Il grande Cinema di Sergio Leone, promemoria mor(t)ale, cari adepti della mia polverosa congrega di pistoleri…

di Stefano Falotico

Leone Eastwood

Il cacciatore di taglie, sempre avvolto da un poncho che cela, anche fascinosamente “sporco”, un passato oscuro che l’ammanta misteriosamente di bri(vid)o lucido, come dico io, s’insinua da punitore Dio nella cittadina western con (in)dolenza eastwoodiana, mordendo la sua rabbia implosa nel frenarla sempre dentro dialoghi ficcanti, a cuore aperto sfiancato di Ramón, sbudellandolo d’ogni sua crudeltà ingiustamente perpetrata in parimenti sadico sparargli a sangue “freddo”. Egli, cavalcando il suo mulo, un mulo “umano” che pretende le scuse dei folli, incoscienti, bifolchi bulli di quel tempo selvaggio, rude e senza regole, si protese ruvidamente da “stronzo” geniale e altresì, altezzoso, si protesse di profilassi dai proiettili d’un fucile (im)potente grazie alla sicurezza “ferrea” del suo “scudo”, corazzato peraltro dall’invincibilità lucente del Clint dal sigaro (s)fumante in battute secche da raderti al suolo e sfondarti il culo appunto di freddura su “frittura” mista dei pesci che abboccarono al fuoco mirabile delle sue provocazioni taglienti. Sì, provocò un casino a tambur battente, scalpitante di vendetta quasi sempre spiegata alla fine, prima infilzò gl’ignoranti, tirandosela da “buono”, quindi cazzeggiò a tutto (s)piano, a fuoco lento, sculettando di “cavallo” quanto la taglia… dei suoi pantaloni, sterminando tutti i coglioni… coi colpi piazzati uccidenti in brutali, interminabili duelli in cui i torti terminarono proprio recidenti e radenti. Accidenti! Anche se, talvolta, non tornano i conti…

Da qui cominciò la trilogia del dollaro, miei spaventapasseri. E, dopo il “rodaggio” de Il colosso di Rodis’innalzò già in gloria (ir)raggiante la leggenda di Bob Robertson, primo “nick” del grande Sergio Leone. Ciak!

Sì, il genere western è tutto americano e mi(s)tico. Appartiene a John Ford. Ed è un vezzo italiano dell’epoca quello appunto di “americanizzare” il proprio nome all’anagrafe. Un perdonabile vizietto dello Stivale. Eh già, ove ci son gli stivali, ci son anche gli “spaghetti”, anche se Per un pugno di dollari, a differenza di quel che molti erroneamente dicono, fu girato in Spagna, esattamente nella regione della Castiglia. So che le faccio girare.

Bob Robertson è lo pseudonimo con cui Sergio Leone, omaggiando “sui generis” colui che lo generò, cioè suo padre Vincenzo, che a sua volta era un regista “noto”, anche se “misconosciuto” dai più, come Roberto Roberti, si presentò al grande pubblico, rivoluzionando appunto il suddetto genere. Infatti, questo film fu un clamoroso, inaspettato successo commerciale al botteghino, roba di enorme, svelto e scaltro malloppo per una carriera già “al galoppo”. Insomma, Sergio, dopo aver fatto la classica gavetta, dopo aver esordito con un film “dimenticabile” e pieno zeppo d’imperfezioni, azzeccò sorprendentemente il suo primo, appunto, cavallo di battaglia. Instant classic perfetto. Inventandosi di sana pianta un remake unico, (non) dichiaratamente ispirato a La sfida del samurai di Kurosawa. Concedendo ad Akira i meritati “diritti” d’incasso nel dargli la percentuale che gli spettava.

Presentandosi così negli Stati Uniti, anche alcuni membri attoriale e della tecnica troupe modificarono i loro nomi per “esterofilia” che faceva figata…, non una gran figuraccia, tutto sommato, anche se un po’ vennero indubbiamente “storpiati”. Non (si) sfigurarono però, sia chiaro, miei (o)scur(antist)i, figuratevi, miei “fighi” e figli di puta e, in pantofole, pappamolle di papà. È gente che vi fa ancora il popò. Oh, oh, topolini sempre in cerca di topine. Sergio vi accoppa. Carine da (o)carine, qui parliamo di carabine. Poche chiacchiere. Quando si spara, si spara, non si parla!

L’autore della colonna sonora, che da allora in poi sempre scriverà le ipnotiche partiture musicali dei film di Sergio, l’immenso Ennio Morricone, si “spacciò” per Dan Savio, detto anche Leo Nichols. Invece, chi si nascose sotto il “credito” di John Wells? Il già storico Volonté Gian Maria.

