un intoccabile, totemico genius in forma indiscutibile. Suvvia, non scherziamo, è un furbissimo e poco simpatico cialtrone, un imbonitore del gusto medio e conformistico fra i più commerciali che maschera la sua pochezza e la sua pressoché totale assenza di poetica e cinematografico sguardo autentico, veramente passionale, dietro un’immensa coltre, per l’appunto, a base di studiata e fredda calcolazione e dietro una facciata da artista filosof(ic)o dei poveri. Malgrado sempre più s’arricchisca in maniera esponenzialmente atomica, sfruttando la dabbenaggine del suo popolo di tonti aficionados da lui manovrati e perennemente buggerati a cui fa credere di essere il Kubrick odierno. Ma per carità, poveracci(o)! Oppenheimer, infatti, altri non è che il biopic di sé stesso magnificato, trasfigurato e personalizzato, tramite un cervellotico processo d’identificazione psicologico, adattando(si), in forma solipsistica e romanzata, la “storia del realmente esistito, raccontato però a modo suo, Robert Oppenheimer, obviously. In poche parole, specialmente spicciole, per spicciarmi più che altro e per farvi capire sinteticamente in modo conciso e preciso la questione riguardante tale volpone inenarrabile, costui, pur narrandoci le zone oscure dell’inventore dell’atomic bomb, celebrandolo, comunque sia, come un assoluto genio coi suoi tanti difetti, altresì con i propri immani pregi sto(r)ici, s’immedesima nell’Oppenheimer da sé stesso sceneggiato. E ho detto tutto. Sì, perché Nolan vuole essere visto come un genio tanto ombroso, ermeticamente indecifrabile, quanto enormemente affascinante e dal carisma ipnotico, oso dire apoteotico, alla pari del Falotico, no, degli occhi magnetici, invero vuoti, e scuri d’un Cillian Murphy inespressivo come pochi. Al che, Nolan lo pedina, gli si attacca con la macchina da presa e lo riprende (da) vicinissimo, propinando noi, pedissequamente, primi piani giganteschi e ossessivi à la Sergio Leone ante litteram in ambito pseudo-scientifico su inquadrature desertiche in senso toutcourt. Dietro Murphy non v’è la Monument Valley di C’era una volta il West malgrado gli orizzonti grandangolari del Grand Canyon a sfondo romantico della love story fra Oppenheimer e sua moglie, e a dispetto del fatto incontrovertibile che le iridi di Murphy assomiglino a quelle di Charles Bronson/Armonica, bensì assistiamo, desertificati, appunto, solamente allo sconfinato ed arido panorama desolante del suo Cinema mortifero e più algido dell’inesistente sex appeal di Emily Blunt. La quale è, sì, bellissima, ma non riesce mai a risultare davvero sensuale e arrapante in quanto la sua bellezza, non di plastica ma poco comunicativa, da attrice imbambolata e perfettina, non sprigiona alcuna carica eroticamente maliziosa ed evocativa. Stessa cosa dicasi per Nolan, il suo Cinema è formalmente perfetto come La Gioconda ma non appassiona come Julianne Moore. Quest’ultima non propriamente impeccabile nei suoi lineamenti del viso, una beltà, diciamo, non canonica, altresì sesquipedalmente più invogliante all’esplosione ormonale e spermatica d’una scissione nucleare.  Ah, che fissato che sono, che fissione, no, con Julianne desidero un’esplosiva er… ne e anche tutta la fusone. Ma non facciamo confusione!  Poiché le sue muscolose e al contempo longilinee gambe stupende, la sua carnagione più pallida del volto ceruleo di Murphy, le sue superbe lentiggini esagerate, appaiate alla sua rossissima pigmentazione pilifera e alla sua capigliatura fulva, le sue vellutate braccia morbide, intonate in modo asimmetricamente armonico al suo viso da troia alla Boogie Nights, in me scatenano solamente una reazione deflagrante. Osé, anche oso dire tendente al molto piccante, voglio esserle ficcante!Murphy Oppenheimer

