La grande bellezza dell’aver capito tutto della vita e inevitabilmente esser presi pel cul’

Gambardella

La più consistente scoperta che ho fatto pochi giorni dopo aver compiuto sessantacinque anni è che non posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare.

A 38 anni, invece, ho scoperto che ho sperperato tantissimo tempo a dar retta agli imbecilli. Quelli che mi rimproveravano la mia scarsa “adempienza” a un mondo cinico, che giudica in base agli appetiti sessuali, alla “forza” erotica, alla maschera di virilità che indossi. Quelli che, se sei pudico, ti accusano perfino di essere omosessuale e se ascolti i Queen ti dicono di essere fermo agli anni ottanta. Un periodo, gli ottanta, in cui ce n’era tanta. Non di “quella” ma di vitalità e fuoriuscivano dalle menti le idee più vigorose, in cui perfino gli uomini erano più aitanti e passeggiavano con estrema disinvoltura in un mondo che sapevano riempire di meraviglioso, illudendosi che il nuovo millennio non sarebbe stato fatale, come invece tristissimamente è successo. Il più bieco progresso ha portato l’uomo ad essere avaro di vere emozioni, a richiudersi sempre più su sé stesso, a cercare nella finzione il covo pacifico, catartico delle sue giuste angosce esistenziali e delle libere frizioni. Allora, anche il Cinema, specchio sempre dei tempi, è diventato uno strumento di piacere per parassiti che di loro non sanno creare nulla ma aspettano “trepidamente” che qualche regista “geniale” li illumini, li salvi dalla mediocrità, e si proiettano, piroettando di fantasie borghesi, dentro una stupefacente marcescenza che regredisce, a piacer solipsistico, alla finta verginità ogni qualvolta qualcuno riesce in questo arduo, complicato compito di dissuaderli dal fatto, inesorabile come un macigno pesantissimo, che in verità si sono soltanto adattati al più miserando porcile. Così, abbiamo gli impiegati di banca che son “sistemati” e, in questa comodità economica, dimenticando il puro senso della vita, “vivandano” di battutine, di chiacchiere, di retorica spicciola, che criticano i giovani, affibbiando loro le patenti più inverecondamente agghiaccianti, accusandoli di essere degli scansafatiche, dei poco di buono, gridando loro che la vita è dura e bisogna sorpassare i propri limiti, migliorandosi ora dopo ora. Quando poi, invero, non rinunciano alla partitella del campionato di serie A, al film “sociologico” di psicologia d’accatto, quando dicono agli altri di essere banali e prevedibili e poi scopri che hanno tappezzate le pareti di casa di aforismi medio-orientali, con affissa soprattutto la loro devastante disillusione, che consolano con letture “raffinate”. Così come ci sono quelli che dicono di amare Woody Allen, non tanto perché lo amino davvero ma perché, dicendo così, si sentono più intelligenti. Sì, quelli che dicono sempre cose ponderatamente intelligenti, sono in gamba, infallibili, si capisce, inappuntabili, in questa orrenda politica “moderna” del politicamente sano, della correttezza da trasgredire soltanto con qualche frase scioccamente, pateticamente, senilmente “ribelle” per illuderci che non siano solo dei poveri stronzi e noi invece siamo gli incurabili sfigati.

Finisce sempre così. Con la morte. Prima, però, c’è stata la vita, nascosta sotto il bla bla bla bla bla. È tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore. Il silenzio e il sentimento. L’emozione e la paura. Gli sparuti, incostanti sprazzi di bellezza. E poi lo squallore disgraziato e l’uomo miserabile. Tutto sepolto dalla coperta dell’imbarazzo dello stare al mondo. Bla. Bla. Bla. Bla. Altrove, c’è l’altrove. Io non mi occupo dell’altrove. Dunque, che questo romanzo abbia inizio. In fondo, è solo un trucco. Sì, è solo un trucco.

Allorché, scopro che nella mia “scontatezza”, nella mia assurda semplicità, nella mia “inguardabile” scontentezza, c’è sempre più la verità. E i giorni trascorrono inevitabilmente funerei fra sprazzi di allegria, attimi di follia e qualche brivido sulla pelle dell’anima.

Molta gente non capisce e, continuando a offendere e a deridere, ride sguaiatamente del tuo scemo. Sapendo benissimo che forse sei proprio un genio. E non c’è cosa peggiore dei geni al mondo. Danno sempre fastidio e non si accontentano di leccare il culo.

Sono uno che proprio non capisce come si sta al mondo. Forse, andrò a vivere sui monti, sicuramente lontano dal mare dei ciarlieri.

di Stefano Falotico

 

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