“Space Cowboys”, Review

Evanescenze mnemoniche ai bordi delle periferie spaziali sinergiche del meditar contemplante e “triste”

“Arzilla” robustezza, dai poderosi e virtuosi ricordi, s’alluna cogitabonda nello spensierato abisso dell’Universo.

Maiuscolo d’inizio divinizzante sull’iperbole solaris d’un fluente dondolarvi, come macchie scure di caffè “permaloso” al caustico Mondo “irrisorio”.

Oscillan le nevrosi “vecchie”, alterate d’accenni d’Alzheimer e la “lentezza” acquisisce la placidità dell’ermetico sorseggiare lo spinale midollo della vita (s)confinata.

Ove è l’infinitezza dell’averla esperita, “inaridita” e indurita di troppa (im)maturità e malinconia ad ardere le nostalgiche, coriacee abrasioni da cere pistolere, siete “pacifisti”, conciliati ai rancori del tutto esser evoluti, avvolgenti nel plancton sigillante dello sbuffar fra rimpianti e allegrezze euforizzanti. Sbronzante, bronzea “demenza” o (ri)guardarla a traiettorie flashback di meravigliosa estasi vitale? Esattamente coincidendosi al “sinonimo” di “senili carcasse”, di barbogi da rottamare o solo l’oceanico respirare l’esistenzialismo nelle nuvole della sublime, temporal rimembranza? “Assiderarla” nelle fami ancor latenti degli attimi perduti, con sibillin “cristallizzarli” alfine di celebrarli, rammemorati e quindi “oltraggiati” nei turbinii “scriteriati”, “craterici”, caratterialmente “instabili” come creatural risorgere proprio nel tramonto di quel vissuto (in)dimenticato, invisibile agli occhi di chi all’anima di tal “vecchi” porgerà quelle, sì orride, banali, offensive, insultantissime e inusitate “carezzine” tanto tenere che si riservan ai “rincoglioniti”. Con quel pietistico modellarli al “penoso” percepirli.

Invece, vecchio sì… con quello che hai da dire ma non nessun ti sta a sentire, atmosfere da Zero “assoluto” combaciato ad armonia (in)ascoltata. Chi dei vostri cuori energici, dell’aver riso, amato e pianto, udirà com’ancora esuberanti li auscultate nel roco diaframma del sanguigno “borbottare”, dell’acuto per voi immenso bisbiglio siderale della tutta vita, che invece appar agli occhi dei “giovani” un irritante bisbiglio da tacere con quel “garbo gentile” dell’accondiscendervi, quindi “marchiare” di senescenza, proprio “punendola” col sorrisetto o (s)fottervi dietro nascoste, ingenerose smorfie blandenti, come sussurrarvi “Poveri rimbambiti”.

Questo capolavoro di Eastwood, al solito incompreso quando aprì “freddamente” il Festival di Venezia di quell’annata, è un’altra tappa “tombale” e dunque miliare del suo “millenaristico” profeta revenant.

Ed è perciò che lo intitola Space Cowboys.

Nei suoi celeberrimi western, il fantasma del Clint al(b)eggiava nello riscaturito e rischiarito (ri)scatto dei bei tempi, a flagellazione, deflagrazione “angelica” da nebbie proustiane d’un ricomparire per appianare i torti e anche espiare le proprie (in)esistenti “colpe”. A colpi di grilletto unforgiven.

Coincidenza “casuale”… uscire nel 2000 esatto, perfetto “mon(ol)ito” quasi kubrickiano…

Toby Sthephens è young Frank Eastwood così come il “neonato” di un’Odissea… oggi adolescente e domani rugoso, incancrenito e ottuagenario… lunga un grandioso Giorno…

Avevate un sogno… raggiungere il nostro satellite, scoprirlo e anche esplorarvi come uomini, risalire forse al mistero d’ogni Big Bang dell’anima.

Chi è infatti l’astronauta se non un “folle” nichilista che fottutamente crede nei dreams personali, i quali però, per la gente comune, son Tempo… perso?

Qualcosa non è andato come doveva. Missione “fallita”.

Ma i vecchi tornano utili se gli “esperti” e “collaudati” giovincelli non san che pesci pigliare per colpa di un guasto tecnico risolvibile solo da chi conosce le “armi” del Passato…

Allora, bisogna rispolverare la grinta a costo di farsi prendere per il culo, addestrarsi per un nuovo, epico viaggio. Avanti e indietro, o sospeso nell’etere. Nell’eravate.

Intagliato nel monumentale Clint, che si adora di primi piani a sue iridi azzurrissime, languide, modulate nel “modugniano” blu dipinto di blu, a un Tommy Lee Jones che non lo smonti anche se ha qualche rotella arrugginita, al goliardico Sutherland, incarnazione straordinaria del concetto “generale” di “patetico”. Uno che fa battutine da circolo per pensionati ma con la saggezza del lupo di mare.

E infine impresso su James Garner. Scelto apposta perché è un attore “sconosciuto”.

Di un altro Mondo, di un altro Pianeta, di una generazione classica.

Come Space Cowboys.

Chi non ama questo film, prenotasse un tavolo in un discopub per soli stronzetti con fighella scemotta a “car(ic)o”.

E “ridesse” sulle note finali… sì, perché picchiarlo quando puoi servirgli un sorriso (dis)incantato?

Space 2 Space 3 Space
(Stefano Falotico)

 

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