E, se un uomo non vuole scoparsela (allora è omosessuale o eunuco), no, se non vuole presto scoppiare, deve non guardarla oppure frizionarsi del ghiaccio sulle palle. Ora, procediamo con la recensione scoppiettante. Scusate, mentre scrissi le righe soprastanti, pensando intensamente a Julianne, ebbi una furente, incontenibile ed istantanea erezione, ivi scrivo tal parola appieno, e dovetti asciugarmi le mutande bagnatemi che le strapperei senza starvi a pen(s)are troppo in modo pedante, ah, che top(p)a e quella mia cosa fra le mie gambe, più rossa di lei, mi esplose in infinitesimali istanti, eh già, pochi c… zi, ragazze, no, ragazzi, debbo metterglielo quanto prima dentro, no, debbo ammettervi francamente, furono brevissimi ma densissimi mo(vi)menti tanto veloci quanto infinitamente godibili ed estasianti. Dolcemente calienti! Ah, le sfilerei i collant e le sarei colante. Ora facciamocela, no, facciamola finita con le cazzate, anche porcate, facciamo i seri e recensiamo questa pellicola che altri non è che una porcata, no, una ridicolaggine presa troppo sul serio da chi di Cinema capisce poco e, in forma direttamente, anzi, inversamente proporzionale alle sue sessuali proporzioni, no, coerente con la sua scarsa conoscenza in materia della settima arte più da atti impuri, no, pura, colto da eia… one, no, esaltazione figlia della sua ignoranza madornale, addirittura può arrivare a pensare che la Blunt sia più bella e brava della Moore. Sono serissimo, non sto scherzando, sebbene dapprima, come appena dettovi poc’anzi, qualcosa fu eiaculante, osé, no, oserei dire schizzante. (C)azz! Mi par giunto il momento di recensire il film. Che, come ampiamente detto all’inizio di tal mio pazzo, no, di questo pezzo, sta spopolando e sta entusiasmando chiunque. Tranne me. Che, anziché, no, anzi, ché, dopo averlo visto, son rimasto scioccato, praticamente sconvolto dalla sua mediocrità assoluta più disarmante. Chiarisco subito, a scanso di equivoci, Oppenheimer non è affatto brutto. È, assieme al lontano, nelle stelle, no, nel tempo oramai remoto dei primi anni duemila, Insomnia, quest’ultimo reputato dai fan di Nolan un remake scialbo e il opus suo peggiore, figurarsi che “fanatici” esperti, il miglior film di Cristo di dio, no, di Christopher. E ho detto tutto. Figuratevi gli altri, eh eh. Sto iperbolizzando, senza dubbio, altresì riconoscendo una teoria della relatività, no, una verità poco relativistica. Avevamo già avuto, qualche anno l’Orsa Maggiore, no, ora ho sonno, no, or sono, il film Oppenheimer per la regia di Nolan, ovverosia Interstellar. Soltanto che adesso Nolan l’ha girato con Murphy, cioè lui stesso in vesti attoriali, al posto di Matthew McConaughey. Per comprendere tale mia freddura, da appurare se in effetti lo sia, bisognerebbe viaggiare nel tempo e, alla velocità della luce, no, del suono, no, all’unisono, capire quando partì l’assurdo fanatismo per Nolan, paragonabile solamente a quello da molti di voi, eh già, nutrito per Paul Thomas Anderson, ovvero un altro venditore di cagate spaziali. Torniamo nel futuro, no, torniamo al film che… oltre a proporci dei cammei ingiustificati, come quelli inutili di Kenneth Branagh e Matthew Modine, di Rami Malek & company, quasi delle comparsate, e degli attori redivivi che sono più bravini di quando furono vagamente sulla cresta dell’onda o sulla rampa di lancio d’un successo mai veramente avvenuto (mi riferisco a Josh Hartnett, sì, bravi, comunque Josh è stato bravo, eh eh), questa biografia su Oppenheimer, in realtà su Nolan stesso da lui diretto, co-finanziato come sempre e scritto, (auto-ri)tratto dal libro Robert Oppenheimer, il padre della bomba atomica. Il trionfo e la tragedia di uno scienziato a cura di Kai Bird e Martin J. Sherwin, con dialoghi da pelle d’oca per la loro bruttezza imbarazzante (Nolan è una pessima penna), scevri cioè di qualsivoglia guizzo d’originalità e nella prima ora più stereotipati e impresentabili di quelli di A Beautiful Mind con una fiera delle banalità pseudo-scientifiche da impietrirmi più della mono espressività d’un Murphy paralizzato sol in due pose, una con gli occhi strabuzzati e una à la Benito Mussolini ebreo che sconfisse sul tempo Adolf Hitler che, a sua volta, per via del suo mostruoso e arcinoto antisemitismo contro Albert Einstein, no, Karl Marx, no, Sigmund Freud, no, Werner Karl Heisenberg, si lasciò fregare, Oppenheimer ci presenta un Robert Downey Jr. che, quasi sicuramente, vincerà l’Oscar come miglior attore non protagonista ma se l’aggiudicherà perché è dimagrito spaventosamente, divenendo scheletrico come Murphy stesso, e in quanto è stato truccato da vecchio quasi decrepito. È “mostruoso!”.

Già ci appar(v)e vecchio, aggiungo io, a inizio film quando Oppenheimer/Murphy era giovanissimo mentre quest’ultimo, puntualizzo in modo necessario, rimane abbastanza giovane, a eccezion fatta dei capelli leggerissimamente brizzolati, anche alla fine con l’aggiunta del pelato, quasi come nell’incipit che parte dal pre-finale. Downey Jr. è un grande attore, questo non si discute ma meritava la statuetta molto tempo prima per parti più belle, maggiormente sentite e, a conti fatti, perfino meglio e con più cuore interpretate. Qui è lezioso, recita, sfoderando moine a tutt’andare.