Leone, invero, pensò di far il furbo, rubando di soppiatto il soggetto da Kurosawa, convinto (mica tanto, tantissimo) che il film non l’avrebbero visto in molti. Invece, in molti lo videro, eccome, compreso Akira, che sporse causa affinché Sergio gli concedesse in Oriente l’esclusiva degli incassi. Causa che vinse ma a Leone andò comunque grassa. Leone è sempre stato “grasso”… che cola e da film ove i cadaveri “contano” per riscuotere i co(n)tanti. Una mente fine, insomma, cazzoni. Il film fu appunto un colpo vincente di gran cassa. E tanto basta, bastò, cambio i tem(p)i come mi pare e piace, tu non mi piaci e giù bastonate. Anche se, va detto, che Leone s’ispirò anche all’“Arlecchino servitore di due padroni” del nostro Goldoni, mischiandolo a Shakespeare e chi più ne ha e più ne (o)metta, fra (ec)citazioni varie e sperticati omaggi dappertutto sparsi, tra fucilate, taglie, coltelli, rasoi(ate) micidiali, omicidi, donnacce, un montaggio che seppe di seppia quando “sparare”, cromatizzato in colori saturi e permeati d’atmosfere sudate, come allungare senza mai stancare e poi repentinamente, tra serpentine di pistolettate, staccando, dilatar gli spazi, enfatizzare, focalizzarsi in “pause” e poi di brutto, fra tanti belli e bruti, accelerar incendiante come i (tra)monti rosseggianti. Un Cinema “lacero”, di carni alla brace, brado, selvatico, “volgare”, barocco eppur elegante, fuori da ogni moda, precursore di Tarantino & company, anticipatore di ogni Django…, di RingoTrinità, e dunque contenente pure due altri “fake” italianissimi, Giuliano Gemmaalias Montgomery Wood, e Terence Hill, cioè Mario Girotti.

Un Cinema spartiacque, “incontinente” di epigoni ed emul(azion)i più o meno riusciti. Che fa successo nei conti(nenti).

Un Cinema che tutt’ora docet.

Non voglio essere pleonastico e ridondante. Dunque, non starò a citarvi gli stravisti e amatissimi “seguiti”, Per qualche dollaro in più e Il buono, il brutto, il cattivo, tutti da Sergio sempre sceneggiati con la mano inconfondibile della penna di Sergio Donati (accreditato e non) e qualche “aggiunta”, che non guasta affatto, di Age & Scarpelli. Ma la mia non è una domanda retorica se vi chiedo che c’entrano Dario Argento e Bernardo Bertolucci? Il soggetto di C’era una volta il West è loro.

Ora, come i cavalli dei suoi grandi film, non è mia intenzione fare il maestro, bensì imbizzarrirmi, essendo, nonostante tutto, già di mio molto bizzarro. Attento, non tentarmi, ci son altri più gravi attentati a cui devi prestar attenzione. Io non (ti) perdo mai di mira. Non mi attenui da tenero, mio tesoro. Questo è il colmo! Sono al culmine della mia calma, temi adesso per la tua incolumità!? Ti fotterò in culetto, delinquente. La mia ultima tentazione è questa.

Il Cinema di Sergio Leone è famosissimo, apparirei indigesto nel volervi far la morale come la parabola dell’Indio… una malalingua!

Tale perla ancora però vi (ripro)porrei, perché può darsi che alcuni sian da educare a tale indimenticabile, strepitoso pezzo Cinema, vero, scemi di Pongo o, se preferite, pezzi di sterchi? No, siete solo mendicanti smemorati da dimenticatoio. Io non dimentico, sono il monco!

 

C’era una volta un falegname. Pensate che possa fare fortuna un falegname? No?! Be’, invece sì. Questo fece fortuna. Perché un fabbricante di casseforti, un furbacchione, pensò di mascherare una solida cassaforte, facendola sembrare un qualsiasi mobile. E, per questo, il furbacchione chiama il nostro falegname ma, un giorno, il destino lo fa passare per El Paso. Lo fa entrare in quella banca e che ti vede? Uno dei suoi mobili che aveva fabbricato qualche tempo prima. E da quel giorno non riesce più a lavorare perché, nel suo cervelletto, c’è una sola idea che gira, gira… mettere le mani dentro quel mobile. Certo, pensate voi… quel falegname ha avuto una bella fortuna a entrare proprio in quella banca. Invece no… La sua fortuna si è fermata lì perché poi, in prigione, ha incontrato me. Ih ah ah ih, e mi ha raccontato tutto… ah ah ah. Non nella cassaforte… qui dentro, c’è mezzo milione di dollari…

 

Ecco, finirei così:

 Cos’hai fatto in tutti questi anni, Noodles?

– Sono andato a letto presto…

 

Eh sì. Il “monco”, ch’è Clint ma sono anche io, si diverte da “matto” a ripetere le stesse battute, variandole di comprendonio tardo ai tonti che siete voi. Vi fa ammattire. Voi arrivate sempre tard(on)i. Io invece no.

 

Quando devo sparare, la sera prima vado a letto presto.

Ché (ri)monterò in sella, dandovi la sveglia!

Dunque, cretino, prestissimo, coi miei speroni ti prenderò a calci, quindi m’appresterò a calpestarti dopo che mi (ap)pestasti.

Perché non sono morto. Hai finito di sperare. Inoltre, hai perso tutti i colpi, i tuoi (ri)f(l)essi son andati a mignotte. Ora, ti sparo.

Da cui il revenant, memore leoni(a)no, di Unforgiven.

 

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