Ho letto e sentito che Oppenheimer sarebbe analogo a JFK di Oliver Stone. Ah ah, macché. Che c’entra un caso complottistico di natura filmica, lungo quasi uguale ma lineare e non discontinuo nei suoi rimbalzi delle pallottole sulla testa di John Fitzgerald Kennedy, no, non altalenante nei suoi coerenti saltelli temporali non astrusi, con una macchinosa, squinternata, sempliciotta e convenzionale storia assai tediosa che, dopo innumerevoli flashback che provocano più indigestione dei funghi atomici, no, dei funghetti porcini ammuffiti, nuovamente ci ammorba e stomaca con un’interminabile, verbosissima parte processuale da latte alle ginocchia? Fra l’altro, Jason Clarke recita permanentemente da seduto ma è meno imbalsamato della regia fermissima e piatta di Christopher. Se Downey Jr. vincerà un po’ immeritatamente l’Oscar come best supporting actor, sarebbe parimenti, no, immensamente davvero insopportabile, questo sì, eh eh, ancor più stomachevole, che Murphy trionfasse nella categoria di Miglior Attore ai prossimi Academy Awards. Murphy mi sta simpatico, tutto sommato, ma, sottolineo di nuovo, ivi recita da monolito di 2001: Odissea nello spazio con un look da patito del Biafra che, nei primi venti minuti del film, sembra George McFly/Crispin Glover di Ritorno al futuro, quindi subito dopo il ragazzo timido, “scienziato pazzo” di Peggy Sue si è sposata che voleva scoparsi, per l’appunto, insomma, darvi dentro con Peggy, alias Kathleen Turner. Con l’unica, devastante differenza che Murphy, malgrado la sua timidezza, anzi, atimia da imbranato alla Falotico, no, catatonico e, a prima vista, interessato solo agli atomi, ai neutroni, agli isotropi e non alle patate delle bombe sexy, dette altresì grandi tope, riesce, col solo potere delle sue iridi glauche azzurre sul verde smeraldo, a trombarsi bellamente Florence Pugh, la quale qui è più bona dell’ex pornoattrice Jodi Taylor, a lei assai somigliante, e nientepopodimeno che Emily Blunt. Che, come dettovi, non è Julianne Moore ma è più bella di Florence Pugh e ho ridetto tutto ancora una volta. Sì, Murphy/Oppenheimer pare John Nash schizofrenico del succitato, sopravvalutato A Beautiful Mind, non ha il fisico di Russell Crowe dell’epoca che trombava Jennifer Connelly ma, solo dopo 45 min., da studioso di Fisica e meccanica quantistica, scopiamo, no, scopriamo essersi trasformato in un fottuto adoratore della figa, un lucky bastard impenitente, un donnaiolo incallito e un “maiale” comunista che vuol far il culo ai nazisti. Per di più, prima è al liceo, due minuti dopo è laureato e dottore, tre scene successive è a capo del Progetto Manhattan. Calcoliamo che, nel brevissimo lasso temporale, ribadisco, ha avuto anche il tempo di scopare Florence Pugh e di sposare Emily Blunt. Un real genius!

I migliori della compagine attoriale sono James Remar, Gary Oldman as Harry S. Truman, il regista-attore Tony Goldwyn e basta. Peccato che si vedano solo, rispettivamente, per una manciata di minuti. Velo pietoso invece per Benny Safdie. Il quale, a proposito di PTA (acronimo di Paul Thomas Anderson coniato dagli andersoniani e nolaniani), dopo averci disgustato in Licorice Pizza, ivi recita da scemo più scemo del suo handicappato del film In Good Time girato in veste cineastica assieme al fratello.

A proposito, ripeto quest’espressione, infine, di fratelli famosi… Chi sostiene che il qui presente, inesistente, Casey Affleck sia più bravo di Ben Affleck è uno che non scoperà mai Jennifer Lopez. Ben Affleck, eterno amico di Matt Damon. È Damon che tira su il film e lo salva grazie a un paio di scene pregiate da great actor navigato e carismatico. Sì, Damon è carismatico. Chi dice, da una vita, che è insignificante è lo stesso topo, no, tipo d’uomo che preferisce Casey a Ben e Christopher Nolan ad Einstein. Nolan, per non rendere caricaturale e macchiettistico Einstein, lo fa interpretare a Tom Conti. Che assomiglia a un agricoltore della Basilicata che non ha mai non solo sfogliato un libro di Fisica, bensì ha a stento la quinta elementare. Ecco, caro Nolan, torna a scuola, non solo di Cinema.Emily Blunt Oppenheimer

di Stefano Falotico

 

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